Green Deal: non siamo neanche a metà strada

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L’Europa chiede di ridurre le emissioni delle automobili del 55% entro il 2030. Ma in Italia, solo un decimo dei veicoli è a basse emissioni. E le energie rinnovabili contribuiscono solo per il 19% al mix energetico dei consumi finali

Il Green Deal europeo, o Patto verde europeo, è un pacchetto di iniziative politiche promosse dalla Commissione europea, con l’obiettivo specifico di diventare il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050.

Il presupposto alla base di questo patto e alla formulazione di questi impegni, è la situazione climatica in cui riversa il continente europeo, recentemente appellata con più audacia rispetto a prima come “crisi” climatica e non cambiamento.

La Commissione europea constata che la crisi climatica sia una grande minaccia e che, per superare le sfide poste da questo nuovo tempo, sia necessario immaginare un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, garantendo che entro il 2050 diminuiscano del 55% le emissioni di gas serra. La crescita economica, si propone il Patto, deve procedere verso un miglioramento dell’uso che facciamo delle risorse, tutelando le persone e i luoghi.

La Commissione ha adottato e prodotto delle proposte per procedere alla trasformazione del continente e per rispondere in maniera adeguata alle situazioni sempre più critiche che i cittadini si troveranno ad affrontare. I vantaggi che otterremmo, qualora il Green Deal venisse realizzato in tutte le sue iniziative, sarebbero quelli di respirare aria più pulita e di bere acqua meno inquinata.

Il suolo sarebbe più sano, con garanzia di biodiversità. Gli edifici in cui abitiamo verrebbero totalmente o parzialmente ristrutturati, per essere resi efficienti sotto il profilo energetico. Potremmo accedere a alimenti sani a prezzi consoni, vedendo l’aumento di trasporti pubblici sostenibili. L’energia sfruttata sarebbe più pulita e l’innovazione tecnologica non produrrebbe inquinamento.

I prodotti di cui usufruiamo potrebbero essere riparati, alternativamente riciclati e riutilizzati. I posti di lavoro sarebbero adeguati alle esigenze future della transizione ecologica, accompagnati da formazioni professionali adeguate. Nascerebbe, quindi, un’industria competitiva e resiliente a livello mondiale.

I passi proposti dalla Commissione per poter migliorare la condizione in cui si presenta il continente entro il 2050, riguardano tutti e 27 gli Stati membri. L’Europa intera, infatti, ha aderito al Patto che la Presidente Ursula von der Leyen crede sarà per l’Europa “come lo sbarco dell’uomo sulla luna

I punti focali su cui si intende lavorare, passano ovviamente per i trasporti. La Commissione si fa promotrice della crescita del mercato dei veicoli a emissioni zero o a basse emissioni, facendo in modo che i cittadini possano ricaricare questo tipo di veicoli agevolmente. Dal 2026, inoltre, sul trasporto su strada si applicherà lo scambio di quote di emissione, ossia verrà attribuito un prezzo all’inquinamento generato da ciascuno, incentivando l’utilizzo di energie più pulite.

Ci si propone anche di fissare il prezzo del carbonio per il settore aereo, anche questo fondamentale nel panorama dei trasporti, promuovendo l’accesso a carburanti sostenibili per l’aviazione. Per il settore marittimo, invece, si prevede una riduzione drastica dei carburanti inquinanti che danneggiano le acque e l’aria, fornendo ai principali porti d’Europa energia elettrica da terra per le navi. Questo obiettivo si concretizza in una riduzione delle emissioni delle automobili del 55% entro il 2030, una riduzione del 50% delle emissioni dei furgoni entro il 2030 e 0 emissioni prodotte dalle automobili di nuova produzione entro il 2035.

La transizione passerà anche per le infrastrutture europee. Entro il 2030 ci si pone l’obiettivo di avere 35 milioni di edifici ristrutturati, creando 160.000 posti di lavoro nuovi di tipo “verde” nel settore dell’edilizia. La Commissione si propone di imporre agli Stati membri di ristrutturare ogni anno almeno il 3% della superficie totale degli edifici pubblici, aumentando dell’1,1% all’anno l’uso delle energie rinnovabili per il riscaldamento e raffrescamento.

Questo indirizzo che si intende dare alle industrie e all’edilizia va di pari passo con la realizzazione di un sistema energetico più pulito, che entro il 2030 si propone di aumentare del 40%. Per ottenere questa quota di energia rinnovabile, è necessario diffondere l’uso di combustibili rinnovabili come l’idrogeno, sostenendo con un nuovo regime fiscale la transizione verde.

La Commissione comprende il ruolo della natura nel panorama della transizione verde e intende proteggerla e trattarla come alleato. La biodiversità è uno dei principali punti del Patto, che deve essere ripristinata partendo dalle foreste, dai suoli e dalle zone umide. Aumentare la presenza di ambienti naturali e sanare le ferite create fino a questo momento, permetterebbe anche un più rapido ed efficace assorbimento di CO2, sviluppando la resilienza degli ambienti naturali europei rispetto al cambiamento climatico che attraversano.

Ci si propone, per implementare la sintonia di lavoro con la natura, di migliorare le condizioni di vita umane, mantenere un ambiente sano, creare posti di lavoro di qualità, fornendo risorse energetiche sostenibili.

Nell’ottobre 2022, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo provvisorio su livelli di emissioni di CO2 per le autovetture e i furgoni. Adesso, dobbiamo attendere il 2030 per vedere i risultati.

Sebbene l’agenda europea, tracciata dalla Commissione, abbia degli obiettivi chiari e delle scadenze vicine, la strada del nostro Paese sembra essere particolarmente in salita.

Anche se nel 2020 Roma ha fatto registrare un -32% delle emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 1990, sugli altri obiettivi europei è piuttosto indietro.

Il primo indicatore allarmante riguarda le energie rinnovabili. Entro il 2030, secondo il percorso tracciato dalla Commissione Ue, solare, eolico e idroelettrico dovrebbero contribuire al mix energetico dei consumi finali di ogni Paese per almeno il 45%. La nostra quota (19%), a oggi, non raggiunge la metà, secondo Eurostat. La media europea è del 22%, ma il piccolo divario non è una consolazione. La crescita è troppo lenta, con un guadagno di soli sei punti percentuali rispetto al 2010.

Sembra lontano anche il traguardo informale che riguarda gli impianti solari ed eolici installati. Secondo le previsioni del centro studi Ember, Bruxelles mira a raggiungere, entro la fine di questo decennio, una potenza pari a 476 GW, per le turbine, e a 600 GW, per il totale dei suoi pannelli fotovoltaici. L’intero continente arriva, secondo i dati del 2021, a soli 186,3 GW di energia eolica e 110,7 GW di energia solare, con un contributo minimo dell’Italia: rispettivamente di 11,3 GW per la prima fonte e 7,7 GW per la seconda.

I numeri di Roma sulle energie rinnovabili infatti sono altalenanti. L’eolico ha raggiunto una potenza di 3 GW tra il 2010 e il 2021. Gli impianti solari, al centro di numerose contestazioni per il loro impatto sul paesaggio, hanno visto un periodo nettamente meno favorevole: sono passati dai 16,8 GW nel 2010 ai 7,7 nel 2021. Un passo indietro notevole, soprattutto se si considera che nel 2020 avevano toccato quota 21,7 GW.

Non va meglio la situazione sui trasporti, tra le principali cause dell’inquinamento atmosferico e dell’emissione dei gas climalteranti. Entro il 2030, la Commissione vuole dimezzare i livelli di CO2 raggiunti nel 2021 (-55%), per azzerarle completamente entro il 2035. Per raggiungere questo traguardo, punta sugli incentivi all’utilizzo dei mezzi pubblici e allo sviluppo di automobili meno impattanti, come quelle a motore elettrico. Dalla metà del prossimo decennio sarà infatti vietata la vendita di auto e furgoni che utilizzino la tecnologia termica.

I costi ancora elevati e la mancanza di infrastrutture adeguate, per esempio le colonnine per la ricarica, influiscono però sulla diffusione dei mezzi meno inquinanti. Secondo una rilevazione Istat sugli ambienti urbani, mediamente nei comuni capoluogo e nelle città metropolitane le auto a benzina e diesel sono ancora la maggioranza, pari a circa l’86,5%.

Rimangono ancora molti dubbi sulle alternative, legati soprattutto alla produzione: litio e altre terre rare, usate per le batterie, sono concentrate, per motivi geografici, soprattutto in Asia e in Africa, perciò sono controllate da pochi Paesi. Su insistenza della Germania, Bruxelles ha deciso di scommettere e-fuels (o carburanti elettrici), invece i biocarburanti, ricavati dai prodotti agricoli, spinti fortemente da Palazzo Chigi, non rientrano tra i carburanti approvati per la svolta green, prevista nel 2035 per il settore automobilistico.

Rispetto a 5 anni fa, quando i veicoli a basse emissioni erano solo l’8,9% di quelli circolanti, lo scenario è migliore (13,5%). Si avverte però molto il divario territoriale: nel Nord-Est del Paese la percentuale sfiora il 19%, mentre nelle isole non raggiunge il 7%.

Le città più virtuose, in questo senso, sono i capoluoghi delle province di Emilia Romagna e Marche, con più del 20% delle auto a basse emissioni. Fa registrare numeri simili anche il comune di Rovigo (Veneto), anche se il primato è di Macerata (Marche), con il 27,1%. Faticano invece il Sud e le isole. In Sardegna tutti i capoluoghi hanno incidenza inferiore al 6%.

Le percentuali però sono basse anche nelle aree più vicine all’arco alpino, in particolare in Friuli-Venezia Giulia. Un dato che segnala che la transizione verde dovrà fare i conti anche con la complessa conformazione territoriale del nostro Paese, oltre che con le differenze economiche che tradizionalmente dividono Nord e Sud.

*Articolo scritto in collaborazione con Giorgia Colucci di La Svolta

Autore

Benedetta Di Placido

Benedetta Di Placido

Capo Redattrice

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