Nel pieno della seconda amministrazione targata Donald Trump, il Presidente degli Stati Uniti d’America ha messo il mirino sul sistema accademico statunitense che, secondo il tycoon newyorkese e i suoi sostenitori all’interno del Partito Repubblicano e nel suo elettorato, è stato minato e corrotto da anni di indottrinamento ideologico radicale, sostenuto e supportato dalla sinistra statunitense e – nello specifico – negli ultimi quattro anni dell’amministrazione democratica di Joe Biden.
Le radici di questa presa di posizione trumpiana sono profonde e vanno indietro del tempo ponendosi ben al di là dei quattro anni della presidenza Biden eppure, allo stesso tempo, va specificato come – nell’ottica repubblicana e della destra statunitense – il periodo della guida democratica della Casa Bianca abbia contribuito a esacerbare e a infiammare ulteriormente una situazione quantomeno problematica, in una società sempre più polarizzata in questi anni come quella “a stelle e strisce”.

Una fotografia del 18 aprile 2024 mostra il primo “Gaza Solidarity Encampment” allestito all’interno del campus della Columbia University di New York, poco prima dell’intervento delle forze di polizia della NYPD.
Fonte immagine: عباد ديرانية / Wikimedia Commons (opera di dominio pubblico)
Le proteste universitarie prima del ritorno di Trump – Una breve cronistoria

La Segretaria dell’Istruzione statunitense Linda McMahon in una visita alla “Doral Academy Preparatory School” di Doral (Florida).
Fonte immagine: U.S. Department of Education / Wikimedia Commons (licenza d’uso CC BY 2.0)
In un calderone così esplosivo, la nuova escalation nel conflitto israelo-palestinese partita il 7 ottobre 2023 – con la successiva controffensiva israeliana e i sistematici massacri di civili nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania – ha rappresentato un evento catalizzatore delle proteste di una parte della popolazione, in aperta rottura con il pieno sostegno di Biden e della maggioranza del Congresso alle operazioni militari del governo di Benjamin Netanyahu, supportate tralaltro con ingenti aiuti militari [1].
Le numerose manifestazioni di protesta avviate negli Stati Uniti tra la fine del 2023 e tutto il 2024 e – da ultimo – le occupazioni dei campus dei principali atenei statunitensi come quelli della Berkley University, della Harvard University e della Columbia University (in alto, NdA) hanno fatto il resto, divenendo l’appiglio bipartisan per la politica neo-conservatrice statunitense, da sempre schierata a difesa dello stato d’Israele.
Da una parte, l’azione congiunta tra governo federale, rettori delle università e le forze di polizia nelle città di Berkley, Cambridge e New York per reprimere brutalmente le azioni dei manifestanti filopalestinesi; dall’altra l’intervento della politica, nel pieno della corsa alle elezioni presidenziali del novembre 2024.
Tra i due candidati nella contesa tra Democratici e Repubblicani – divenuti poi tre con il disastroso scambio tra Joe Biden e la sua vice Kamala Harris – chi ha avuto un maggiore beneficio politico dalla situazione delle proteste universitarie è stato Donald Trump che, nei suoi comizi in giro per la Nazione, ha avuto modo di scagliarsi in più occasioni contro “le occupazioni illegali” messe in atto dagli “estremisti e agitatori della sinistra radicale”, promettendo un intervento netto in caso di rielezione alla Casa Bianca. Della serie, “detto, fatto”.
In seguito alla netta affermazione alle elezioni presidenziali, tra il 19 e il 20 novembre 2024, il neoeletto Trump ha potuto annunciare la scelta del suo nuovo Segretario all’Istruzione nella persona di Linda McMahon (in alto a destra, NdA), ex amministratrice delegata della World Wrestling Entertainment (WWE), moglie del suo fondatore Vince McMahon nonché – assieme al marito – presente nell’elenco dei principali donatori del Partito Repubblicano.
La nomina è stata in seguito approvata dal Senato statunitense lo scorso 3 marzo.
La “guerra culturale” di Donald Trump tra i suoi due mandati presidenziali
Già durante gli anni del primo mandato presidenziale Donald Trump si era scagliato concretamente contro l’impianto del sistema educativo statunitense [2], dalle scuole dell’infanzia fino ad arrivare alle università del Paese, quest’ultime oggetto di una particolare attenzione da parte del presidente in quanto già allora accusate in numerose occasioni di essere permeate da un fortissimo orientamento politico e ideologico verso l’estrema sinistra al punto da impedire de facto l’esercizio della libera espressione e pensiero (il richiamo al “free speech”) all’interno degli spazi accademici.
Le accuse mosse da Trump contro “l’indottrinamento radicale marxista” (uno dei vari epiteti utilizzati dal tycoon nelle sue dichiarazioni pubbliche come nei messaggi sulle piattaforme social) vennero rivolte già allora nei confronti di una delle istituzioni accademiche d’eccellenza degli Stati Uniti d’America: la Harvard University, oggetto di molteplici minacce nel 2020, con la fase più acuta della pandemia di COVID-19, sull’accesso alle risorse federali e sulla potenziale revoca delle agevolazioni fiscali [3].
A distanza di cinque anni, dopo gli effetti che l’amministrazione democratica della Casa Bianca ha portato (e sostenuto) all’interno della società statunitense (es. la massiccia implementazione delle c.d. “politiche DEI – Diversity, Equity, Inclusion” nei settori pubblici e privati della Nazione e la radicalizzazione dell’opinione pubblica e la diffusione della c.d. “cancel culture” volta alla rimozione di elementi, personaggi e idee legate alla storia statunitense e – in senso lato – quella occidentale in quanto divisivi), il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha dato vita a un intervento ancora più pervasivo, come per voler rimettere mano a delle questioni lasciate in sospeso.
A contribuire a questa netta accelerazione in corso nell’ambito delle “riforme” del sistema educativo statunitense, come riportato precedentemente, sono state evidentemente le proteste e le manifestazioni scoppiate lo scorso anno all’interno dei principali campus universitari d’America per scuotere e mobilitare l’opinione pubblica sul genocidio in atto nei confronti del popolo palestinese e sui massacri quotidiani della popolazione per mano israeliana.
Eventi che, con un paese ancora più diviso e polarizzato dopo le elezioni del 2024, hanno scatenato l’indignazione e l’ira dei sostenitori dello stato d’Israele negli Stati Uniti, specie all’interno del Grand Old Party repubblicano e nella macrogalassia MAGA – Make America Great Again.

Fonte immagine: The Trump White House / X (opera di pubblico dominio)
La “Golden Age of America” che è più vicina a un Maccartismo 2.0
Da questo punto in avanti si osserva il paradosso del neopuritanesimo tipico della società statunitense, per la quale non esistono filtri nell’approcciare le cose e che opta per le cesure nette con ciò che è da epurare. O tutto è bianco o tutto è nero, nel senso letterale del termine.
Dall’abbattimento delle statue dei presidenti confederati e dalla trasformazione orwelliana del linguaggio sull’onda del “risveglio” ultraprogressista statunitense durante gli anni di Biden, si è passati infatti alla controoffensiva della seconda amministrazione Trump a colpi di ordini esecutivi.
Il “repulisti” di qualunque elemento legato alle “politiche DEI” all’interno degli apparati governativi federali ne è un esempio evidente, che è arrivato a colpire persino gli archivi storici digitali dai quali sono stati rimossi centinaia di migliaia di documenti, testi, opere e voci su Internet legate alla maggior rappresentanza delle minoranze etniche degli Stati Uniti, andando però a colpire anche figure rilevanti della storia contemporanea statunitense.
Nell’ambito accademico, infine, si arriva alla cronaca dell’ultimo mese e mezzo che ha visto il presidente Trump intento ad applicare il pugno di ferro contro le università “ribelli” nelle roccaforti liberal della Nazione attraverso una serie di ordini esecutivi volti da una parte a promuovere la meritocrazia e il buonsenso nel sistema educativo statunitense e dall’altra a vincolare l’accesso ai fondi e alle agevolazioni federali per gli atenei all’ottemperamento dell’agenda politica trumpiana.
In particolar modo, all’applicazione della definizione di antisemitismo promulgata dalla IHRA (International Holocaust Remembrance Association) all’interno dei campus universitari.
Se da una parte c’è chi, come la Columbia University, ha ottemperato alle richieste pressanti del presidente Trump e ha ricevuto in cambio la reazione sgomenta della sua comunità studentesca [4], altre università hanno deciso di non piegarsi alle ingerenze presidenziali in nome della libertà accademica come nel caso della Harvard University.
Un atto, quello portato avanti dal rettore di Harvard Alan Garber, che ha portato allo scontro frontale tra la Casa Bianca e l’università del Massachusetts.
Un attacco senza precedenti in una vera e propria campagna denigratoria portata avanti sui social dallo stesso presidente statunitense che, come avvenuto nel suo primo mandato, ha puntato all’elemento chiave nelle dinamiche politiche del Paese: le risorse economiche, ordinando dapprima il congelamento temporaneo di fondi federali per un valore di tre miliardi di dollari (la questione, oggetto di una causa intentata da Harvard contro l’amministrazione Trump, è stata successivamente bloccata da una corte federale) e in seguito il taglio di tutte le collaborazioni federali con Harvard (che ammonterebbe ad altri cento milioni di dollari persi), fino ad arrivare alla recentissima revoca dell’accesso agli studenti stranieri all’università [5].
Anche in questo caso, l’intervento presidenziale è stato temporaneamente bloccato dall’intervento di una corte federale.
Gli arresti di Mahmood Khalil (8 marzo) e della studentessa turca della Tufts University, Rümeysa Öztürk (25 marzo) da parte dei funzionari dell’agenzia dell’immigrazione statunitense sono stati tra i casi più eclatanti della recente pressione politica statunitense esercitata per reprimere il dissenso “anti-americano” nel territorio nazionale, ovvero la presenza di letture della realtà che siano sgradite all’attuale presidenza degli Stati Uniti.
A distanza di più di quattro mesi dal roboante inizio dell’ “Età dell’Oro dell’America”, come annunciato dallo stesso Trump nella gremita Rotonda del Campidoglio di Washington D.C. , si osserva più che altro come il secondo atto trumpiano alla Casa Bianca, più che guardare al “rendere di nuovo grande l’America”, stia prendendo ispirazione a periodi del proprio passato nel richiamare a nuove cacce alle streghe come quelle che avvennero durante il Maccartismo degli anni ‘50 e ‘60.
Allora la minaccia che incuteva il terrore nella popolazione era incarnata dai potenziali agenti dell’Unione Sovietica, chi è invece il “nemico” di oggi?

Una foto delle proteste organizzate lo scorso 10 marzo al Thomas Paine Park di New York contro la detenzione di Mahmood Khalil.
Fonte immagine: SWinxy / Wikimedia Commons (licenza d’uso CC BY 4.0)
Note e riferimenti aggiuntivi
[1] Stando alle stime quantificate dal Costs Of War Project della Brown University, nel periodo ottobre 2023-ottobre 2024 il Congresso statunitense ha approvato l’invio di armamenti e sistemi di difesa per Israele per un valore complessivo di circa 18 miliardi di dollari.
[2] Nei quattro anni della prima amministrazione Trump si ricordano la firma di alcuni ordini esecutivi in merito all’istruzione e alle università, tra il febbraio e l’aprile 2017 nei quali il governo statunitense interveniva sulla formazione accademica all’interno dei c.d. “Historically Black Colleges and Universities” (HBCU) e, in secondo luogo, sulla riorganizzazione delle competenze federali in materia a favore di una maggiore autonomia e controllo statale.
Un terzo ordine esecutivo, firmato dal presidente nel marzo del 2019, riaffermava infine l’impegno del governo federale “per promuovere il libero confronto”– al pari della ricerca – “all’interno dei campus liceali e universitari”.
Si fa riferimento all’Ordine Esecutivo 13779 (“White House Initiative To Promote Excellence and Innovation at Historically Black Colleges and Universities”, 28/02/2017), all’Ordine Esecutivo 13791 (“Enforcing Statutory Prohibitions on Federal Control of Education”, 26/04/2017) e all’Ordine Esecutivo 13864 (“Improving Free Inquiry, Transparency, and Accountability at Colleges and Universities”, 21/03/2019)
[3] Nel periodo più critico della pandemia da COVID-19 negli Stati Uniti, l’amministrazione Trump e il Congresso avevano messo in campo importanti misure e stanziamenti economici per sostenere e stimolare le attività danneggiate dall’impatto della quarantena e della grave crisi legata al coronavirus.
In seguito alle pesanti critiche del presidente rivolte alle ingenti disponibilità economiche delle università d’élite del paese, però, la Harvard University aveva deciso di non accettare i fondi e le agevolazioni federali per un valore di quasi nove miliardi di dollari.
Qualche mese dopo, nel luglio 2020, il presidente statunitense commentava con una serie di messaggi su Twitter (ora X) la situazione dei campus liceali e universitari oggetto “dell’indottrinamento e non dell’educazione della sinistra radicale”, ordinando l’intervento del Dipartimento del Tesoro “per riesaminare il loro status di esenzione fiscale”.
In riferimento alla Harvard University, si rimanda a “Harvard to reject $8.7m in federal aid after Trump cites school’s endowment” (The Guardian, 23/04/2020, ultima consultazione il 31/05/2025)
In riferimento alle dichiarazioni di Trump, si rimanda a @realDonaldTrump/X (10/07/2020, ultima consultazione il 31/05/2025)
[4] Lo scorso 20 maggio, in occasione della cerimonia di laurea, la rettrice ad interim della Columbia University Claire Shipman è stata oggetto di una pesante contestazione da parte degli studenti, che l’hanno fischiata per tutta la durata del suo discorso intonando canti e grida in favore di Mahmoud Khalil, studente della Columbia e anima delle proteste filopalestinesi arrestato lo scorso 8 marzo da dei funzionari dell’ICE (Immigration and Customs Enforcement).
Si rimanda a riguardo a “Columbia students heckle acting university president at graduation | AJ #shorts (@aljazeeraenglish / Youtube, 21/05/2025, ultima consultazione 31/05/2025)
[5] Pochi giorni fa il Dipartimento di Stato statunitense guidato da Marco Rubio, su ordine di Trump, ha bloccato l’iter per i visti per studenti all’interno di tutte le ambasciate statunitensi del mondo, richiedendo inoltre ai funzionari di effettuare un accurato controllo preliminare delle attività dei richiedenti sulle piattaforme social (una mossa, quest’ultima, dal chiaro intento intimidatorio per individuare eventuali attività filopalestinesi degli stessi richiedenti).
Nell’immagine di copertina: “Dallo Studio Ovale della Casa Bianca, il presidente Donald Trump firma una serie di ordini esecutivi per le “Historically Black Colleges and Universities” (HBCU) alla presenza del Segretario per l’Istruzione Linda McMahon (fotografia di Molly Riley)
Fonte immagine: The White House/Flickr (opera di dominio pubblico)”