Il berlusconismo è morto al Papeete

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«La leadership di Salvini s’è rafforzata da quando ha cominciato a rappresentare tutto il centrodestra». La Repubblica lo definisce “tonante”, questo Berlusconi che dà l’investitura a Salvini per il ruolo di leader del centrodestra. A noi, invece, la voce sembra stanca, quella di un vecchio leone.

Il Papeete aveva già registrato la morte dell’esperimento gialloverde, quel primo governo Conte che sembrava inarrestabile. Erano i giorni del Salvini trionfante, quello in grado di superare la soglia del 30%, percentuali che dalle parti di via Bellerio sembrano difficili da recuperare. Anche con l’apporto di Forza Italia. Intanto oggi, in quel triangolo fra Berlusconi, Vespa (che del berlusconismo è stato il fedele cerimoniere per molti anni) e Salvini, si chiude il percorso iniziato nel 1994. 

La politologia, nel corso degli anni, ha cercato addirittura di fare una periodizzazione del berlusconismo: abbiamo così un Berlusconi d’assalto (1994-96); di consolidamento (1996-2001); di governo (2006-11); berlusconismo senza Berlusconi (2011-14); Renzusconi (2014-18); infine, il “Berlusconi resistente” del governo gialloverde. Bene, sembra giunto il momento di mettere in soffitta questa periodizzazione e forse anche il berlusconismo. 

D’altronde, il Papeete 2 (lo chiameremo così, un giorno?) è solo l’onda lunga di un declino del berlusconismo che corrisponde a un declino fisico e soprattutto mentale di Berlusconi. La consapevolezza di non essere eterno, aveva iniziato a svilupparla 10 anni fa, con la spasmodica ricerca di un erede, con le investiture di Monti, Alfano, Parisi. Tutta gente fuori dai posti di comando nella politica italiana, oggi. Non si era però arreso e aveva compiuto quella rimonta incredibile nel 2013, quando aveva recuperato decine di punti percentuali su Bersani. Si era presentato nel territorio ostile di Santoro e Travaglio, ed era stata l’ultima campagna elettorale da Berlusconi. Ma il tempo passava, e già nel 2013 qualche colpo iniziava a perderlo. Da lì, un declino continuo a livello mentale, un tentativo di presentarsi come Pater Patriae, che era più un segno di debolezza che di forza per un personaggio divisivo come lui.

Berlusconi pulisce la sedia su cui era seduto Travaglio nel corso del programma Servizio Pubblico di Santoro, gennaio 2013

Ma è nel 2018 che il mondo di Berlusconi implode. Il re non è più lui, il centrodestra gli è stato “scippato” da una Lega che con Bossi non arrivava oltre il 10% a livello nazionale. Da allora, il mondo berlusconiano è imploso, forse vittima di una struttura di partito con vocazione maggioritaria, che mal si sposa con il 14% dei consensi. Di questo caos, in cui sono venuti al pettine i nodi di almeno 5 anni, l’antipasto sono state le consultazioni, con Salvini al centro e Berlusconi in silenzio, a scandire le affermazioni del nuovo leader del centrodestra. Poi le tante defezioni: i fedeli Ignazio La Russa e Daniela Santanchè (di cui si ricorda un «Sono diversa perché non l’ho mai data a Berlusconi», quando era candidata per La Destra nel 2008) sono passati a FdI. Verso la Lega sono andati invece Giulia Bongiorno e Laura Ravetto, ex nome di punta della Gioventù berlusconiana. Infine, il personaggio con più appeal rimasto in Forza Italia, Giovanni Toti, ha creato il suo partito personale. 

Difficile dargli torto: il declino di FI è coinciso con quello fisico e mentale di Berlusconi. Questo non fa che aumentare le voci che chiedono di accelerare un cambio ai vertici, in una lotta per la successione che coinvolge Carfagna, Gelmini, Gasparri. Con una buona parte del partito che, di fondersi con la Lega, non ne vuole proprio sapere e che, probabilmente, non accetterà così di buon grado di entrare in una formazione a destra come il partito di Salvini.

La fine del berlusconismo è un bene o un male? Servirà del tempo per capirlo: chi è favorevole a Berlusconi, vede nella sua figura il modernizzatore della dialettica politica italiana, il padre di grandi liberalizzazioni a livello economico, il creatore di una classe politica meno “ingessata”. Chi è contro, invece, lo incolpa di un generale imbarbarimento dei costumi, di disinvoltura nella lotta alla criminalità organizzata, di una demolizione scientifica della struttura dello Stato, gestito come una succursale della Mediaset. Vero o falso, lo dirà la storia.

Quello che ci possiamo chiedere è cosa resterà del berlusconismo. Gaber diceva di non temere Berlusconi, ma «il berlusconismo che è in me». Che paese lascia Berlusconi, rispetto a quello che ha trovato nel 1994? 

Intanto, un Paese molto più sbilanciato a destra. Inutile nasconderlo: un politico come Salvini come federatore dei moderati avrebbe fatto storcere il naso a qualsiasi statista della Prima Repubblica. E Berlusconi ha responsabilità in questo, avendo scelto di demonizzare la sinistra, anche nelle sue componenti moderate, mentre nel frattempo chiudeva un occhio rispetto alle azioni della destra. Anche quella con tendenze più eversive. Il risultato è che, dopo i vari Monti, Alfano e Parisi, Berlusconi si deve sedere al tavolo con un filo-orbaniano come Salvini e con Giorgia Meloni. Fra l’altro, anche il dibattito politico si è abbassato molto di livello. La colpa non è esclusivamente di Berlusconi, ma certo lui ha dato una bella mano, per almeno un decennio. 

D’altro canto, il patron di Mediaset lascia una classe politica al femminile da non sottovalutare. A prescindere da posizioni più o meno condivisibili, la presidente della Camera è una donna di FI. Fra i cosiddetti colonnelli del partito c’è Mariastella Gelmini e soprattutto Mara Carfagna. Alla fine, è stata spesso lei l’opposizione interna ai progetti più estremisti di Salvini. Malgrado lo scetticismo che ha sempre circondato la sua figura (più o meno giustificato), il Ministro del Sud ha raggiunto negli anni un suo spessore politico. 

L’ultima domanda è: adesso che succede? A sinistra, la chiusura del berlusconismo significa la fine di una stagione che, seppur difficile, ha rappresentato uno straordinario momento di unità per le forze progressiste. Oggi siamo con un PD privo di un nemico da combattere, di una base sociale, dietro a FdI e Lega, alleato di un Movimento 5 Stelle che non sembra in buona salute e che non ha sempre espresso una linea coerente a livello politico. Bisognerà trovare una raison d’être, poco importa che sia legata al prima di Berlusconi o a un orizzonte più “moderno”. Anche perché il 2023 è dietro l’angolo e gli exploit (vedi Salvini, Meloni, i 5 Stelle o Renzi) non sono impossibili, se si hanno le idee chiare.

Matteo Salvini al Papeete di Milano Marittima nell’agosto 2019 

Per quanto riguarda il centrodestra, le investiture di Berlusconi sono state il bacio della morte per più di una carriera politica. A peggiorare la situazione, è anche l’insicurezza rispetto alla leadership di Salvini nel centrodestra: al momento, non è il più votato. E Giorgia Meloni non pare pronta ad accettare un ridimensionamento del suo ruolo. Tant’è che lo stesso Vespa chiede a più riprese della presidente di FdI. La risposta è un po’ evasiva: «Ha subito uno sgarbo [sulla vigilanza Rai], vedremo di rimediare». Inoltre, Berlusconi dice che lui e Salvini sono «uniti sul centrodestra, divisi sul vaccino». Non è certo una divisione da poco. Vaccini, diritti civili, rapporti con le autocrazie in Europa centrale… trovare una sintesi sarà difficile. A maggior ragione con un destra-centro in cui la Lega non può lasciare troppo spazio alla Meloni. Bisognerà capire bene quali abilità di federatore troverà Salvini, che è sempre stato un leader divisivo.

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Amo il data journalism, la politica internazionale e quella romana, la storia. Odio scrivere bio(s) e aspettare l'autobus. Collaboro saltuariamente con i giornali, ma mooolto saltuariamente

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