Il 27 febbraio 1960 Adriano Olivetti si trovava su un treno che avrebbe dovuto portarlo a Losanna. In questa ultima fase della sua vita, infatti, l’imprenditore d’Ivrea era alla ricerca di nuovi fondi presso banche svizzere per rilanciare la sua azienda.
In questo viaggio però Olivetti morì a causa di un’emorragia cerebrale, e la mancata autopsia lascia un’ombra di dubbio sulla sua morte; ombra che assume una tinta ancor più cupa se consideriamo che la CIA aveva aperto un consistente fascicolo sulla sua attività politica, sociale e industriale.
Olivetti infatti non fu un imprenditore nel senso stretto del termine: alle invenzioni che rendono intramontabile la sua figura, come l’invenzione della Lettera 22, vanno accostati infatti una serie di provvedimenti che elevano Adriano Olivetti ad un livello superiore, unico nella storia imprenditoriale del nostro Paese.
Non solo lavoro: il caso della fabbrica Olivetti
Ma cosa si intende nello specifico per Umanesimo aziendale? La fabbrica di Olivetti tentò di costruire un ponte tra il mondo intellettuale e la classe operaia. L’azienda era infatti composta da scrittori, artisti, disegnatori, poeti e intellettuali come ad esempio Franco Fortini, Paolo Volponi e Ottiero Ottieri.
Va sottolineato come da queste figure sia nata un’interessantissima letteratura, che restituisce oggi uno straordinario spaccato del periodo storico, che possiamo definire letteratura industriale.
Il dato in questione ci suggerisce che non fu dunque un’operazione vaga e imprecisa: una squadra di figure creative evidenzia come Adriano Olivetti non volesse perseguire solo una perfezione tecnica nella sua fabbrica, ma accostarla ad un imprescindibile arricchimento intellettuale. I risultati – ancora – furono incredibili: la Lettera 22 finisce nella collezione permanente di design del MoMA di New York.
Dal punto di vista umano ciò che interessa è che gli operai della Olivetti, rispetto agli altri colleghi italiani, guadagnavano di più, avevano turni di lavoro più brevi, e potevano contare su servizi intellettualmente stimolanti che nessun’altra fabbrica offriva: una biblioteca – diretta dal critico letterario Geno Pampaloni – dibattiti di vario genere e un quartiere residenziale.
Sembra assurdo, ma questo accadeva nell’Italia che viveva anni segnati da fortissime contraddizioni lavorative, poi esplose negli anni successivi: si pensi ai fatti di Piazza Statuto del ’62, all’Autunno caldo, allo Statuto dei Lavoratori, alle gabbie salariali, al lavoro a cottimo, ai drammatici flussi migratori da sud verso nord. Eppure, a Ivrea, Olivetti rilancia. E la parola d’ordine non è sfruttamento, ma comunità.
Il «Movimento Comunità»
Nel 1945 Olivetti pubblicò L’ordine politico delle comunità, al cui interno si trova il fondamento ideologico dell’imprenditore. L’orientamento federalista e filo socialista delle sue idee culmina, due anni dopo, nella fondazione del «Movimento Comunità», che seppur alle elezioni politiche ottiene un modesto consenso, basterà a far diventare l’imprenditore l’unico parlamentare alla Camera di quel partito.
Nella mente di Olivetti, la comunità era un vero e proprio ideale che avrebbe aiutato a definire uno sviluppo economico armonico, dove l’industria non avrebbe svuotato la campagna. Anzi, un altro provvedimento di Olivetti fu proprio quello di incoraggiare l’attività e la produzione di comunità agricole del nord Italia.
Comunità, dunque, come principale matrice ideologica: hanno lo stesso nome anche la casa editrice fondata nel ’46 e anche la rivista sulla quale scrissero anche autori eccellenti come Moravia, Pavese o Argan e che promosse un intenso dibattito culturale, che aveva come punto di partenza Ivrea, ma che guardava a tutta Italia.
Al 1953 risale infatti l’apertura di una fabbrica a Pozzuoli, dove gli operai potevano contare sugli stessi privilegi salariali dei colleghi d’Ivrea, ma in una zona d’Italia dove il lavoro scarseggiava. Cercare una coesione nazionale parlando di temi di lavoro, osservandoli da un punto di vista umanistico e non solo tecnico, fu la grande sfida alla sua epoca che lanciò Olivetti.
Resta uno straordinario unicum nella storia imprenditoriale italiana che dimostrò di aver idee innovative che mettevano al primo posto il diritto umano del lavoratore, in un momento storico in cui, la popolazione operaia impiegata nelle fabbriche, rasentava la condizione di schiavitù.
Autore
Francesco, laureato in Lettere, attualmente studio scienze dell'informazione, della comunicazione e dell'editoria. Approfitto di questo spazio per parlare di politica e di dinamiche sociali. Qual è la cosa più difficile da fare quando si collabora con un magazine? Scrivere la bio.