Gen Z, social network e coscienza di classe

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Capita spesso di pensare a quella che viene comunemente chiamata “Gen Z”, a ciò che la contraddistingue e ciò che la distingue dalle generazioni precedenti, al suo rapporto con i social network. Da un certo punto di vista è come se Gen Z, social network e coscienza di classe fossero tre concetti fortemente legati tra loro.  

Chi è nato a cavallo degli anni ’70 e ’80 ha vissuto durante i suoi anni di formazione (tra i 20 i 30 diciamo, quelli che ogni tanto si chiamano gli “enti”) la speranza della fine dell’autoritarismo sovietico e del crollo del muro, il balzo in avanti del sogno europeo, l’apertura di una nuova fase politica dopo il dissolversi della Prima Repubblica, la favola del primo Berlusconi e della rivoluzione liberale, l’arrivo delle prime nuove tecnologie e il fervore tecnologico della fine del secolo. Insomma, i nati alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 hanno vissuto tra fine anni ’90 e primi 2000 i loro venti anni, in un periodo di forte crescita. E questo clima ha definito molto il sentire comune di quella generazione. Un periodo certamente con le sue ombre ovviamente, dalle torri gemelle al tragico G8 di Genova, ma in un contesto in cui il futuro risultava uno scenario migliore del presente. 

Poi ci sono i nati negli anni ’80-’90. Questa generazione ha vissuto la sua formazione in un contesto profondamente diverso. Perché ha visto la parte finale del periodo di crescita precedente, per poi prendersi in piena faccia la crisi del 2009-2011, che ne ha segnato profondamente l’ingresso nel mercato del lavoro e nella fase adulta. Una generazione con una cicatrice permanente addosso. Che ha vissuto la degradazione del berlusconismo e la polarizzazione intorno a quella figura controversa, la freddezza delle istituzioni europee e l’incapacità di una azione di risposta vigorosa alla crisi, lo spread, lo sgretolarsi dei partiti tradizionali e la prima ascesa dei populisti. Un periodo segnato anche da eventi positivi nell’immaginario collettivo, dall’elezione di Barack Obama alla Presidenza degli Stati Uniti alla vittoria ai mondiali di calcio del 2006 all’arrivo dei primi social network, ma in un contesto in cui la promessa di un futuro migliore sembrava una promessa ormai rotta. È questa la generazione che dà l’impressione di essere una generazione di “sdraiati”. Sono quelli che comunemente chiamiamo “millennials”. 

E infine arriviamo ai nati tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, la famosa Gen Z, appunto. Chi è nato in questa decade ha flebili ricordi d’infanzia dei magici anni a cavallo del cambio di secolo e che ha sentito al telegiornale le notizie di crisi del primo decennio, ma per fortuna, grossomodo, era ancora protetto dalla scuola e dall’università mentre si scatenava la tempesta peggiore. Cosa hanno vissuto i nati tra il ’90 e il 2000? Hanno vissuto (e stanno vivendo) i loro anni di formazione a cavallo tra gli anni ’10 e gli anni ’20 di questo millennio. Si sono sicuramente presi in faccia la pandemia, che li ha chiusi a casa e privati della loro vita sociale in maniera ben più seria dei loro fratelli e sorelle maggiori (e anche minori). Un grande trauma collettivo. Ma soprattutto la Gen Z ha vissuto l’affermazione definitiva dei social network come luogo di ritrovo digitale della propria comunità, come secondo polmone digitale della vita che si affianca al polmone analogico (e non più come divertissement serale come i fratelli maggiori nati tra gli anni ’80 e ’90).

Sui social si seguono gli stessi influencer, si vedono gli stessi meme, si commenta sotto gli stessi post, sui social si prova a fare fortuna. E sui social, in definitiva, si è formata parte della coscienza di classe di questa generazione. I social sono la grande esperienza collettiva di questa generazione. Su cui, infatti, si è riversata durante una crisi come quella pandemica. Attraverso la quale cerca di esprimere il proprio interesse per la politica. I social network, e il senso di comunità e di potenza che da essi deriva, danno una speranza e un senso di appartenenza che i disillusi fratelli maggiori nati pochi anni prima probabilmente non hanno. I social network sono potenzialmente un grimaldello per scassinare il sistema, dal momento che i centri di potere tradizionale qui possono ben poco. Un po’ come era stato il proto-web per la base del Movimento5Stelle della prima ora, ma meno da boomer (ma chi è che userebbe oggi la parola “blog”?).

Sui social media la GenZ ha imparato a costruirsi da sola i propri spazi, le proprie pagine, si è costruita da sola i propri corpi intermedi. I nati negli anni ’90/2000 non hanno avuto la fortuna dei nati negli anni ’70/’80, che ancora potevano contare su organizzazioni nazionali e corpi intermedi strutturati a cui iscriversi e di cui diventare parte. No, se li sono dovuti un po’ inventare da soli. E tutto questo è coscienza di classe. Una coscienza di classe forse più “di metodo” che “di contenuto”, poco ideologica e spesso mono-tematica. Ma sicuramente un legame e un riconoscimento collettivo più forte di quanto non si potesse sperare nell’epoca della società liquida. E ciò ora può essere messo al servizio di un cambiamento, se sapremo agire collettivamente, forti delle esperienze comuni che ci hanno dato coscienza di classe, e non disperderci in uno scomposto individualismo. 

Autore

Sono nato nel 1996 a Terni, per dimostrare che l'Umbria esiste e non farà la fine del Molise. Studio economia a Milano e faccio l'assistente di ricerca. Mi piacciono i portici di Bologna, i ragazzi e la torta Sacher.

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