L’Europa dei Muri che cadono (o quasi)
32 anni fa, a Berlino cadeva il muro. Il simbolo della divisione dell’Europa in due, quello di una città che viveva in una cortina di ferro e una ferita nel cuore dell’Europa. Il 9 novembre del 1989, questa ferita veniva cancellata, riportando la capitale tedesca allo splendore che meritava.
Due settimane dopo la caduta di quello tedesco, un gruppo di militanti del MSI, guidati da Gianfranco Fini, cercavano (senza successo) di picconare il muro che divideva Gorizia e Nova Gorica. Laddove non riuscì Fini, però, arrivò l’UE: con l’allargamento a est nel 2004, s’iniziarono i lavori per la demolizione del confine fisico. Nel 2025, Gorizia e Nova Gorica saranno capitali europee della cultura: oggi una parte del muro sopravvive, ma il periodo in cui era il confine fra est e ovest e punto di passaggio per profughi e disperati sembra lontano secoli.
Per Berlino e Gorizia riunificate, c’era un’altra collettività che non ce la faceva. Stiamo pensando a Nicosia, la più grande città di Cipro, divisa fra Repubblica autonoma e zona d’occupazione turca. Il confine greco-turco corre per i 180km di diametro dell’Isola. A Nicosia la situazione è più grave per il fatto che la città è l’ultima capitale europea divisa in due da un muro.
Anche qui, qualche minimo passo in avanti è stato fatto: nel 2003, sono stati aperti i cancelli, permettendo a due comunità completamente isolate di ricominciare a parlarsi, dopo quasi 30 anni di segregazione. Il percorso per l’integrazione è ancora lunghissimo, in virtù di differenze linguistiche, culturali, ma anche politiche.
Insieme a questi muri, ci sono anche i Peace Walls dell’Irlanda del Nord, (di cui già abbiamo parlato) costruiti nel periodo dei Troubles, per dividere zone cattoliche e protestanti dell’Ulster. Un luogo in cui è molto più difficile buttare giù i muri, soprattutto dopo il Brexit.
I nuovi muri
Difficoltà a parte, però, quello dell’abbattimento dei muri e delle frontiere nell’Europa post-Schengen era un trend che sembrava consolidato fino a 10 anni fa: già nel 1995, sette paesi avevano aperto i confini. Meno di 10 anni dopo l’UE avrebbe integrato Repubblica Ceca e Slovacca, Slovenia, Lettonia, Estonia, Lituania, Cipro, Malta, Polonia e Ungheria.
Poi, l’8 ottobre, arriva la lettera dei ministri dell’Interno di 12 nazioni europee, corrispondenti per la maggioranza ai paesi “newcomers“: Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Repubblica Slovacca richiedono alla Commissione «nuovi strumenti che permettano di evitare le gravi conseguenze di sistemi migratori e di asilo sovraccarichi, incluse barriere fisiche e muri». Una nuova Europa dei muri che fa pressione su Bruxelles
L’Unione Europea non si è opposta, a patto che non si spendano soldi europei. L’8 ottobre stesso, la commissaria agli Affari Interni, Ylva Johansson, ha dichiarato: «Bisogna rafforzare la protezione dei nostri confini esterni, alcuni Stati membri hanno costruito recinzioni e strutture di protezione, ne hanno il diritto e lo posso capire. Se occorre utilizzare i fondi Ue per fare questo, devo dire no».
D’altronde, la Commissione non si è mai fatta scrupoli particolari a finanziare una “democrazia autoritaria” come quella turca, negli ultimi 6 anni, con miliardi di euro. Proprio il primo ministro Draghi diceva, non più di qualche mese fa «Erdogan è un dittatore, ma ci serve». Con tanto di replica del dittatore turco: «Io almeno sono stato eletto».
Ma anche nella nostra Europa ci sono stati di ogni genere (alcuni al di sopra di ogni sospetto) che hanno un muro o richiedono di costruirne uno. Ma andiamo con ordine.
Goodbye, Kabul!
Torniamo ad agosto e torniamo all’Afghanistan, quella zona di cui ci siamo dimenticati da un paio di mesi a questa parte. Dopo 20 anni di guerra, nel Paese si susseguono le immagini di donne oggetto di violenza, di gente in fuga verso l’aeroporto di Kabul, di ragazzi disperati che si attaccano ai carrelli degli aerei, pronti a perdere la vita, piuttosto che vivere in una nazione governata dai talebani. Fra questi, non ci sono solo poveri o collaboratori degli occidentali: è caduto da un aereo anche Zaki Anwari, calciatore dell’U20 dell’Afghanistan.
Il dovere del mondo occidentale è ora quello di fornire una collocazione alla marea umana: quasi 300.000 persone (l’equivalente di una città come Bari) hanno lasciato il Paese nei 10 giorni succesivi alla riconquista talebana di Kabul, piazzandosi intanto negli stati confinanti. Ma la maggioranza di loro proseguirà la loro marcia, alla ricerca di un posto sicuro.
Il presidente Joe Biden si è posto in prima linea per l’accoglienza. Nel suo discorso del 20 agosto, ha detto «Faremo tutto il possibile, per evacuare i nostri cittadini e per i richiedenti asilo afghani», aggiungendo, però, che «non può promettere nulla sul risultato finale».
Il 10 settembre, il sito di news Brookings annunciava trionfalmente che più di 120.000 persone erano state evacuate nel giro di qualche settimana. Di queste, la metà (66.000) erano cittadini afghani, di cui solo 55.000 sono in basi militari americane e 5.000 all’estero.
Attenzione, però: 55.000 sono “sotto esame”. Bisogna valutare i loro profili, prima di decidere se accoglierli o espellerli fuori dagli Stati Uniti. Dove verranno ricollocati, in caso, non è chiaro.
Così, c’è una certa pressione diplomatica da parte degli stessi americani su nazioni con molti meno mezzi per accogliere temporaneamente i profughi: l’Uganda ne ha presi 2.000 “temporaneamente”, in attesa che la loro richiesta di visto venga esaminata. C’è da chiedersi cosa succederà in caso di rifiuto.
«Sono stata contattata telefonicamente da Joe Biden. Ho dato il mio consenso a questa operazione senza esitare, non c’è nessun popolo che conosce meglio di noi cosa si prova a essere espulsi dal proprio Paese», dice la presidentessa del Kosovo Vjosa Osmani. Ha accolto negli ultimi mesi anche i profili reputati “non idonei” dal governo di Washington. Insieme a lei, si sono mossi Albania e Macedonia del Nord, a dimostrazione che l’accoglienza non è legata a questioni di ricchezza o estensione territoriale.
Bruxelles tentenna
E i paesi dell’UE? Beh, il dossier immigrazione è da anni un tema particolarmente spinoso dalle parti di Bruxelles. Ci sono paesi ostili per principio come la Polonia, ultima per numero di richieste di asilo accolte; ha già stanziato 900 guardie alla frontiera con la Bielorussia.
Altri scelgono una solidarietà di principio, ma che non si traduce in atti concreti: la Francia teme che aprire le frontiere faccia arrivare altri islamisti nell’Esagono. Poi si sceglie la strada di finanziamenti a regimi repressivi per tenersi “in pancia” i migranti. La Turchia, in primo luogo. Ma anche la Libia.
La quarta via, sempre più seguita dentro e fuori l’Europa, è di continuare a costruire muri, in modo da difendere i propri confini “dall’invasione”. Fino all’8 ottobre, Paesi come Polonia o Repubbliche baltiche hanno accusato la Bierlorussia di far entrare profughi nel territorio europeo come arma di pressione politica.
Viktor, il precursore
In principio fu Viktor Orban, con il suo annuncio nel 2015 di costruire «un muro per proteggere tutta l’Europa da un’ondata massiccia d’immigrazione». Eravamo nel bel mezzo della crisi siriana, quella che alla fine avrebbe spinto l’UE a fare un compromesso a ribasso e a pagare 6 miliardi di euro Erdoğan per tenersi i rifugiati.
È li che nasce questa seconda Europa dei muri. Oggi la barriera è ancora lì, alla frontiera con Serbia e Croazia. Sono circa 523 km di filo spinato, una tappa immancabile per i pellegrinaggi dei politici sovranisti e anti-immigrati
Di recente, lo stesso Orban ha proposto di proibire ogni forma d’immigrazione per due anni. Ha dichiarato:
C’è un esercito di migranti che preme alle frontiere dell’Unione Europea. L’immigrazione è qualcosa d’intrisecamente sbagliato, ognuno dovrebbe essere felice di vivere dove Dio ha deciso di porlo.
Viktor Orbàn
Una politica poco lungimirante, anche perché la mancanza di migranti ha costretto l’Ungheria, nel 2018, ad approvare la cosiddetta “Legge schiavista“. Un provvedimento che permetteva ai datori di lavoro di pretendere fino a 400 ore di straordinario ogni anno, dandogli la possibilità di pagare entro tre anni e licenziare chiunque rifiutasse. È stata giudicata incostituzionale il 23 maggio di quest’anno.
Orbaniani alla conquista dell’Est
Orbàn, però, è solo l’avanguardia di un movimento sempre più di tendenza in Europa: in contemporanea con lei si è mossa la vicina Slovenia, con un primo muro al confine con la Croazia (180km) a cui si è aggiunto un supplemento di 40km. Nel mentre Zagabria è entrata in area Schengen, e a pagare il prezzo sono diverse specie animali, le cui migrazioni sono state bloccate.
Anche la Croazia si è presa il lusso di fare una barriera al confine bosniaco, sebbene poi la durissima politica anti-migranti del governo croato passa più per pestaggi di profughi alla frontiera.
L’Ucraina puntava a costruire nel 2014 un altro muro, che la isolasse completamente dal confine russo. Ma mancanza di fondi e corruzione hanno costretto Kiev a fermarsi al 15%. In compenso, la Russia ha costruito un altro muro per tenere fuori gli ucraini dalla Crimea.
Altri 150 km sono stati costruiti sul confine greco-macedone, sempre nel 2015, con la regia dell’Austria, da sempre rigidissima rispetto all’asilo di migranti. Il ministro degli esteri di quel governo, fra l’altro, era Sebastian Kurz. Lo stesso che oggi propone la creazione di campi nei paesi confinanti con l’Afghanistan per esaminare le domande d’asilo. Una soluzione che in tempi di non emergenza avrebbe un suo senso, ma che oggi difficilmente intercetterebbe tutti i profughi e rischierebbe di creare enormi accampamenti, non sicuri per loro.
Fra l’altro, questa soluzione è per Vienna un compromesso al ribasso: Kurz ha più volte insistito per la deportazione dei migranti. Una scelta che contrasta, però, con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Imprevisti che capitano…
La Barriera sloveno-croata Barriera croato-bosniaca Il progetto di barriera Ucraina del 2014 Il muro russo in Crimea Migranti ammassati al confine greco-macedone
Non solo Balcani….
Non pensiamo che l’Europa dei muri sia solo a Est, però: le foto dei muri di Melilla (11km) e Ceuta (8,5 km), con i migranti morti nel tentativo di attraversarlo, sono sotto gli occhi di tutti. Giusto un paio di anni fa, il leader ultranazionalista Santiago Abascal proponeva di costruire un nuovo muro «molto più grande, finanziato dal Marocco». Le stesse pretese di Trump con il Messico. Si vede che la fantasia non è di casa, fra i militanti di Vox.
Il muro di Ceuta, in Marocco E quello di Melilla
Spostandoci in Francia, c’è un km di muro dalle parti di Calais, finanziato nel 2016 dalla Gran Bretagna. Sebbene se ne progetti un altro a breve, in un’inedita intesa edile fra stato francese e l’azienda Total. Servirà a difendere una stazione di servizio per evitare che i migranti si nascondano nei camion per attraversare l’eurotunnel.
La giungla, il campo profughi di Calais Il Muro di Calais
Nuovi muri dopo i talebani
La nuova crisi afghana ha spinto diverso paesi a darsi una mossa. Così ha fatto la Grecia al confine turco, creando una barriera di 40 km.
Non possiamo aspettare passivamente che una nuova ondata di immigrati si abbatta sulle nostre frontiere. I nostri confini resteranno inviolabili.
Nikolaos Panagiotopoulos, Ministro della Sicurezza Nazionale greco
Negli ultimi anni, ci sono stati diversi scontri alla frontiera greco-turca fra poliziotti e migranti, anche molto duri. Fra l’altro, sempre la Grecia è nel mirino delle ONG per il campo profughi di Moria, a Lesbo. Il trattamento verso gli immigrati in quella zona era stato giudicato indegno da Medici Senza Frontiere. Il campo ha preso fuoco a settembre scorso e il governo ha promesso di non ricostruirlo. Ma non si sa ancora come andrà a finire.
La Barriera anti-Migranti inaugurata il 21 agosto Mappa della Barriera
La Polonia, nel mentre, non finisce mai di stupire gli osservatori: dopo essere andati allo scontro frontale con la Commissione Europea sulla superiorità del diritto comunitario, autonomia della magistratura, diritti di gay e immigrati, separazione fra stato e Chiesa, utilità delle istituzioni democratiche, il Parlamento ha deliberato sulla costruzione di un muro alla frontiera con la Bielorussia.
Come già detto, il regime di Lukashenko è accusato di utilizzare i migranti come armi di ricatto politico. Il ragionamento fatto dalle parti di Minsk è “Voi mi sanzionate? E allora io apro i confini, permettendo il passaggio di migranti, provenienti soprattutto da Medio Oriente e Asia Centrale“. La Polonia risponde con una barriera di 6m circa d’altezza, 400 km d’estensione e 353 mln di € di spese. Alle frontiere, i polacchi hanno mandato l’esercito e non hanno permesso ai giornalisti di avvicinarsi al confine.
Sono morti nelle ultime settimane 8 migranti, per la maggioranza provenienti da Iraq, Iran e Siria. Gli è fatale l’ipotermia, in un momento dell’anno in cui le temperature scendono anche sotto lo zero in Polonia. Inoltre, il governo di Varsavia ha dichiarato lo stato d’emergenza. Questo fa sì che giornalisti e medici non possano avvicinarsi a più di 3 km dal confine.
Un ulteriore sviluppo c’è stato ieri, quando l’esercito ha respinto un migliaio di profughi che cercavano d’entrare nel loro paese e a demolire parte della barriera in filo spinato. Al confine sono stati dispiegati 12.000 soldati, che non si fanno problemi a manganellare chi cerca di passare. Nel mentre, il governo ha gioco facile a dire che «difenderà la frontiera», e quello lituano manda militari al confine.
«È un dittatore, ma ci serve»
Infine, come dimenticare la Turchia? In questo puzzle, in cui ogni nazione chiusa in un muro ne innalza subito un altro, il governo di Erdoğan non poteva essere un’eccezione. Dopo 4 anni in cui sono stati spesi 6 mld di euro di fondi europei, l’accordo è stato sospeso unilateralmente a causa del covid. Appena possibile, la Commissione ha rinegoziato un altro accordo di 3,5 mld per i prossimi 3 anni (nel giorno del Sofagate).
La pressione migratoria è calata drasticamente negli ultimi 5 anni: la Turchia ha accolto un numero enorme di siriani (3,7 milioni), ma non sempre le loro condizioni di vita sono le migliori. Nel mentre, una soluzione al problema non è stata trovata (e forse nemmeno cercata) dalle parti di Bruxelles. L’accordo, inoltre, non comprende (e difficilmente comprenderà) gli afghani.
Motivo per cui il governo di Erdoğan ha accelerato la costruzione del muro al confine con l’Iran: si parla già di 168 km conclusi nella regione del lago di Van, sui circa 240 pianificati. L’Iran che è il Paese che ha accolto più profughi afghani fino a questo momento, insieme al Pakistan. Nel mentre, la Turchia ne ha espulsi moltissimi negli ultimi anni, ed Erdoğan ha già fatto sapere che lui punta al dialogo coi talebani.
Oltre a questo, c’è un enorme muro di 837 Km al confine con la Siria, il terzo muro più lungo del mondo dopo la Grande Muraglia cinese e il muro messicano-statunitense. Perché lo scopo non è accogliere o integrare i siriani, ma tenerne abbastanza a per ricattare l’Europa e ricevere più finanziamenti.
Nel mentre, più di 1000 Km di frontiera turca (il 34% del totale) sono dietro un muro.
Il nuovo muro “Modulare” al confine turco-iraniano Il confine turco-siriano
Muratori di casa nostra
E noi? Ad agosto il segretario della lega Salvini ha battuto tutti i record, cambiando posizione sulla loro accoglienza in poco più di 24 ore (da «Non vogliamo migliaia di rifugiati» alla richiesta di «Corridoi umanitari per donne e bambini e aiuto alle ONG»).
Salvini a parte, il nostro paese è particolarmente generoso: secondo il rapporto ISPI, in un’Europa che ha rifiutato 290.000 su 600.000 richieste d’asilo, noi abbiamo rifiutato circa il 10% di domande. Giuseppe Conte ha parlato sin da subito di «necessità di dialogo coi talebani, in questa fase più distensivi». Una posizione condivisa anche da Alessandro Di Battista. Il 2 novembre, Conte ha parzialmente corretto il tiro:
I Talebani mi hanno deluso, il dialogo con loro resta complicato. Se vogliamo salvaguardare vite umane, però, è necessario mantenere un contatto.
Rispetto alla politica dei muri, invece, qualche nuvola si è addensata anche sul nostro paese, ma senza che poi si arrivasse ai fatti: Kurz ha minacciato, nel 2016, di costruire mini-muro di meno di 500 metri, per chiudere il Brennero.
Il governatore friulano Fedriga, un paio di mesi prima del Papeete, aveva invece proposto la costruzione di un un muro che corresse per tutto il confine italo-sloveno. Seguendo il suo ragionamento, questa barriera avrebbe potuto misurare fino a 293 km. Dopo la caduta del governo gialloverde, di questa iniziativa si sono perse le tracce.
Sempre il segretario leghista Salvini, all’indomani della dichiarazione d’intenti dei 12 ministri dell’Interno europei, dice la sua (per altro senza ricevere nessun tipo di risposta dal Governo):
Che fare?
Detto che chiudersi dietro muri è una soluzione miope (oltre che molto costosa), bisognerà trovare delle soluzioni: per esempio una semplificazione delle procedure di asilo, come fatto negli USA. Poi, creare dei corridoi umanitari sicuri per un’immigrazione legale e più organizzata, in modo che non ci si trovi di fronte a un’emergenza a ogni crisi. In Europa, si potrebbe rivedere l’accordo di Dublino e redistribuire i profughi, anche perché ci sono parecchie zone scarsamente popolate o che hanno bisogno di manodopera.
Già che siamo in periodo di G20 e di COP26, potremmo ricordarci che anche un pianeta inquinato potrebbe giocare a favore di politiche migratorie più rigide: è anche stucchevole ripeterlo, ma 216 milioni di migranti climatici per il 2050 calcolati dalla Banca Mondiale sono una sfida per la stabilità di qualunque paese. Questo andrebbe detto, ad esempio, al governo polacco che produce dal carbone il 75% del suo fabbisogno energetico e si è più volte scagliato contro l’obiettivo di neutralità climatica.
Poi, nella logica di “aiutiamoli a casa loro“, bisogna continuare ad investire nella cooperazione internazionale. Perché da un paese stabile, dove non si soffre la fame e c’è un buon livello d’istruzione, è difficile che la popolazione scappi.
Appuntamento ai prossimi mesi, per capire se si deciderà di affrontare le tante crisi che si addensano sulla nostra testa o ci si accontenterà di chiudere fuori chi scappa dai talebani (e non solo).
Mappamuri
Per dare un’idea più chiara di cosa stiamo parlando, abbiamo realizzato una mappa dei muri ancora presenti in Europa. Per alcuni muri, sfortunatamente, i dati non sono disponibili. Rispetto all’area chiusa da muri in Ucraina, abbiamo fornito una fotografia della situazione nel 2017.
Legenda: in verde ci sono i muri completati prima del 2015, i blu sono quelli iniziati durante la crisi migratoria del 2015-16; in rosso quelli realizzati successivamente; gli arancioni sono quelli in costruzione in questo momento; in giallo quelli la cui realizzazione è già iniziata o è stata deliberata; i verdi scuro i progetti abbandonati/la cui realizzazione non è ancora entrata nel vivo.
In Europa oggi, dopo 32 anni dalla caduta del Muro, ci sono 3119 km di muri. Ce ne sono altri 2264 in costruzione in questo momento. Altri 1495 potrebbero essere realizzati nei prossimi anni, per un totale di 6878 km. Veramente non ci sono soluzioni migliori a questa Europa dei muri?
Autore
Camillo Cantarano
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Amo il data journalism, la politica internazionale e quella romana, la storia. Odio scrivere bio(s) e aspettare l'autobus. Collaboro saltuariamente con i giornali, ma mooolto saltuariamente