Elsa Morante ha vinto il Premio Strega con L’Isola di Arturo ma non ha scritto solo quello

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Il mondo salvato dai ragazzini” è il libro poetico più radicale del Sessantotto, un manifesto politico di quella nuova sinistra che in Italia pare non poter esistere

La più grande

Il 5 luglio 1957 Elsa Morante vince il Premio Strega con L’isola di Arturo. Prima donna ad aggiudicarsi il più prestigioso riconoscimento letterario italiano, entra nella storia della letteratura nazionale con un romanzo che è un mito d’infanzia, di eros e di abbandono. Ma Elsa Morante non è stata soltanto l’autrice de L’isola di Arturo. E nemmeno solo quella de La Storia, pubblicato nel ’74, il libro che portò la scrittrice nelle case degli italiani, facendo scandalo tra critici e lettori borghesi. No, Elsa Morante è stata, prima di tutto,  poeta. “Poeta” e non poetessa, come preferiva definirsi, sulla scia della sua maestra ideale Marina Cvetaeva.

E proprio Cvetaeva, l’inafferrabile, l’inappartenente, è citata in apertura del suo libro più scandaloso e meno compreso: Il mondo salvato dai ragazzini, uscito nel 1968.

“O stella irsuta che corri senza punto d’arrivo da un terribile punto di partenza che non esiste”

Eppure, come ricorda Goffredo Fofi, Il mondo salvato dai ragazzini andrebbe messo accanto a Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana e Contro l’Università di Guido Viale. 

Non è solo una raccolta di poesie, ma un poema-mondo, un’opera furente e disperata, incisa nella lingua e nel corpo come un gesto definitivo. Gli addetti ai lavori lo considerano da tempo il più grande libro poetico del Sessantotto. Eppure nel dibattito pubblico è rimasto ai margini, oscurato, incompreso, esiliato nel recinto dell’eccentricità femminile o dell’irrazionale.

Tu ne avevi mai sentito parlare?

In realtà, questo libro è il testamento di una rivoluzione impossibile ma necessaria. In un’epoca che preparava la resa, Elsa Morante ha offerto la sua ultima ribellione. Non è una ribellione teorica, ma visionaria, quasi religiosa, fatta di bambini, clandestini, fuggiaschi, giustiziati, aztechi assassinati, ragazzini impiccati e resuscitati in una pizzeria improvvisata nei boschi. Tutto sembra una favola, ma è terribilmente reale.

 «A chi le domandi il suo ideale politico, risponde che è un’anarchia, dalla quale si escluda ogni forma di potere e di violenza. Essa non ignora naturalmente che si tratta di un’utopia, ma è convinta, d’altra parte, che l’utopia è il motore del mondo e la sola, reale giustificazione della Storia».

( Morante, Il mondo salvato dai ragazzini (ed. 1971), Nota introduttiva, VII).

immagine tratta da “Il mondo salvato dai ragazzini” di Elsa Morante

«Edipo oggi è un relitto umano. / Cieco, vecchio, impotente. / Nessuno lo vuole. Nessuno lo può vedere»

Nella riscrittura morantiana, Edipo non è più l’eroe tragico che interroga gli dèi, ma un uomo disfatto, cieco e malato, abbandonato tra i rifiuti. Ridotto a “vecchio infame”, non incarna più la gloria del passato ma la miseria del presente, in cui non c’è spazio per il dolore, né ascolto per chi cerca verità. Edipo diventa il simbolo degli scarti umani della società contemporanea: esclusi, disprezzati, invisibili. Morante lo trasforma in un re senza regno né rispetto, che vaga nel silenzio assordante dell’indifferenza collettiva, specchio crudele del nostro tempo.

Tuttavia, il vero rivoluzionario, nell’opera, è il Pazzariello: un giullare, un bambino adulto, un sovversivo che porta con sé la furia del gioco. Il suo gesto è l’ocarina, il suono inutile che scardina il linguaggio del potere. La sua missione è smontare la grande macchina della violenza con il riso e la tenerezza. In lui si incarna il cuore del libro: la disobbedienza, la sfrontatezza, la furia (nel senso etimologico: la voce delle Furie), e insieme la purezza infantile, invincibile perché non ha nulla da perdere.

Il mondo, ci dice Morante, non lo si cambia con le parole d’ordine, ma con una visione. E la visione non può che partire dai Felici Pochi, quelli che ancora non sono stati addomesticati.

«NI SOSTANZA E VERITÀ TUTTO QUESTO NON È NIENT’ALTRO CHE UN GIOCO»

Il linguaggio di questo libro è impastato di dialetti, con frasi in francese, invenzioni, errori ortografici, improvvise liturgie e interruzioni comiche. Sembrerebbe un parallelo Futurista. Come in Artaud, come nei cori antichi, è la lingua a farsi corpo, carne ferita e carne danzante. Niente è puro, niente è pulito: la poesia si mescola al pastiche teatrale, al comico e al tragico, al delirio e al sarcasmo.

Morante scrive come se non ci fosse più nulla da perdere. E in effetti, nel 1968, capisce che tutto è già stato perduto. La rivoluzione ha mancato il suo bersaglio. Il mondo ha preferito normalizzare tutto: i sogni, le parole, persino i ragazzini. Ma Morante non ci sta, e per questo crea una voce corale.

immagine tratta da “Il mondo salvato dai ragazzini” di Elsa Morante

«Il segreto unico è questo: che non c’è segreto»

Come Marina Cvetaeva, Morante rifiuta l’etichetta di “poetessa”. Non per snobismo, ma per un rifiuto viscerale di ogni riduzione. Le donne scrittrici, ancora oggi, vengono archiviate come “sensibili”, “minori”, “private”. Ma il suo libro è un attacco frontale alla storia, al patriarcato al dominio in tutte le sue forme. 

“Qua si può discutere di Cristo e di Budda

e della ignominia occidentale detta classe media

e della rivoluzione di Cuba

e dei bianchi, pieni di soldi, benpensanti e benlavati, che [puzzano di cesso e dei ne**i poveri che odorano di fiore

e delle immonde guerre dei padri e delle loro squallide [paci e delle loro istituzioni speculazioni missioni invenzioni [provvidenze sanzioni

tutte stronzate di vacca”. (Il mondo salvato dai ragazzini, Morante)

Il Pazzariello e la Sposina zingarella incarnano l’alternativa a un mondo corrotto, bellico, patriarcale. E non a caso, Il mondo salvato dai ragazzini è stato rifiutato dal canone.

L’aveva capito bene Annamaria Frabotta, che cercò di includerla in un’antologia tutta femminile. Ma Morante disse no. Disse no con fierezza, perché lei si definiva poeta, come il suo destino e la sua furia pretendevano.

 «”Sei felice?” “Che domanda!” “Che domanda non vuol dire sì”»

 da “Il mondo salvato dai ragazzini” di Elsa Morante

Nel cuore del libro, la Canzone clandestina della Grande Opera disegna un teatro in movimento, un carrozzone che gira il mondo senza regole, senza spiegazione. Le sue quinte cambiano volto continuamente: da una parte sono allegre, dall’altra spaventose, e ogni spettatore vede una scena diversa.

Non è difficile riconoscere in questo ingranaggio folle la rappresentazione del nostro presente. Viviamo in una realtà che si presenta come spettacolo: algoritmica, caotica, manipolabile. Ma non abbiamo controllo su nulla. Ogni scelta è un azzardo, ogni presa di posizione è un rischio, ogni punto di vista è un inganno.

Il mondo contemporaneo è questo teatro mobile. E Morante ce l’ha mostrato prima di tutti.

 «Chi vede l’Opera da un lato, s’impaurisce, urla e singhiozza, mentre chi la vede da un altro, si delizia, o ride, o sbadiglia».

In foto: al centro Elsa Morante, alla sua destra Bernardo Bertolucci, Adriana Asti e Pierpaolo Pasolini

«L’IRREALTÀ è l’oppio dei popoli»

Come ne scrisse Pasolini sul settimanale «Tempo» nella rubrica Caos (Il Caos n. 35, 27 agosto 1968):

Il libro della Morante è addirittura un manifesto politico. Il manifesto politico, potrei dire paradossalmente, di quella nuova sinistra che in Italia pare non poter esistere, crescere, riaffondando subito nel vecchio qualunquismo, e nel complementare moralismo. Un manifesto politico scritto con la grazia della favola, con umorismo, con gioia […] ed è dunque arduo per un lettore e un critico comprendere come, invece, il fondo di questo libro sia atrocemente funebre, e contenga tutte le ossessioni del mondo moderno: l’atomica, la morale dei consumi e il profondo desiderio di autodistruzione, non più come flatus vocis, o luoghi comuni, ma come elementi assolutamente originali e vissuti personalmente, dentro un sistema linguistico così comunicativo da scandalizzare. 

Nel poema centrale (La Canzone di Giuda e dello Sposalizio), Morante racconta la morte, la fuga, il trauma, la povertà e la resurrezione come se fossero scene della stessa veglia onirica. Il protagonista Mutria seppellisce un morto incontrato in un bosco, ruba mille lire, poi si addormenta. Al suo risveglio c’è una Sposina nuda e viva che gli promette amore eterno, e insieme inventano una festa fatta di ladrocinio, felicità e fame.

Non è pornografia. Non è favola. È la verità vista con occhi puri.

 «Che pensieri ciai nell’anima? Oggi non è giorno di pensieri. È il giorno del nostro sposalizio!»

 «Tu mi distraevi dall’insonnia con le tue favole e ascoltavi come fiabe le profezie disperate dei miei sogni. Mi promettevi che sarei stato un re sulla terra, mentre la terra mi scacciava»

Oggi, noi viviamo in un tempo che ha paura della ribellione. Un tempo anestetizzato, dove le parole vengono depotenziate, i gesti politici ridotti a like, e i ragazzini vengono sedati con contenuti ottimizzati. Nessuno urla. Nessuno spacca niente. Siamo animali domestici che aspettano il pasto, mentre tutto brucia.

Ma la Morante ci ha lasciato un’eredità scomoda: la disobbedienza dei puri. La voce dei ragazzini che gridano mentre gli adulti costruiscono le forche. La poesia che non chiede permesso. Il grido dei Felici Pochi che ci ricordano che non ci salveremo da soli, e che non ci salveremo se continuiamo a obbedire.

Rileggere oggi Il mondo salvato dai ragazzini significa rompere il silenzio. Significa recuperare la furia, l’intelligenza e l’incanto. Significa accettare che è possibile stare al mondo senza accettarlo. E che la letteratura, quando dice la verità, non è una consolazione: gioca in attacco.Elsa Morante ha scritto un libro che scotta. Un libro che ancora ci guarda e ci giudica. Non basta celebrarla per L’isola di Arturo. Bisogna scoprirla in profondità. Ci ha lasciato indizi preziosi, con tutte le parole che sapeva, per salvare un mondo intero. Dai grandi. Da noi.

Autore

Sono pugliese ma ho studiato fuori. Sto imparando a prendere le cose fragili con le mani bagnate. Ho scritto due libri di poesie. Amo la letteratura e una volta ho litigato con un prete.

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