«Non è possibile essere ben informati sull’Arabia Saudita e allo stesso tempo sostenere che il principe ereditario Mohammed bin Salman sia un riformatore», ha dichiarato in un’intervista rilasciata all’Ansa Hatice Cengiz, fidanzata di Jamal Khashoggi, il giornalista-reporter ucciso nell’ottobre 2018 in circostanze ancora ignote presso il consolato di Riad a Instanbul. Hatice Cengiz si riferisce, in particolare, alle espressioni utilizzate da Matteo Renzi, che, durante un colloquio con Bin Salman avvenuto poche settimane fa, aveva definito l’Arabia Saudita il luogo di un «nuovo Rinascimento», un Paese di stampo progressista e all’avanguardia.
Già a sei mesi dall’inizio delle indagini, l’ONU aveva rilasciato dichiarazioni in cui si sosteneva che vi fossero «prove credibili» del coinvolgimento di Bin Salman con l’omicidio di Khashoggi, a cominciare dalla scarsa collaborazione dell’Arabia Saudita con il personale giudiziario nelle indagini. Agnes Callamard, relatrice speciale per le esecuzioni extragiudiziali dell’ONU, in un rapporto pubblicato nel 2019, raccontava che, alla richiesta di consultare le registrazioni delle telecamere del consolato di Instanbul risalenti alla notte del 2 ottobre, le era stato consegnato un materiale di appena 45 minuti, quando l’intelligence turca aveva precedentemente dichiarato di disporre di più di 7 ore di registrazione. In aggiunta a ciò, nel rapporto, viene menzionato anche il rumore di una sega elettrica con cui presumibilmente sarebbe Stato smembrato il corpo del giornalista dopo l’omicidio.
Chi era Jamal Khashoggi?
Jamal Khashoggi viveva in esilio negli Stati Uniti dal 2017, dichiarato nemico del regime in Arabia Saudita. Si era più volte schierato contro il governo del principe Bin Salman, denunciandone l’illiberalismo e criticando aspramente l’intervento militare saudita in Yemen. Il 28 settembre 2018, poco prima del suo assassinio, Khashoggi si era recato al consolato saudita di Instanbul per ottenere i documenti attestanti il suo divorzio, affinché potesse risposarsi con Hatice Cengiz, con cui era fidanzato. Quando si recò al consolato per ritirare le carte richieste, ebbe un brutto presentimento, tanto che consegnò a Cengiz due telefoni cellulare, dandole indicazioni di chiamare soccorso se non fosse uscito in pochi minuti.
L’Arabia Saudita ha inizialmente negato tutte le accuse rivoltele dal governo americano e dall’ONU, smentendo la propria responsabilità e affermando che il giornalista del Washington Post sarebbe uscito dal consolato dopo pochi minuti dall’appuntamento. Ma Khashoggi non ha lasciato mai la sede e, dopo solo pochi giorni, le autorità saudite sono state costrette a cambiare versione dei fatti, spinte dalle prove schiaccianti che muovevano contro l’elitè di uomini più vicina al principe Bin Salman. Nonostante il capo del governo saudita non abbia mai ammesso la sua colpevolezza, rimane tutt’oggi difficile pensare che l’assassinio possa essere avvenuto senza il suo consenso: 5 uomini hanno ammesso di aver ucciso Khashoggi e tra questi figurano uomini di Stato e ufficiali del governo saudita.
Mohammed Bin Salman, il principe saudita che vorrebbe dare un volto nuovo al suo Paese, che si fa vedere come simbolo di un nuovo riformismo di stampo liberale, nasconde un volto cruento, inaspettato. Come rileva Roberto Saviano in Gridalo (Bompiani, 2020) non è tutto oro ciò che luccica, anzi, a dirla tutta, delle volte si tratta solo una bellissima facciata di copertura per nascondere quello che a tutti gli effetti è un regime semi-dittatoriale, fatto di hacker che controllano i computer dei cittadini, di un leader responsabile di crimini di guerra, di violazione dei diritti umani e di sfacciata menzogna.
Autore
Mi sono laureata in Filosofia a Roma. Ho vissuto per un po’ tra i fiordi norvegesi di Bergen e prima di questa esperienza mi reputavo meteoropatica, ora non più. Mi piace la montagna, ma un po’ anche il mare. Il mio romanzo preferito è il Manifesto del Partito Comunista e amo raccontare le storie.