Oggi è il 9 maggio. Tra le altre cose, per gli amanti di quell’it pop che ancora ci ostiniamo a chiamare “indie” questa data ha un significato specifico: il ritorno di Liberato. Tutti lo aspettavano. E lui ha risposto puntuale, pubblicando a mezzanotte un singolo dal titolo E te veng a piglia, accompagnato, come al solito, da un video (di cui, per la prima volta – attenzione – non si occupa Francesco Lettieri. Stavolta la regia è di Enea Colombi). L’anno scorso, si era esibito in un live piano e voce di 40 minuti in diretta Instagram, accompagnato da sole immagini di copertura.
Sono ormai passati quattro anni da quando il video di 9 maggio è apparso su Youtube e il fenomeno Liberato sembra non passare mai di moda. Anzi. Ogni apparizione social è un’attesa spasmodica di musica nuova. Ogni release è un pretesto per chiedere un live romantico nella propria città, da nord a sud: «Fallo sul lungomare Liberà». «Liberà sul Gran Canale di Venezia ti prego», oppure «Liberà ti vogliamo sotto al Colosseo». Ma perché Liberato ci piace così tanto?
Chi è Liberato?
L’anonimato è uno dei motivi, certo. Anche se qui c’è da aprire una parentesi. È ormai chiaro, infatti, che Liberato è molto più di un cantante napoletano mascherato. Bisogna parlare, invece, di un vero progetto costruito a tavolino e coordinato da un team numeroso che ne cura tutti gli aspetti: i testi, le sonorità, i video e i live. Ma anche la creazione e l’affermazione di un vero e proprio brand legato all’artista (si pensi alla rosa stilizzata che compare in ogni video e che è diventato il simbolo di Liberato per gli ascoltatori, o la partnership con Converse iniziata e poi abbandonata – altro mistero – per il merchandise).
Tuttavia non è solo l’alone di mistero che avvolge l’identità dell’artista a conquistarci. Quello che ci piace è la narrativa che Liberato è riuscito a costruire su tutti i fronti.
Il linguaggio
Schietto, fresco e territoriale, ma anche aperto agli inglesismi tanto usati oggi. L’intensità della lingua napoletana fa da base a testi senza troppi giri di parole, tipici del pop italiano di qualche anno fa. Nella scena indie/pop di oggi, infatti, ascoltiamo pezzi attaccati alla poetica della quotidianità e in cui troviamo versi del tipo «Il Duomo di Milano è un paracetamolo sempre pronto per le tue tonsille» per comunicare l’amore per la città di Milano. Liberato, invece, è molto legato ad espressioni più dirette: «Nun m’ sient’, nun m’ pienz’, tengo o’ core che nun può purtà paziènz».
Le sonorità eterogenee
Liberato passa dal reggaeton più esplicito di Oi Marì, adatto a una serata estiva in una discoteca lungomare e che acchiappa le simpatie di chi predilige la musica come strumento di festa, alla house di Me staje appennenn’ che fa piacere ascoltare in macchina, lanciati in autostrada, come in un club. Dal lento di Niente, buona per cullarsi nel letto il giorno che ti manca l’ex, al coro da festa popolare di Nunna vojo ‘ncuntrà («Bang bang, too hot, tu me mis sott ‘ngopp….»), da intonare con gli amici durante una cena in osteria.
I concetti semplici
L’attaccamento alla propria terra – con Napoli quasi sempre presente in un modo o nell’altro –, le avventure giovanili, ma soprattutto l’amore. Tormentato, difficile, senza fine. Tornano spesso le immagini di due che si amano, ma che non stanno insieme. Una storia possibile nei cuori ma non nella vita di tutti i giorni. E poi i continui tira e molla, la nostalgia dei primi momenti di coppia innocenti e teneri («’Na vota diciste ‘na cosa… nun t’a scurdà maje») e la sensazione che la porta per l’altro non sia mai chiusa definitivamente. Insomma, Liberato racconta quell’amore autentico destinato a cambiarti la vita ma anche ad uscirne, trascinandosi negli anni come un bel ricordo di quello che avrebbe potuto essere. E, dato che anche l’occhio vuole la sua parte, il tutto è contornato da numerosi video seriali, ambientati in una Napoli popolare e in una Capri d’altri tempi che appaiono isole felici dove tutto può ancora succedere. Dove niente è ancora deciso. Diciamocelo, chi non vorrebbe vivere in questo film?
Per tornare dove eravamo partiti, quindi, possiamo dire che da Bolzano a Pizzo Calabro Liberato piace. Piace ai curiosi, perché la vicenda dell’anonimato stuzzica la fantasia. Piace, per campanilismo, ai campani, molto affezionati alla propria e alla propria terra. Piace a buona parte del bacino degli ascoltatori italiani perché, con la sua versatilità, strizza l’occhio a gusti e attitudini diverse. E piace soprattutto ai giovani, perché è capace di costruire un immaginario che funziona e che è desiderabile. Liberato è un prodotto intelligente. E il risultato di ogni prodotto intelligente è che ne vogliamo sempre di più, sempre di più, sempre di più.
Autore
23 anni, giornalista praticante. Umbro di nascita, romano d'adozione, bolognese per lavoro. Una passione smodata per lo streetwear: in redazione sono quello con le sneakers più belle. Se messo con le spalle al muro, preferisco Friends ad How I met your mother.