Le Mafie e l’agricoltura: un business da 24,5 miliardi

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Il Made in Italy è in pericolo. Lo annuncia la Coldiretti in un recente comunicato affrontando il tema dell’infiltrazione mafiosa all’interno della rete agro alimentare del Paese. Dal racket alle estorsioni, passando per la collusione di funzionari pubblici, ecco come i clan mafiosi si adoperano per gestire un business da 24,5 miliardi di euro. 

I Nebrodi

Nelle ultime settimane il Clan dei Nebrodi nella provincia di Messina è stato accusato di aver messo le mani sui fondi UE destinati agli agricoltori attraverso un racket di compravendita di terreni. I membri del clan, avrebbero acquistato i terreni volti all’ottenimento dei fondi dell’Europa grazie alla collusione di notai e funzionari del CAA (Centro Assistenza Agricola) che nel corso dei sette anni (2010-2017) in cui il sistema è proseguito, hanno voltato le spalle a un sistema che puntava la propria crescita sulla terra. 

«Una mafia dei pascoli moderna, con un controllo del territorio capillare, che punta sempre più alla terra non come ritorno alle origini bensì al futuro, perché in base alla quantità di possesso arrivano finanziamenti». Così fu definita l’operazione dal giudice Salvatore Mastroeni, che lo scorso 15 gennaio ha dato il via ai provvedimenti di arresto per chiudere questa faccenda. 

Il Re dei supermercati

Poche settimane dopo, il Tribunale di Palermo ha disposto sequestri per un totale di 150 milioni di euro sotto richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, relativo al settore della grande distribuzione agroalimentare perché collegato direttamente ai business mafiosi di grande entità. 

L’imputato, l’imprenditore Carmelo Lucchese (53 anni), era proprietario della società Gamac Group srl, in cui si riversavano le proprietà di 13 supermercati diffusi tra Palermo e la provincia attigua. Secondo gli inquirenti, Lucchese avrebbe avuto legami con Cosa Nostra, che in cambio dell’assunzione dei propri familiari all’interno dei punti vendita (e di una casa per la latitanza di Provenzano) avrebbe facilitato gli investimenti di Lucchese, agevolando il pagamento del pizzo nella zona di Bagheria e permesso all’imprenditore di fatturare un totale di oltre 80 milioni di euro nel 2019. 

Inoltre, la concorrenza sarebbe stata scoraggiata attraverso boicottaggi, patti con soci riottosi, danneggiamenti alle filiali avversarie e una dilazione nel pagamento del pizzo grazie al legame con le famiglie di Cosa Nostra. 

Ora la linea di supermercati è stata affidata contestualmente a un amministratore giudiziario nominato dal Tribunale di Palermo, con il compito di «garantire la continuità aziendale e mantenere i livelli occupazionali per tutelare i diritti dei lavoratori, dei fornitori e dei clienti».

Coldiretti: un’indagine per il Made in Italy

Queste sono solo due delle più recenti problematiche affrontate dai tribunali che si occupano di mafia agroalimentare, un business pari a 24,5 miliardi di euro. 

Un giro di affari così enorme da coinvolgere non solo i trasporti e la grande distribuzione di alimenti, ma anche la produzione degli stessi. Dall’acquisto di campi volto all’ottenimento dei fondi UE destinati agli Agricoltori “attivi” (come nel caso dei Nebrodi), passando per furti di attrezzature e di mezzi agricoli, racket, estorsioni, macellazione indebita di animali, pizzo pagato attraverso l’imposizione di manodopera o dell’utilizzo di determinate ditte di trasporti. L’Agromafia lede il marchio Made in Italy. 

Per questo, la Coldiretti si è mossa insieme al presidente dell’Osservatorio Scientifico delle Agromafie Giancarlo Caselli, per creare un sistema punitivo più adeguato con l’approvazione delle proposte di riforma dei reati alimentari. 

Un business enorme, i cui due esempi sopra citati non sono altro che la punta di un enorme iceberg: tale infiltrazione permette alle mafie di inserirsi capillarmente nella vita quotidiana delle persone, comprendendo la strategicità del settore. Ettore Parandini, presidente di Coldiretti, si è espresso in questi termini: 

Gli ottimi risultati dell’attività di contrasto confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie ancora larghe della legislazione con la riforma dei reati in materia agroalimentare. L’innovazione tecnologica e i nuovi sistemi di produzione e distribuzione globali rendono ancora più pericolose le frodi agroalimentari che per questo vanno perseguite con un sistema punitivo più adeguato con l’approvazione delle proposte di riforma dei reati alimentari presentate da Giancarlo Caselli, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio Agromafie.

Autore

Classe '94 e laureato in Storia all'Università Statale di Milano, ama lo sport e le dinamiche internazionali in ogni loro forma ed espressione. Alla costante ricerca di storie da raccontare che permettano di andare oltre ciò che si pensa di aver capito.

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