«L’Espresso è uno strumento di consapevolezza indipendente», così aveva esordito l’ex direttore del settimanale Enrico Bellavia, navigato giornalista palermitano con una carriera costruita attraverso inchieste rilevanti sulla criminalità organizzata. Ebbene, se sulla consapevolezza non vi è dubbio, dal momento che essa è soggettiva, sulla sua indipendenza qualche ombra avanza.
Il 30 maggio, dopo appena quattro mesi di direzione, il direttore siciliano è stato sollevato dall’incarico e, al suo posto, è stato designato l’ex direttore di SkyTg24 Emilio Carelli. L’addio alquanto prematuro di Bellavia è stato accolto negativamente dal Comitato di Redazione che ha consegnato un pacchetto di cinque giorni di sciopero per protestare contro una rimozione vista come «un fatto grave dovuto all’ennesimo tentativo di intromissione dell’azienda sul contenuto degli articoli». Accusa prontamente rispedita al mittente da parte della nuova proprietà del gruppo Espresso media, la Ludoil Energy Spa di Daniele Ammaturo.
Fondato nel 1955 da Eugenio Scalfari e Arrigo Benedetti, “L’Espresso” nacque come proposta innovativa all’interno del panorama giornalistico italiano del dopoguerra. Inizialmente venduto con il formato “a lenzuolo”, aveva il compito ed il dovere di assumere un’opinione critica radicale nel contesto politico e culturale di quegli anni. Con Olivetti che, proprio in virtù di quelle posizioni così critiche, fu costretto a vendere il giornale ad un altro editore alcuni anni dopo. Quella vocazione oggi sembra essersi gradualmente sbrindellata, a favore di un news-magazine più patinato che sta subendo un lento declino corroborato da una gestione opaca dell’avvenire. Da quando il Gruppo GEDI (Elkann-Agnelli) ha deciso di liberarsene, L’Espresso ha subito due cambi di proprietà ed ha visto affastellarsi quattro direttori diversi negli ultimi tre anni. Una crisi senza precedenti che dimostra la fragilità del sistema editoriale, soprattutto se a farne le spese è una delle testate più quotate e iconiche del giornalismo nostrano.
La quiete prima della tempesta
Nel 1989, dopo il passaggio storico al formato tabloid, il gruppo “Editoriale L’Espresso” viene acquisito dalla Mondadori. Con un accordo successivo del 1991 tra il gruppo e la società dell’ingegnere De Benedetti (Gruppo CIR) nacque il Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A. Gli anni Novanta rappresentarono un periodo di grande cambiamento culturale per l’Italia: tangentopoli, l’arrivo di Berlusconi, la personalizzazione dei partiti e la fine, presunta, delle grandi ideologie politiche. La testata che era stata traghettata fin lì da Livio Zanetti (1970-1984) e Giovanni Valentini (1984-1991), si accinse ad entrare in una nuova fase giornalistica, nonché sociale, dominata dal medium televisivo. Sarà Claudio Rinaldi (1991-1999), formatosi in Lotta Continua, a preparare la testata per il passaggio agli anni 2000, periodo che si rivelerà più che mai complesso per via di eventi geopolitici ed economici che stravolgeranno una società persuasa dalla “fine delle storia” teorizzata dal politologo statunitense Francis Fukuyama. Da direttore de L’Espresso, Rinaldi si mosse sempre in maniera critica e polemica nei confronti della destra berlusconiana e del craxismo istituzionale, con un occhio di riguardo verso le amnesie della sinistra. Schierò senza timore il settimanale di via Po contro la corruzione pubblica di Mani Pulite ed intuì fin da subito la possibile ascesa politica di Silvio Berlusconi. Dopo aver denunciato strenuamente la corruzione della Prima Repubblica, aveva contrastato in maniera sferzante l’abuso di potere del berlusconismo fino ad arrivare a coniare il termine “Dalemoni” per l’aria di inciucio che aleggiava tra l’imprenditore milanese e Massimo D’Alema a fine anni ’90.
Nel 1999 si congedò dai lettori scrivendo: “Quando con Giampaolo Pansa arrivai nella palazzina di via Po, nel luglio 1991, gli obiettivi erano chiari. Bisognava arricchire il giornale, aprendolo con generosità ai temi che più sollecitavano l’interesse di un pubblico vasto. Ma occorreva anche mantenerlo fedele a sé stesso, alla sua tradizione di battaglie politiche e ideali, alla sua ricerca degli aspetti nascosti della realtà, al suo gusto della critica spregiudicata e, a volte, insolente”.
Il decennio berlusconiano
Il settimanale di Via Po si dimostrerà, durante i governi Berlusconi, uno dei pochi elementi dell’informazione capaci di contrastare la narrazione distorta e polarizzante della destra italiana. Dopo il breve interregno di Giulio Anselmi (1999-2002), le redini giornalistiche della testata vengono assunte da Daniela Hamaui (2002-2010) e Bruno Manfellotto (2010-2014), ex direttore de “Il Tirreno” e storico amico di Rinaldi. Con la direzione di Hamaui, L’Espresso dedicherà una maggiore attenzione alla componente iconografica e fotografica; ma soprattutto verranno eliminate le foto di nudo femminile dalla copertina: decisione ad alto valore politico in un’epoca come quella berlusconiana in cui la donna era costantemente soggetta ad un processo di oggettificazione.
Il decennio destrorso è stato connotato da un attacco all’informazione libera senza precedenti e la strenua battaglia settimanale de L’Espresso pagherà positivamente in termini di vendite e circolazione: secondo i dati riportati da Silvia Pizzetti in “I rotocalchi e la storia”, nel 2007 le vendite sono arrivate a quote vertiginose (388 mila) superando quelle degli anni ’70.
Il periodo della retromarcia
Nel periodo renziano (2014-2016) il settimanale è stato guidato da Luigi Vicinanza. Dopo aver lavorato presso il quotidiano La Repubblica, assunse la guida della testata dandole un forte taglio investigativo con le inchieste riguardanti Luxleaks, la lista Falciani e i Panama Papers. I dati delle vendite 2014-2015 caleranno, però, sotto quota 200mila per poi risalire nel triennio successivo (2016-2018). Dopo la brevissima esperienza di Tommaso Cerno (2016-2017), L’Espresso ritorna ad avere una certa collocazione identitaria con l’avvento di Marco Damilano (2017-2022). L’allievo di Pietro Scoppola sarà, tuttavia, l’ultimo direttore sia sotto la gestione aziendale dell’ingegner Carlo De Benedetti che di quella di John Elkann. Il gruppo GEDI – nuovo proprietario dal 2020 – si dimostrerà fin da subito poco desideroso di investire in un piano industriale serio. A marzo 2022, dopo tagli e dismissioni, il gruppo GEDI dovrà incassare le dimissioni di Marco Damilano che, in polemica con il proprio editore, deciderà di congedarsi accusandolo di “violazione del più elementare obbligo di lealtà e di fiducia”. Il giornalista romano ammetterà, poi, di aver appreso solo da un tweet di un collega dell’avvenuta cessione, sintomo di una mancanza totale di trasparenza dopo mesi di smentite da parte di Maurizio Scanavino, ad di GEDI.
La cessione verrà formalizzata il 5 maggio a favore dell’imprenditore napoletano Danilo Iervolino per una cifra intorno ai 4,5 milioni di euro. Presidente della Salernitana calcio, Iervolino, al prezzo di un miliardo, aveva venduto al private equity Cvc il 100% della sua holding “Multiversity”, cui fanno capo Unipegaso e l’Università Mercatorum, reinvestendo subito nel settore dell’informazione con l’acquisto di Bfc Media, gruppo che detiene testate come Forbes Italia, Bluerating, Robb Report, Private, Ite, Assett Class, Cosmo, Equos, Bike e Trutto&Turf.
Nuovo proprietario
La cessione della testata capostipite di Repubblica e patrimonio del giornalismo italiano è un grosso campanello di allarme per il sistema dell’informazione, già ormai duramente messo alle strette e soggetto a conflitti di interesse (vedi caso Angelucci). Già la cessione a Bfc media di Iervolino parve ai più come un vero e proprio cortocircuito: l’imprenditore napoletano – vicino a Berlusconi – nel 2018 aveva avanzato un’azione legale nei confronti di Nello Trocchia, Corrado Zunino e del Gruppo Editoriale L’Espresso per una serie di articoli sull’università telematica Pegaso. Un caso che venne addirittura portato in seno al Parlamento Europeo nell’ambito della Direttiva anti Slapp. L’ottava sezione del Tribunale di Napoli nel 2021 aveva rigettato la richiesta risarcitoria di 38 milioni di euro, confermando la mancanza di contenuti diffamatori. Iervolino ha così impugnato in Appello il giudizio di rigetto del risarcimento e, dopo aver acquistato L’Espresso, chiese danni per due milioni di euro. Graziella di Mambro di Articolo 21 si pose le seguenti domande in merito a questa torbida vicenda:” Ma l’editore di un grande giornale può avere una simile considerazione dell’informazione? Può continuare ad “inseguire” un cronista che ha scritto della sua società fatti già ritenuti veritieri, continenti e di interesse pubblico in plurimi giudizi, pur essendo ancora legittima l’impugnazione in altro grado?”.
Sono lontani i tempi in cui Scalfari e Benedetti rinunciavano ai finanziamenti dell’Eni per poter dare ai lettori un’informazione libera.
Il gruppo Bfc media, successivamente, smentirà involontariamente l’ad di GEDI – che aveva motivato la cessione per via delle perdite significative – comunicando che l’anno precedente (2021) la testata aveva registrato 10 milioni di ricavi. Con Iervolino come nuovo editore, il ruolo di amministratore delegato verrà assunto da Marco Forlani. Figlio del segretario storico della Dc, Forlani ha ricoperto il ruolo di ad per il Gruppo di comunicazione Hdrà (2017-2021) che si occupa del marketing per clienti di evidente interesse pubblico su cui L’Espresso vigila giornalisticamente.
Mentre il vicedirettore Lirio Abbate divenne prontamente il sostituto di Damilano, dando inizio ad un vero e proprio valzer che ci porta fino ad oggi. Abbate è uno dei giornalisti investigativi più rinomanti del nostro paese – tra i primi ad indagare su Massimo Carminati – e con lui la testata inizierà ad occuparsi più di cronaca rispetto, invece, al taglio politico dato dalla linea Damilano.
Il 17 ottobre 2022 Abbate e Iervolino presenteranno il “nuovo” settimanale, un “Netzine” (network e magazine) a Palazzo Parigi, prodotto dalla visione multimediale dell’esperienza del suo editore.
Il colpo di scena avviene solo due mesi dopo – quando poco prima (15 gennaio 2023) dell’uscita del primo numero totalmente rinnovato – Lirio Abbate verrà sollevato dall’incarico di direttore. Secondo gli accordi, la sostituzione poteva avvenire solo con il consenso degli ex proprietari (GEDI), visto che L’Espresso sarebbe rimasto abbinato a Repubblica fino al maggio 2023. Perché questo cambio? Secondo quanto riportato dal sito “Professione Reporter”, l’11 dicembre L’Espresso ebbe l’ardire di pubblicare l’inchiesta “Chi guadagna sui disastri”. Il pezzo riguardava i disastri ambientali in Amazzonia e chi li finanziava. La Cnh – società appartenente ad Exor (proprietaria di GEDI) – verrà citata nell’inchiesta. La direzione durerà così meno di un anno (marzo-dicembre 2022), lasciando il posto ad Alessandro Mauro Rossi, direttore di Forbes Italia. Ed è qui che la crepa diventa voragine: Abbate era una firma storica della testata; la sua nomina risulterà – ex post – solo una toppa ad una situazione editoriale di co-gestione di due proprietà totalmente inedita. Al riguardo, il comunicato del Comitato di Redazione si espresse così nei giorni concitati della vendita: “Una vecchia proprietà che ha affermato la “non strategicità” della testata e un’altra società promessa acquirente di cui al momento non è dato sapere che tipo di obiettivi si pone. Una situazione che rende impossibile il sereno lavoro dell’intero corpo redazionale”.
Una cosa divertente che Iervolino non farà mai più
La nuova veste del newsmagazine dell’imprenditore campano apparirà il 15 gennaio 2023 con Alessandro Mauro Rossi come nuovo direttore (21 dicembre 2022-24 gennaio 2024). Per protesta la testata inizia a perdere firme pregiate. Dopo gli addii di giornalisti del calibro di Saviano, Murgia, Valli, Gatti; arrivano le clamorose defezioni di Michele Serra, Altan, Makkox, Mauro Biani e Vittorio Malagutti. Le nuove entrate saranno – invece – quelle di Maurizio Costanzo, Carlo Cottarelli, Sergio Rizzo, Enrico Giovannini, Fabrizio Barca, Ray Banhoff, Oliviero Toscani e Francesca Barra.
Il 30 maggio Bfc media annuncia l’entrata nell’Espresso Media del gruppo Ludoil di Daniele Ammaturo, compaesano di Iervolino, per il 49% delle azioni. Successivamente – dopo 8 anni di congiunta vendita domenicale – L’Espresso termina nel settembre 2023 il suo abbinamento a Repubblica. Dopo diversi mesi di proroga, dovuti alla necessità di vendita del settimanale, la testata ritorna ad uscire il venerdì. Nel suo editoriale, il direttore Rossi continua a parlare di rivoluzione e innovazione ma l’unica cosa che appare evidente è il calo delle vendite e una maggiore disaffezione dei lettori.
L’ultimo colpo di scena avviene a dicembre 2023, quando la Ludoil acquisterà il 100% della società L’Espresso Media. “Dopo un anno e mezzo di roboanti annunci dell’azionista di riferimento Danilo Iervolino, un annuncio davvero importante ci è arrivato a mezzo stampa. Abbiamo appreso da “Il Giornale” dell’imminente vendita dell’Espresso, prima che la notizia fosse confermata da un comunicato ufficiale” scriverà polemicamente il Comitato di Redazione. Insomma, cambia l’editore ma il modus operandi rimane sempre lo stesso.
L’ultimo capitolo (ad oggi)
Enrico Bellavia diventa così il primo direttore del nuovo editore, il petroliere Ammaturo. Già vice direttore per volere di Rossi, egli assumerà a fine gennaio 2024 la carica dopo le dimissioni del suo ex superiore per via di una anomala incompatibilità di incarichi. Rossi, infatti, era rimasto a capo di Forbes Italia (Bfc media) – per cui si trovava in una strana posizione: essere direttore di due testate di due editori diversi. Tuttavia, Rossi è rimasto a L’Espresso con un incarico consulenziale mentre, sempre nel dicembre 2023, viene nominato amministratore delegato Emilio Carelli. Proprio quest’ultimo prenderà il posto di Bellavia, divenendo così il nuovo direttore de L’Espresso. Carelli è stato direttore del Tgcom e fondatore di Sky Tg24, oltre ad essere direttore editoriale di Fortune Italia. Decise nel 2018 di candidarsi con il Movimenti 5 Stelle per poi passare a Coraggio Italia di Luigi Brugnaro e, infine, Insieme per il futuro di Luigi Di Maio.
Il contesto informativo italiano, in cui la libertà di espressione viene erosa sempre di più a fronte di un aumento delle querele temerarie (l’Italia, perdendo 5 posizioni, è al 46esimo posto nel World Press Freedom Index 2024), vede l’ennesimo pezzo pregiato del mondo dell’editoria nostrana maltrattato e svenduto di mano in mano ad imprenditori lontani dal sentire identitario e dall’humus culturale in cui nacque la storica testata di via Po. Riponendo la più alta speranza che la gestione Ammaturo-Carelli possa effettivamente creare un clima sano, libero da ingerenze esterne – con la consapevolezza dell’ormai irreversibile stravolgimento identitario del settimanale – è bene ricordare allora cosa ebbe a dire Corrado Augias in apertura del programma Rebus su Rai Tre:” Un gruppo editoriale non è un’acciaieria o una fabbrica qualunque di tessuti. I giornali hanno una storia, in qualche caso fanno la storia. Vendono notizie, ma danno anche un’interpretazione dei fatti: sono, nei casi migliori, una guida. Potrei dire, forse esagerando, anzi sicuramente esagerando, che i giornali hanno un’anima, comunque vanno maneggiati con cura: bisogna tenerlo presente quando si fa l’editore”.