Cile, ragioni e scenari del no alla Costituzione

Chiamati a giudicare il lavoro dell’Assemblea Costituente, il 4 settembre i cileni hanno rifiutato la nuova carta costituzionale: perchè e cosa succede ora

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Era l’ottobre del 2019 quando il Cile veniva sconvolto dalla contestazione popolare più intensa dai tempi della dittatura di Pinochet.
Iniziate a Santiago come reazione dei più giovani al rincaro dei prezzi della metro, le proteste diedero vita in pochi giorni a manifestazioni a livello nazionale, portando il 25 ottobre più di un milione di persone a marciare per la capitale. Al centro dell’accusa finì l’intero sistema politico, dal centrosinistra al centrodestra, indicato come colpevole delle enormi disuguaglianze economiche insite alla società cilena, giudicato incapace di rimediare negli anni all’impronta neoliberista figlia della costituzione dittatoriale ancora in vigore.
A tre anni di distanza dal c.d. despertamiento chileno, lo stesso popolo che per mesi si era riversato per le strade del Cile e che il 25 ottobre 2020 aveva ottenuto tramite referendum la possibilità di redigere una nuova costituzione, ha deciso di rifiutare il nuovo documento costituzionale redatto dall’Assemblea Costituente. E l’ha fatto in maniera evidente, con un risultato (62% per il no, 38 % per il sì) che non lascia spazio a equivoci.

Sostenitori del ”no” scesi in piazza dopo i risultati


Segnali d’arresto per l’esecutivo
La bocciatura della nuova costituzione interrompe il percorso di rinnovamento politico cominciato con le proteste appena descritte e culminato con la vittoria alle presidenziali di Gabriel Boric, ex leader del movimento studentesco divenuto a 36 anni il presidente più giovane della storia cilena.
Il rischio, come spesso capita in questi casi, è che parte dei cittadini abbia utilizzato il voto referendario per esprimere il proprio parere su un governo oggettivamente divisivo e provato negli ultimi mesi da un’inflazione galoppante.
Socialista democratico, leader della coalizione progressista ”Apruebo Dignidad”, un anno fa Boric è stato eletto al secondo turno con il 55% dei voti all’interno di una delle elezioni più polarizzate della storia democratica cilena: suo rivale era infatti José Antonio Kast, leader di estrema destra del Partito Repubblicano. 
L’elezione, a cui partecipò il 56% dei cileni, se da un lato ha rappresentato una sconfitta netta per la politica moderata, dall’altro non ha dotato il nuovo governo di un forte mandato popolare data l’alta astensione.
Per il voto del 4 settembre è stato introdotto il meccanismo del voto obbligatorio, ed è verosimile che molti astenuti abbiano scelto l’opzione rechazo spaventati da una costituzione probabilmente troppo ambiziosa.

Un cambiamento troppo radicale?
La nuova magna carta si poneva in totale rottura col passato, delineando uno Stato <<plurinazionale, interculturale, regionale ed ecologico>> . Soprattutto, ridisegnava il ruolo dello Stato nell’economia, reso minimo da un testo del 1980 che portò alla privatizzazione di settori quali luce, gas, trasporti e persino dell’acqua.
Vari esponenti di destra, come l’avvocato Richard Caifal, hanno criticato la nuova costituzione ritenendo che con la sua approvazione la presenza dello stato sarebbe divenuta eccessiva, rappresentando un pericolo per la libera iniziativa economica.
Indubbiamente diversi settori dell’economia privata si sono sentiti toccati nei loro interessi, primo su tutti quello minerario, che equivale da solo ad un terzo del Pil cileno: la centralità dell’ambiente nella nuova costituzione avrebbe attribuito allo Stato un ruolo <<assoluto, esclusivo, inalienabile e imprescrittibile>> rispetto alle attività estrattive.
Più che nell’intervento statale nell’economia, su cui si è scatenata una campagna di fake news secondo cui il nuovo testo avrebbe abolito persino la proprietà privata, i limiti del documento presentato dalla Costituente agli elettori vanno rintracciati in altri aspetti.
Con il concetto di <<plurinazionalità>>, per esempio, il Cile avrebbe riconosciuto al suo interno l’esistenza di 11 nazioni indigene e aperto al riconoscimento di nuove secondo criteri stabiliti dalla legge. Le comunità, divenute nazioni, avrebbero ottenuto non solo una propria autonomia politica ma anche una giuridica, i quali limiti però non sono stati definiti dal nuovo statuto.
La Costituzione di Pinochet del 1980, seppur modificata più volte nel corso degli anni e resa democratica, non menziona minimamente le realtà indigene che formano la società cilena. La soluzione proposta dai costituenti è parsa tuttavia alla maggioranza dell’elettorato un passo in avanti eccessivo.
In aggiunta, il Cile è un paese fortemente cattolico, oltre che per un quinto dei suoi abitanti nostalgico del regime di Pinochet. Proposte come la completa legalizzazione dell’aborto hanno inevitabilmente contribuito a rendere il referendum divisivo e a far trionfare il rifiuto.

Il fronte del ”no” si è mostrato molto più compatto ed eterogeneo rispetto a quello del ”sì”, che oltre a pagare una peggiore comunicazione mediatica ha scontato un’eccessiva intransigenza nelle proposte.
In un paese politicamente instabile come il Cile, la gran parte degli elettori ha interpretato l’approvazione del nuovo testo come un pericolo per la tenuta democratica e sociale del Paese, preferendo dunque una soluzione più moderata.

Il presidente Boric con in mano la Costituzione ormai rifiutata

Cosa succede ora
Il presidente e la sua coalizione escono inevitabilmente indeboliti dall’esito referendario in quanto primi sostenitori della nuova magna carta, tanto che sono bastate meno di 48 ore per assistere ai primi ”rimpasti” nell’esecutivo.
Già a luglio Boric aveva annunciato che in caso di vittoria del no si sarebbe proceduto all’elezione di una nuova Costituente, concetto ribadito due giorni fa una volta preso atto del trionfo del rechazo.
Come affermato da fonti autorevoli quali El País, la sensazione è che la nuova assemblea incaricata di redigere la carta fondamentale cilena sarà più ”classica” rispetto alla precedente, dove 48 membri su 154 provenivano dalla società civile e ben 17 dalle minoranze indigene.
La proposta costituzionale cilena dotava finalmente il paese di uno stato sociale e si poneva tra le più progressiste del mondo, dando alla natura ruolo giuridico e affermando che almeno il 50% delle cariche nelle istituzioni, nelle imprese pubbliche e semi-pubbliche dovessero spettare a donne.
Il suo rifiuto non mette in discussione la stesura di una nuova costituzione; gli stessi dirigenti del ”comitato per il no”, dalla destra tradizionale al centro sinistra, hanno ribadito la necessità di continuare con il processo costituente.
Tuttavia, il testo definitivo potrebbe essere molto diverso da quello immaginato da Boric e dai propri sostenitori.

Autore

Nato nel 1999 tra Marche e Romagna, nonchè tra mare e collina, amo viaggiare, scoprire nuove culture, leggere di tutto ma soprattutto di storia e politica. Ho vissuto in Inghilterra e Spagna e studiato Scienze Internazionali e Diplomatiche. Amo la musica, lo sport e le piccole cose.

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