“Bloody Sunday” – Il massacro di Derry 53 anni fa

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“Sunday Bloody Sunday”, così era intitolata la celebre canzone degli U2 del 1983 dedicata al tragico evento noto popolarmente con il nome di “Bloody Sunday”[1] di cui oggi ricorrono i cinquantatré anni.
Il massacro compiuto dalle forze armate britanniche contro vittime civili a
Derry (Irlanda del Nord) nel pieno dei c.d. Troubles, termine con il quale storicamente vengono descritti e riuniti i trent’anni della guerra civile nordirlandese (1968-1998) che vide contrapposti i cattolici repubblicani e gli unionisti protestanti, quest’ultimi attivamente sostenuti dal Regno Unito.
Il conflitto civile è finito ufficialmente quasi ventisette anni fa con la firma degli Accordi del Venerdì Santo, ma il ricordo rimane ancora vivo nella popolazione nordirlandese, che si ritrova in una convivenza forzata e solo apparentemente normalizzata.
I traumi nelle famiglie infatti sono sempre pronti a riemergere – come avvenuto in qualche sporadica recrudescenza negli ultimi anni – specie in quelle che hanno pagato il prezzo più alto.


Cronistoria di un massacro – Cosa avvenne il 30 gennaio 1972?

Ripercorriamo brevemente i fatti di cronaca di quanto avvenne in quella domenica di gennaio del 1972. 
A Derry (Londonderry per gli unionisti) è in corso una manifestazione promossa dalla NICRA (Northern Ireland Civil Rights Association) contro gli arresti preventivi di massa nella comunità cattolica repubblicana portati avanti da Londra con l’Operazione Demetrius.
La manifestazione viene organizzata nel pieno della guerra civile che imperversa nella contea dell’Ulster, e vede la partecipazione di un numero stimato tra le 10.000 e le 15.000 persone.

I cittadini sfilano per le strade del Bogside, il quartiere cattolico di Derry, ma il percorso “concordato” con le autorità locali viene interrotto e i manifestanti forzano i blocchi.
I reparti speciali del 1° Parachute Batallion dell’esercito britannico intervengono alle 13:55 quando cominciano a sparare sui manifestanti sospettati di essere armati di bombe e pistole, i primi colpi di una giornata insanguinata. Nelle ore seguenti, i reparti speciali danno inizio al massacro, spingendosi ben oltre gli ordini ricevuti e disperdendo la folla in modo sanguinoso e brutale in quattro zone specifiche del quartiere di Bogside.
John “Jackie” Duddy, un ragazzino di soli 17 anni, viene colpito alle spalle dai colpi d’arma da fuoco dei soldati e stramazza al suolo: è la prima vittima di quella giornata. Molti altri condividono la sua tragica sorte, raggiunti anch’essi alle spalle dai proiettili britannici, oltre che dalle manganellate dei soldati.

Il bilancio è di 13 morti e di 16 feriti, tutti cattolici e tutti disarmati.
A qualche mese di distanza, infine, è il cinquantanovenne John Johnston a morire dopo una lunga agonia per le ferite riconducibili all’attacco dei reparti speciali britannici, diventando così la vittima numero quattordici di quella tragica giornata, nonché il più anziano tra i caduti. Tanti invece i giovanissimi, proprio come “Jackie” Duffy: molte delle vittime avevano a malapena diciassette anni.


Il lungo silenzio e il “mea culpa” fin troppo tardivo

A cinquantatré anni dai tragici eventi del Bloody Sunday, i sopravvissuti e i familiari delle vittime continuano a chiedere giustizia per i loro cari caduti in quella terribile giornata e si preparano alla prossima marcia organizzata per il prossimo 2 febbraio.
Non sono bastate due commissioni d’inchiesta istituite da Londra in oltre cinquant’anni per fare luce su quanto avvenuto in quella tragica giornata, tra gravi accuse di depistaggio e insabbiamento delle prove contro il brutale operato delle forze britanniche contro dei civili disarmati in una manifestazione pacifica (il 1° Parachute Batallion si era reso partecipe di un altro massacro tre anni prima, a Ballymurphy).

La storia del Bloody Sunday del 1972 è rimasta a lungo sepolta nell’oblio (molto probabilmente voluto), come per molte altre storie legate ai Troubles e alla guerra contro le forze paramilitari dell’Irish Republican Army (IRA). Allo stato attuale, infatti, ci sono soltanto le conclusioni del c.d. “Rapporto Saville” del 15 giugno 2010, presentate dopo oltre dodici anni dall’istituzione della seconda commissione d’inchiesta da parte di Tony Blair, che hanno stabilito come la reazione fosse stata del tutto sproporzionata e ingiustificata. 

Inoltre, la morte del Gen. Sir Michael David Jackson avvenuta lo scorso 15 ottobre non ha fatto altro che ravvivare la rabbia nei familiari delle vittime: l’ex Capo di Stato Maggiore della British Army, all’epoca dei fatti, si trovava infatti a Derry con il grado di adjutant del battaglione di parà britannico.
Un comunicato veemente pubblicato dal Bloody Sunday Trust il giorno dopo la sua morte riportava parole che non lasciavano dubbi o fraintendimenti: “A nome di tutte le famiglie del Bloody Sunday e di tutte quelle i cui cari sono stati assassinati dall’Esercito Britannico, non ci sarà cordoglio per la sua scomparsa.

Il Bloody Sunday Memorial eretto a Derry, in Irlanda del Nord (Ian S / Bloody Sunday Memorial / CC BY-SA 2.0)
Fonte immagine: Ian S / Wikimedia Commons

[1] Il nome “Bloody Sunday” richiama la memoria a un altro terribile eccidio avvenuto il 21 novembre 1920, nel pieno della guerra d’indipendenza dell’Éire (Irlanda in gaelico, NdA) dall’allora Impero Britannico.
Un’altra mattanza con ottanta feriti e diciassette morti, quattordici dei quali vennero trucidate dai tristemente famigerati Black And Tans” britannici durante una partita di calcio gaelico presso il Croke Park di Dublino.

In copertina: ” “You are now entering Free Derry”. L’ingresso al Free Derry Corner di Derry (Irlanda del Nord).” Fonte immagine: Hossam el-Hamalawy/Flickr (licenza d’uso CC BY 2.0)

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