In questi giorni i titoli di molti articoli fanno riferimento ad un problema la cui causa sembra essere riconducibile al covid. Secondo una ricerca condotta dall’European Council on Foreign Relations, in Europa il covid-19 ha creato una spaccatura sociale, generazionale e geografica, con possibili impatti politici drammatici. Ma davvero la colpa di questa frattura è soltanto della pandemia, oppure questi problemi esistevano anche prima?
Ciò che è emerso dal sondaggio, effettuato in 12 stati dell’Unione europea, è che in base alle diverse percezioni, il continente europeo si sarebbe spaccato in due con l’arrivo della pandemia. Infatti, mentre la maggior parte dei paesi settentrionali e occidentali hanno affermato di non aver subito gravi conseguenze economiche e sanitarie, negli stati meridionali e orientali si sono registrate significative sfide personali.
Inoltre, la spaccatura sembra essere presente anche all’interno degli stessi paesi; lo studio ha rivelato un netto divario generazionale: il 64% degli intervistati di età superiore ai 60 anni hanno affermato di non aver subito ripercussioni personali, al contrario del 43% degli under 30.
Secondo Ivan Krastev, co-autore dello studio, «è ora che i politici si concentrino sui problemi dei giovani», in particolare per quella generazione che «sente che parte della propria vita e del proprio futuro sia stata sacrificata per il bene dei suoi genitori e dei suoi nonni».
Da quanto emerge dallo studio, i giovani si sentono trascurati o addirittura sacrificati a causa di quella parte della popolazione più fragile, per la maggior parte corrispondente a persone di età superiore ai 60 anni. Ora, se riuscissimo a fare un passo indietro, e ripensassimo alla condizione degli under 30 prima dell’arrivo del covid-19, ci tornerebbero in mente diverse riflessioni sulle difficoltà che i giovani hanno nel trovare il loro posto nel mondo.
Da sempre i giovani si sono preoccupati del loro futuro, hanno protestato per i propri diritti e opportunità negate, affinché ognuno realizzasse i propri sogni, o almeno fosse nella condizione di poterci provare. Che un ragazzo o una ragazza non ancora realizzato\a si senta in una posizione di incertezza e paura è assolutamente fisiologico, ma nella situazione attuale, in cui si parla di sacrificare la propria vita, non si tratta soltanto di questo.
La nostra è una cultura profondamente individualista, che spinge ogni soggetto a ragionare e a comportarsi sempre e soltanto a favore del proprio interesse. In questo processo di atomizzazione, ogni persona si trova in una condizione di solitudine, opposta alla sua naturale; già Aristotele nel libro I della Politica considerava l’’essere umano come “animale sociale” (politikòn zôon), sottolineando il suo bisogno naturale di sentirsi parte di qualcosa di più grande. La tendenza a mettere se stessi e la propria posizione davanti a tutti, provoca una perdita di contatto con la realtà circostante, fino a credere che la propria situazione sia più importante di quella degli altri, o perfino di una pandemia.
Se osserviamo l’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, famoso per rappresentare le proporzioni ideali del corpo umano iscritto nelle due figure “perfette” del cerchio e del quadrato, esso non raffigura né il trionfo né la centralità dell’essere umano. L’idea è quella che l’essere umano si debba pensare in correlazione con il resto dell’universo, in un continuo scambio con ciò che lo circonda, come iscritto in una cosmologia. Con il cambiare delle situazioni al di fuori di noi anche le nostre priorità ed esigenze dovrebbero modificarsi, adattandosi alle circostanze.
I giovani europei costituiscono oggi quella che potrebbe definirsi come una “generazione in crisi”. Nonostante infatti l’età giovanile sia per definizione una fase in cui l’identità del soggetto si costituisce in relazione agli altri, questa condizione è amplificata dal contesto socio-economico ed istituzionale anch’esso critico, caratterizzato da una diffusa incertezza valoriale e identitaria. Una crisi istituzionale ed economica che influenza le condizioni di precarietà lavorativa ed economica dei giovani e non solo. Questa situazione, infatti, sembra favorire un incremento della sfiducia nelle istituzioni sociali e politiche, che vengono così considerate dai giovani come distanti e non interessate alle loro problematiche.
L’ipotesi che dunque viene sostenuta nel contesto europeo attuale, è l’incapacità di rispondere in modo adeguato alle sfide che la società contemporanea pone, e questo provoca un senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni politiche.
Il sentimento di fiducia è unanimemente considerato come il “collante” delle moderne società democratiche. Locke definiva la fiducia come il vincolo fondamentale della società umana, in quanto stabilisce l’obbligo di osservare gli impegni reciproci. Se le componenti di un paese non si fidano l’uno dell’altro, ogni periodo di crisi, o come in questo caso di emergenza sanitaria, risulta più incerto e pericoloso. Non fidandosi delle istituzioni sociali e pubbliche, gli individui tendono a rinchiudersi nel privato e a maturare un sentimento di distacco. Fondamentale è stabilire un nuovo rapporto tra politica e società che tenda a una maggiore trasparenza e sincerità.
I dati riportati dallo studio condotto dall’European Council on Foreign Relations, in cui si dice che il 43% degli under-30 che si è dichiarato scettico sulle motivazioni per cui sono state adottate determinate misure di sicurezza, non risultano così strani alla luce delle riflessioni fatte.
Se vogliamo intravedere il lato “positivo” di un momento storico così unico, forse dovremmo prenderlo come un’occasione per soffermarci su alcuni aspetti che prima non vedevamo o davamo per scontati, provando ad adottare uno sguardo meno miope. Il termine “crisi” nell’uso comune ha assunto un’accezione negativa, significando un peggioramento di una situazione. Se invece riflettiamo sull’etimologia della parola che deriva dal greco krino e significa separare, cernere (in senso più lato discernere, valutare), possiamo coglierne anche una sfumatura positiva. Un momento di crisi intesa come riflessione, può trasformarsi nel presupposto necessario per un miglioramento, per una rinascita, per un rifiorire prossimo.
Autore
Nata e cresciuta nella periferia di Roma, sfuggita al destino di diventare un medico (come i miei genitori), sono approdata a Torino in una scuola di “Storytelling and Performing Arts”. Mangio storie e bevo prosecco. In camera ho appesi i poster di Montaigne. Credo nell’amore per il pensiero, nel potere dell’arte e nella bellezza delle parole.