«Avete fiducia che Berlusconi faccia le riforme economiche che ha promesso?». Un momento di silenzio, uno sguardo d’intesa, delle risate trattenute a fatica fra Merkel e Sarkozy. È in quella risata che muore il Berlusconi IV: non in Parlamento e nemmeno nelle aule giudiziarie, come dicono i suoi sostenitori. Poi, certo, le successive condanne non hanno aiutato; non lo ha fatto la gestione fallimentare dell’economia, i tantissimi scandali a livello sessuale e di corruzione nel PDL nemmeno. Però è il 23 ottobre il giorno in cui finisce il quasi ventennio di supremazia berlusconiana.
Berlusconi oggi
Da quel 2011 ne sono successe di cose: il governo Monti, con il banchiere passato da essere il possibile erede del Cavaliere al nemico rigorista del Centrodestra. La sua caduta, la rimonta strepitosa del 2013 contro Bersani (l’ultima campagna condotta dal “vero” Berlusconi); poi l’infatuazione per Matteo Renzi, che gli “scippa” Denis Verdini, Angelino Alfano, Pierferdinando Casini; la sentenza dei giudici di Milano lo stesso anno, che lo tiene impegnato in lavori socialmente utili a Cesano Boscone nel 2014-15. Ma anche la “scomparsa” degli amici (e rivali) degli anni ’90-2000, Gianfranco Fini e Umberto Bossi, sostituiti da Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Insieme a loro, emerge anche il Movimento 5 Stelle. Di loro Silvio dirà: «Non li assumerei nemmeno per pulire i cessi nelle mie aziende». Poi il 2018: Berlusconi non più al centro del villaggio, ma parte di una coalizione di Centrodestra spostata verso il sovranismo. E quindi la nuova vita di Silvio il moderato: l’uomo da rimpiangere come avversario per il Centrosinistra, il federatore e il domatore di Giorgia e Matteo, il vecchio leone in grado di tenere i rapporti con un’Europa che (Ungheria e Polonia a parte) digerisce male la nuova Lega e FdI.
Dieci anni che politicamente sono sembrati un centinaio. Berlusconi sembra sempre sul punto di crollare, con quelle percentuali che calano dal 9%, al 7%, al 5% e la continua emorragia di classe dirigente. Però Berlusconi è ancora lì. Nel mentre, se n’è andato Sarkozy, che oggi sta col braccialetto elettronico, con una condanna per finanziamento illecito al suo partito. Angela Merkel è stanca, agli sgoccioli della propria carriera politica, pronta per un po’ di meritato riposo. Angelino Alfano lavora in Sicilia come avvocato. Fini se n’è andato, travolto dallo scandalo della casa di Montecarlo, e senza di lui si è liquefatto il NcD. Scelta Civica di Monti e Italia Viva di Renzi, suoi possibili successori, sono in Parlamento con percentuali più basse delle sue. L’altro possibile successore, Stefano Parisi, ha perso le amministrative a Milano e nel Lazio; si è ritirato dalla vita politica nel 2020, per tornare a fare l’imprenditore. Silvio è sempre lì, con il suo cerchio magico, guidato da un Delfino volenteroso, ma non molto carismatico, come Antonio Tajani.
Le ultime amministrative e l’assoluzione dalle accuse del Ruby ter, però, gli hanno dato la spinta di cui ha bisogno: Silvio vecchio saggio, deposto ingiustamente dalla magistratura, Silvio unico vincente in un Centrodestra che si suicida alle amministrative, Silvio che in mezzo alle proteste di Trieste dice «Eroe è chi blocca un treno per Auschwitz contro la Germania nazista, non il porto di Trieste contro il Green Pass» (ammetto che avevo quasi le lacrime agli occhi a sentire una cosa del genere). Il giorno dopo l’assoluzione, uno spettro si aggira per il Quirinale: quello di Berlusconi Presidente della Repubblica.
Il Quirinale come premio di consolazione
La candidatura di Berlusconi al Quirinale ha più di un sostenitore fra i gruppi parlamentari: in primo luogo Matteo Salvini («Se Berlusconi decidesse di candidarsi, avrebbe tutto il mio appoggio») e Giorgia Meloni. Ma poi è difficile non pensare che il sostegno possa venire da Italia Viva (per Miccichè pronta per entrare nel Centrodestra) e da una parte dei moderati del PD, sebbene solo nel segreto dell’urna. Gli unici contrari a priori sono LeU e M5S. Dalle colonne del Riformista, Paolo Guzzanti titolava a fine settembre «Berlusconi va risarcito. Dopo 20 anni di calunnie e persecuzioni, si merita il Quirinale». Concetto ribadito dalla fedelissima Licia Ronzulli, che in collegamento da Arcore per il programma Tagada dice, il 22 ottobre, che «Berlusconi al Quirinale è il mio sogno, un risarcimento per le persecuzioni giudiziarie».
Ora, c’è un problema di fondo in questo ragionamento: il Quirinale non è un premio di consolazione. È una carica istituzionale, e come tutte le cariche istituzionali implica responsabilità verso i cittadini e ha delle conseguenze dirette sulla loro vita quotidiana. A maggior ragione è una responsabilità dal momento che Berlusconi sarebbe chiamato a succedere a un presidente superpopolare come Sergio Mattarella; un uomo che è riuscito a ridare prestigio a un’istituzione che, sotto Napolitano, aveva perso (a torto o a ragione) il consenso di una larga fetta di popolazione. Uno che, ricordiamoci, appena rieletto aveva attaccato a testa bassa il Parlamento, ricevendo scroscianti applausi. Il prossimo presidente dovrà essere un uomo vigile, all’erta, energico, comprensivo, paziente. Uno in grado di alternare i momenti di mediazione e le esortazioni ad altri di estrema risolutezza (tutti noi abbiamo negli occhi il Mattarella stizzito che annunciava che aveva chiamato Draghi per superare lo stallo di Giuseppe Conte).
Perché non può succedere
Il quadro che tratteggia Mariastella Gelmini, invece, è quello di un uomo in confusione: «Non mi riconosco nell’ultima fase del berlusconismo» (che poi, alla fin fine, corrisponde al 99,9% alla figura di Berlusconi stesso). Continua: «Gli eventi se li è sentiti raccontare dal chiuso di Arcore o di palazzo Grazioli. E ha avuto solo una parte della verità. […] Gli è stato detto che ci saremmo venduti». Ora, se ciò fosse vero, vorrebbe dire che Berlusconi non ha il polso non solo del suo Paese, ma nemmeno del suo partito. Questo lo esporrebbe a manipolazioni esterne: non proprio un bel biglietto da visita, in caso di crisi di governo. Tanto più che il ruolo di Presidente della Repubblica dura 7 anni: al termine di essi, Berlusconi avrebbe 94 anni. Un salto nel vuoto di questo genere sarebbe deleterio per il suo equilibrio e per la salute della stessa Repubblica italiana, che si troverà di fronte anni complicati e dovrà uscire dalla pandemia.
Sarebbe anche un insulto ai presidenti del passato, a partire dallo stesso Mattarella. Certo, lui non si metterebbe di traverso. In compenso, sarebbe un bel contrappasso per lui, che si diceva che sognasse Mario Draghi come suo successore, ritrovarsi un presidente come Berlusconi. Forse l’unico spirito vagamente affine al suo sarebbe quello di Giovanni Leone, noto per le sue gaffes. Di lui ricordava Andreotti: «Una volta andammo a una commemorazione per Mazzini. A un certo punto, Leone mi prende sottobraccio e mi dice: “Ho sentito dire che Mazzini porta jella, tiè!”, di fronte a diversi giornalisti». E, malgrado questo, Leone è uno dei padri della Costituzione. Ritrovarsi un Berlusconi con la lingua abbastanza “sciolta”, come ad ottobre, al congresso del PPE o alle consultazioni che portano al governo Gialloverde (quelle dell’uno… due… tre, fatto con le dita) potrebbe essere un problema. Poi, chiaro, alcuni scandali gli sono stati perdonati: nella foto con la Merkel il clima sembrava cordiale, lontano anni luce dal «culona inchiavabile» pronunciato quando era presidente. Fra l’altro, a chi adduce le sue gaffes come qualcosa che danneggerebbe la nostra credibilità di fronte all’opinione pubblica europea, faccio sommessamente ricordare che è il presidente del Consiglio che va ai vertici internazionali. Sfido chiunque a ricordarsi che faccia abbia l’omologo di Mattarella in Germania. Però appunto, il rischio che Berlusconi non abbia ben chiara la situazione che lo circonda negli anni a venire, è troppo pericoloso. Gli auguriamo di superare i 100 anni in perfetta salute psicofisica, ma comunque si va sempre a rischiare. Segni, che ebbe un ictus cerebrale nel 1954, firmò immediatamente le sue dimissioni, per evitare che la presidenza uscisse indebolita dalle sue vicende di salute.
Un esempio di Presidente: Sandro Pertini
Non è poi solo una questione di condizioni fisiche o di gaffes. Si parla di presidenza come «meritato risarcimento per la persecuzione». Facciamo l’esempio di un illustre precedessore, Sandro Pertini: nel 1929 tornò dalla Francia in clandestinità, per riprendere contatti con i gruppi antifascisti. Il tribunale lo condannò a 10 anni di reclusione, commutati in ergastolo quando urlò «Viva il socialismo», alla lettura della sentenza. In carcere duro a Santo Stefano, le sue condizioni di salute peggiorarono. Così passo da Santo Stefano a Turi, e poi a Pianosa. Tutto questo senza che il suo stato di salute migliorasse. Infine, fu disposto il suo trasferimento a Ventotene e alla Tremiti, dove seppe che l’Italia era entrata in guerra. Nel 1943, dopo la caduta di Mussolini, sarebbe stato liberato da 14 anni di prigionia. Subito partì per unirsi alle bande partigiane in Alta Italia. In quegli anni, suo fratello Eugenio fu ucciso in un campo di sterminio, ma lui continuò la lotta: è sua la voce che ha chiamato all’insurrezione generale Milano e il Nord Italia nell’aprile 1945. Fra le perdite dal punto di vista della salute, la morte del fratello e 15 anni di prigionia, Pertini sarebbe divenuto presidente solo nel 1978, a 33 anni dalla fine della guerra. Altri tempi, si dirà. Però la vicenda di Berlusconi, per quanto toccante e forse ingiusta, non ha nulla a che vedere nemmeno con quella di Liliana Segre (che non è papabile solo per ragioni anagrafiche), di tanti magistrati e giornalisti che vivono sotto scorta per minacce ricevute dalla criminalità organizzata. Berlusconi, invece, ha fatto un anno di servizi sociali, è rimasto il padrone delle televisioni e del Milan, ha mantenuto tutte le sue proprietà (a cominciare dall’immensa villa ad Arcore). Per dirla alla Berlusconi, eroe è chi blocca un treno per Auschwitz contro la Germania nazista, non chi blocca le Olgettine in attesa della sentenza.
L’elezione di Berlusconi sarebbe, infine, un insulto allo stesso Berlusconi: un uomo del fare, uno che ha sempre lottato per avere “i migliori” al governo dell’Italia, così come faceva per le sue aziende, non avrebbe lasciato il Milan o Mediaset a un ottantasettenne con la testa fra le nuvole. Che oltretutto dipende politicamente da Matteo Salvini e Giorgia Meloni (non ingannino le amministrative: il Centrodestra non può essere guidato da Forza Italia, che non ha i numeri), con uno dei due che potrebbe essere nel futuro prossimo un ingombrante primo ministro. Tanto più, viene da chiedersi con che coraggio una gran parte del Parlamento sarebbe in grado di sostenere la candidatura di un nonno che è ancora alle prese con il recupero dopo il covid. È stata un’ingiustizia la caduta di Berlusconi? Forse, sebbene una condanna definitiva ci sia stata nei processi e ce ne siano altri a venire. Ma il mondo, alla fine, la sua quota d’ingiustizia la riserva a tutti. Quello che si fa (ed è quello che in parte Berlusconi ha fatto) è rialzarsi e combattere per sanarle, le ingiustizie. Non chiedere premi postumi, Colli di consolazione come risarcimento, sulla pelle del Paese.
Autore
Camillo Cantarano
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Amo il data journalism, la politica internazionale e quella romana, la storia. Odio scrivere bio(s) e aspettare l'autobus. Collaboro saltuariamente con i giornali, ma mooolto saltuariamente