Per favore, Don DeLillo, dimmi come fermare questa paranoia! C’è forse un modo per uscire dal loop della quotidianità, in cui i rumori che facciamo sembrano tutti uguali e pare non ci sia modo di evitare l’alienazione che ha ampiezza costante sullo spettro delle frequenze e viene riprodotta a tutte le ore sui canali radiofonici della nostra società?
Se una maniera esiste, deve essere nascosta in White noise, romanzo di Don DeLillo del 1985. E no, questa non è una recensione dell’ultimo riadattamento cinematografico di Baumbach con Adam Driver.
L’autore newyorkese di origini italiane partorisce una macchina narrativa costruita attorno alla famiglia di Jack Gladney, professore universitario di studi hitleriani al College on the Hill di Blacksmith che non conosce il tedesco e ha una paura smodata della morte. Certo, non quanto la sua quarta moglie Babette, casalinga americana a dieta, – che legge ai ciechi e qualche volta a suo marito prima dell’amplesso – che si rivolgerà al misterioso Mr Gray e assumerà il Dylar in cambio di performance sessuali per stoppare la sua paranoia. Intrigo, mistero, complotti farmaceutici, tradimenti, crisi esistenziali e un assillante rumore bianco che fa eco al dolore dell’animo. Ecco cosa troverete in Rumore bianco.
Ma non è solo silenzio sordo quello che echeggia tra le pagine di White noise; si possono udire anche le accese conversazioni ispirate al teatro dell’assurdo tra i componenti della famiglia e i loro quattro figli, Heinrich, Denise, Steffie e Wilder che hanno qualcosa da insegnare ai loro genitori.
Così, tra inevitabili sfilate al supermercato, emblema dello sfrenato consumismo capitalista, e quasi mancate catastrofi, Don DeLillo è capace di scrivere tutte le paranoie del genere umano in tre atti e quaranta capitoli. Si tratta di un piccolo diamante che precede i movimenti di Underworld, romanzo che lo ha consacrato. L’autore delinea l’immobilizzante paura della morte, che fa, ironicamente, da innesco narrativo. Ma è capace di prendere in giro con amarezza una società che ha dimenticato cosa voglia dire stare davvero nel mondo.
Una società in cui esiste solo il «collasso tra realtà e rappresentazione» con annessa problematicità politica, affiancata dalla questione nucleare, catalizzata nel discorso sulle grandi multinazionali, avvelenata dalle teorie complottiste, perfettamente iscritta nella cultura di massa con i vecchi nuovi media onnipresenti come lo Spirito Santo, in cui le nuove sacre reliquie sono il divismo, la pubblicità, la televisione, i conflitti etnici, il terrorismo, la «smaterializzazione del capitale», la «mistificazione della storia», la crisi energetica. A cui oggi si aggiungono anche Instagram, i followers, TikTok, la performance, la condivisione, il neverending happy ending.
Notoriamente il soggetto è da un po’ che è in crisi. Lo sappiamo. Sì, è stato detto e ridetto. Complici le guerre mondiali, le guerre fredde, le quarantene, la mancata attenzione per la salute mentale, la minaccia di virus letali, nonché di possibili terze guerre mondiali che raderebbero al suolo l’umanità. Tutte questioni che assomigliano alla cerniera drammatica di White noise: l’evento tossico aereo del capitolo ventunesimo, in cui convergeranno la contaminazione chimica, la paura della morte e il pensiero della fine del mondo subito «dopo una notte di lievi sfumature di sogno». Chi riesce ad ascoltare il suono del vuoto che non si sa come colmare, cosa fa per dormire la notte, a parte assumere melatonina come fanno i miracolati a cui basta quello?
Rumore bianco, inoltre, contiene l’inquietante dissociazione tra la morte del soggetto e la rappresentazione della morte stessa che sarà esplicitata quando il protagonista apprenderà che l’esposizione alle radiazioni gli sarà fatale. Ma Gladney non morirà. Vivrà il sentimento della morte, imprigionato in un’inesauribile paranoia, infatti
È quando la propria morte è resa graficamente e viene, per così dire, trasmessa in televisione che si avverte un’inquietante separazione tra il proprio stato di salute e se stessi. È stata introdotta una rete di simboli, un’intera tecnologia, spaventosa, strappata agli dei. Ti fa sentire un estraneo nella tua stessa morte.
Don DeLillo, White noise
E allora, le parole perdono significato mentre qualcuno invoca un rimedio per sfuggire alla paura di essere schiavi della propria nemica mente. Ma il mondo irrompe sempre più violento nella nostra percezione, e la paranoia si misura in numero di caffè bevuti e ansiolitici. La catastrofe! La paranoia! I labirinti dell’ansia! Ecco dove viviamo.
Quindi, come ci si salva da se stessi? Oh, Don DeLillo, potente antropologo del presente, accogli la nostra supplica e dacci una risposta!
Qualche volta la vita diventa un teatro dell’assurdo e ciò che succede non ha senso. Non sarà che il Postmoderno, ovvero la logica culturale del Tardo Capitalismo ci tiene tutti in pugno? Com’è che i nostri desideri precipitano tutte le volte nel vuoto e ci trascinano come prede ingenue in una caduta senza fine, fino a cancellarci? Come direbbe Fredric Jameson «il vuoto è assolutamente stipato, […] è un elemento dentro il quale noi stessi siamo immessi, privati di quella distanza che una volta rendeva possibile la percezione della prospettiva o del volume». Se solo fossimo capaci di tradurre in parole povere gli sproloqui filosofici di certi illuminati pensatori, probabilmente le nostre vite sarebbero capaci di riprendere possesso dei volumi. Colmando le falle. Riempiendo le fosse delle Marianne che abbiamo nel cuore.
E invece ci muoviamo in quel vuoto strutturale che Lacan chiamò «le sujet suppose savoir», il luogo-soggetto della conoscenza. E cos’è che veramente sappiamo non lo sappiamo. Sono tutte supposizioni. Com’è possibile aprire una breccia nei nostri cuori silenziosi? Si può forse rappresentare la necessità di ricominciare a percepirci come soggetti individuali o collettivi in grado di lottare e agire per quello in cui credono in maniera alternativa?
La cultura dell’infotainment è fatta di onde e radiazioni
Per fortuna l’outsider del Bronx ha scritto White noise, ovvero il rumore bianco che si insinua tra il silenzio sordo che talvolta fanno le nostre vite. Non siamo solo vuoti a perdere. Esistono altre Bibbie alternative che ci suggeriscono la strada da tracciare in un mondo che non ha più neppure i sentieri.
Benché l’ascesa della paranoia sia la vera protagonista assoluta, già il solo titolo di questo romanzo, forse postmoderno, descrive il mix casuale di frequenze che rende i segnali non comprensibili. Come per esempio la lavatrice in funzione che fa da colonna sonora, o il costante palesarsi della voce della televisione o della radio, in perenne contrasto con lo storytelling di Rumore bianco, ma anche della vita. Frasi fuori contesto, affermazioni senza senso. A partire da questo dato descrittivo che caratterizza la scenografia dipinta dall’autore, nasce la metafora di un rumore bianco limitrofo che sottolinea lo stato di degrado delle comunicazioni contemporanee, tutte focalizzate sulla banalità e l’irrilevanza. L’inutilità delle informazioni trasmesse, consumate per intrattenimento o paura, ecco un’altra peculiarità del nostro tempo. Ecco tutti i contesti in cui la logica mercantile del tardo capitalismo si è estesa in maniera tanto pregnante da dettare ogni scelta.
Un sospiro quando ci si sveglia, con le ossa che scricchiolano di malinconia, mentre ci stiracchiamo. Gli occhi gonfi per la paranoia o il pianto del giorno prima. Lo so, tutti i sogni sembrano annullarsi nei tramonti postmoderni di Don DeLillo. Infuocati di rimpianto o scetticismo. Colmi di apprensione e rabbia. Come i nostri cuori di plastica. Forse suggeriscono che per fermare la paranoia bisogna guardarla dritta negli occhi.
Ma non è dato sapere se mentre guardiamo siamo pieni di meraviglia o di terrore in cui la nostra incertezza finirà con il venire assorbita, oppure soltanto una bizzarria atmosferica, che passerà presto.
White noise, Don DeLillo
Quando seguiamo le onde e le radiazioni probabilmente ci piacerebbe scoprire un’onda a bassa frequenza che cancelli gli assilli. Dove non esiste alcun feeling of awe e i tabloid pubblicitari fuori dai supermercati del mondo disincantato in cui viviamo sono il luogo «where we wait together», infischiandocene delle differenze d’età perché tanto la paranoia è sempre la stessa, con gli occhi pieni del prossimo inutile oggetto variopinto che acquisteremo in un supermercato reale o virtuale. Con le menti in fila, intrappolate in un presente in cui le risposte si possono cercare solo dentro le pubblicità trash con cui cercheranno di venderci un rimedio d’amore o contro il cancro, oppure la cura dimagrante del secolo, magari un giorno anche gli antidepressivi, pillole per la felicità, in sconto all’ennesimo Black Friday sulle nostre coscienze scisse tra la necessità di vivere una vita appagante e l’incapacità di appagare della vita stessa.
Autore
Sono pugliese ma ho studiato fuori. Sto imparando a prendere le cose fragili con le mani bagnate. Ho scritto due libri di poesie. Amo la letteratura e una volta ho litigato con un prete.