I videogiochi indipendenti (tra flop e audacia creativa)

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Il mondo dei videogiochi (di cui ci siamo recentemente occupati qui) sta vedendo un incremento significativo di arrivi sul mercato di titoli provenienti da piccoli sviluppatori indipendenti.
Questi giochi alle volte rappresentano un azzardo non sempre riuscito, ma ci sono casi in cui riescono a ritagliarsi anche un discreto spazio all’interno del settore con opere capaci di superare il pubblico di nicchia e di ottenere un apprezzamento più ampio di critica e pubblico che può diventare foriero di maggiori guadagni.

Mentre i grandi studi di sviluppo – quando non prossimi a fusioni o acquisizioni miliardarie – tendono a concentrarsi su produzioni di massa e franchise consolidati (che possono portare al successo oppure a grandi tagli al personale), le produzioni indipendenti sfidano e in alcuni casi ridefiniscono i confini della creatività con esperienze audaci, realizzate generalmente con fondi limitati ma con grande libertà di manovra.


Uno dei fattori di successo? La libertà creativa

Uno degli aspetti più affascinanti che si riscontra in molti tra i videogiochi indie è la libertà creativa apportata dagli sviluppatori e dai gruppi di lavoro.
Senza la necessità di dover soddisfare – e sottostare – le aspettative degli
investitori e dei dirigenti delle software house, infatti, gli sviluppatori possono esplorare in piena autonomia le proprie idee originali e sperimentare con nuovi generi, stili visivi e narrazioni.

Solo prendendo ad esempio gli ultimi dieci anni, ci sono esempi lodevoli nonché coinvolgenti di videogiochi di successo realizzati da sviluppatori indipendenti.
Dai titoli creati da piccoli gruppi di lavoro come l’apprezzato survival horror “Project Zomboid” (2013), il gioco di ruolo tattico a turni “Battle Brothers” (2017) e i più recenti “Edge of Sanity” e “Songs of Silence” usciti in accesso anticipato lo scorso anno, fino a opere create da un singolo individuo in ogni suo elemento come il sempre più celebre gestionale medievale “Manor Lords” (sebbene sia ancora in fase di sviluppo, ha finora venduto oltre tre milioni di copie in poco meno di un anno).
C’è spazio anche per un po’ d’Italia in questo elenco con
“Last Day of June”, un’esperienza grafica decisamente poetica (c’è di mezzo Steven Wilson e la sua musica) realizzata nel 2017 dallo studio indipendente Ovosonico (dal 2020 noto come Avantgarden).

Questi sono soltanto alcuni esempi di opere apprezzate per originalità e creatività (anche per gli stili grafici utilizzati che richiamano in alcuni casi all’arte, come in “Songs of Silence” o in “Last Day of June”).


Il ruolo delle piattaforme digitali nell’affermazione dei titoli indipendenti

Un altro fattore positivo per le produzioni indipendenti è rappresentato dall’avvento delle piattaforme di distribuzione digitale (Steam in primo luogo, ma anche GOG o itch.io), una vera e propria svolta per gli sviluppatori indipendenti perché ha trasformato il mercato dei videogiochi: prima della nascita delle piattaforme digitali, gli sviluppatori erano infatti costretti a dedicare notevoli risorse economiche per poter entrare nei canali di distribuzione tradizionali (ora in graduale declino).
Questo ha portato a una sorta di “democratizzazione” della distribuzione, con un impatto positivo sull’industria che ha permesso a molte piccole realtà di emergere e ottenere il riconoscimento che meritano.

C’è però anche un rovescio della medaglia in uno scenario di questo tipo, dal momento che tali cambiamenti hanno riguardato anche un aspetto molto rilevante, quasi “culturale” sul tema: il videogioco diventa sempre meno “fisico” e – come molti altri beni digitalizzati – non rappresenta più un qualcosa di cui si ha concreto possesso nell’acquisto, ma soltanto un’opera di cui si usufruisce su licenza. In breve, il possesso viene sempre più sostituito dalla fruizione da parte dell’utente finale (il videogiocatore) e questo implica che le piattaforme possono bloccare quel titolo o rimuoverlo dal proprio catalogo in modo unilaterale.


Un bel gioco non nasce solo dagli studi “AAA”

Il panorama dei videogiochi indie ha dimostrato che la creatività non ha confini, e che le idee più originali possono nascere anche all’interno di studi più piccoli e con “minore potenza di fuoco” (all’apparenza).
Gli sviluppatori hanno la libertà di esplorare senza restrizioni, portando innovazione non solo nelle meccaniche di gioco, ma anche nella narrazione e nell’esperienza complessiva.
In un’industria sempre più dominata dalle produzioni “tripla A” (il parametro che rappresenta la massima popolarità nel pubblico e – di conseguenza – l’eccellenza) i videogiochi degli studi indipendenti possono rappresentare una sfida con ampie possibilità di successo per chi è in cerca di esperienze nuove, stimolanti e creative.

Un’immagine dal videogioco “Battle Brothers” (fonte immagine: Overhype Studios/Facebook)

NdA: L’immagine di copertina è stata realizzata con l’utilizzo di software di creazione immagini IA di Canva (DreamLab) su input testuale dell’autore del presente articolo.

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