Tanti auguri Commedia! Alle origini di un interminabile viaggio, iniziato 721 anni fa

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Era venerdì 25 marzo – o 8 aprile, per altri studiosi – del 1300, quando un giovane Durante Alighieri, per gli amici Dante, esagera come in ogni fine settimana e finisce col perdersi per una selva oscura. Inizia così uno splendido viaggio lungo tre cantiche, novantanove canti, 14.233 versi.

Un viaggio, questo, che vediamo ovunque, con il quale ci approcciamo fin dai primi studi e che ci ha lasciato un’enorme eredità. Quanto davvero siamo consapevoli di tanta genialità? Quanto a fondo ne abbiamo compreso il significato? D’altronde sono passati 721 anni da questa divina rivoluzione, che oggi intendiamo celebrare chiarendo alcuni fra i luoghi più conosciuti, passeggiando di terzina in terzina.

Nel mezzo del cammin di nostra vita | Inf I v.1

Versi così famosi che chiunque, almeno per qualche secondo della propria vita, ha imparato con estrema fierezza o saprebbe riconoscere ad occhi chiusi. Dante esordisce descrivendoci la diritta via perduta, l’oscurità della selva in cui si ritrova, l’inizio della sua esperienza.

Ma parla di nostra vita. Presuppone un noi. Proprio noi, tutti, miseri, comuni mortali. Non si tratta infatti del racconto di un giovanotto che incontra creature fantastiche col fine di abbracciare la sua amata (per questo basterebbe guardare Shrek, aiutato da Ciuchino per raggiungere la sua Fiona) ma è un’esperienza universale che tocca ogni individuo nell’iter verso il Bene. E che spesso inizia proprio in una condizione di stagnamento e peccato, ovvero, allegoricamente parlando, in una selva oscura.

Gustave Doré, Illustrazione del Canto I dell’Inferno di Dante, 1861

Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate | Inf. III v.9

Non ci troviamo di fronte all’ingresso degli uffici postali in attesa che venga chiamato il nostro numero, ma in un posto molto simile: sulla soglia dell’inferno. È infatti sulla porta infernale che vengono riportate queste parole, che Dante legge intimorito affianco al suo grande maestro Virgilio, il quale si impegna a rassicurarlo per proseguire il cammino. Ogni speranza va lasciata perché prevede un biglietto solo andata il viaggio dei dannati, che sanno -un po’ come noi con in mano il ticket delle Poste – perché entrano, ma mai quando ne usciranno.

Gustave Doré, Illustrazione del Canto III dell’Inferno di Dante, 1861

Amor, ch’a nullo amato amar perdona | Inf. V v.103

Uno dei versi più famosi della Commedia: letto, citato, decantato, cantato (Venditti, Jovanotti, Raf, Murubutu), ma fortemente complesso. Conosciuto, ma non scontato. Siamo tra i lussuriosi, in particolare davanti a due figure: Paolo e Francesca, esistiti veramente, caduti nel gioco di un amore impossibile perché cognati. Lei, figlia del signore di Ravenna, va in sposa a Gianciotto Malatesta, signore di Rimini, che alla scoperta del tradimento di lei, furibondo uccide entrambi.

Parla Francesca e ci porta davanti ad una profonda verità: l’Amore non permette a nessuna persona amata di non ricambiare. Evidentemente Dante non concepisce la friendzone, non ammette rifiuti, visualizzati senza risposta e pene d’amore; e ci mostra come la potenza di un sentimento –piacer sì forte– nemmeno dopo la morte, la punizione e l’eterno supplizio, abbandona.

L’Amore non perdona –nell’accezione di “non risparmia”- nessuno (nullo) e un po’ come una triste condanna, è impossibile liberarsene. Cosa fare davanti a parole così intense? Spaventato, il nostro poeta, sviene. Meglio prendere un palo che morire per PaoloE cadde come corpo morto cade.

Gustave Doré, Illustrazione del Canto V dell’Inferno di Dante, 1861

Ahi serva Italia, di dolore ostello | Pugatorio VI v.76

Sesto canto del Purgatorio che come ogni sesto all’interno di ogni cantica è di argomento politico. Con questi versi il poeta apre l’invettiva contro l’Italia, terra devastata dalle lotte interne e dalla corruzione della Chiesa, mira delle potenze straniere, nave senza un degno nocchiere. Parole che gridano aiuto, che pretendono una rinascita, consapevoli dell’immenso valore di un Paese distrutto. È il 1321 quando Dante, secondo la tradizione, ha concluso la stesura della Commedia, vivendo in una condizione di forte instabilità politica. Adesso, 700 anni dopo, potrebbe scrivere terzine migliori per parlare della nostra situazione?

Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di provincie, ma bordello!”

L’amor che move il sole e l’altre stelle | Paradiso, XXXIII v.145

Con queste parole Dante termina il suo viaggio, sigla la conclusione di un itinerario che lo ha condotto al raggiungimento della gloria paradisiaca. Siamo nell’Empireo, un cielo che accoglie beati e angeli, ricolmo di luce. Qui Dante si rapporta con l’essenza di Dio (l’Amor), vivendo un momento così carico da non riuscire a raccontarlo (“a l’alta fantasia qui mancò possa” v.142) .

È il tema dell’ineffabilità: non ci sono parole adeguate di fronte a tanto Amore e non c’è modo umano per riuscire a comunicarlo. Quando si sperimenta un’emozione tanto intensa, non c’è strumento che tenga per riuscire a parlarne. E allora che tutto termini con una lode a questo, che sia benedetto questo Amore in grado di muovere il mondo, che si trova in ogni cosa, che dà moto al Sole e alle altre stelle. Che tutti possano accoglierlo, notarlo, ricavarlo da ciò che si ha intorno e infine tenere a mente con grande consapevolezza che non c’è nulla oltre l’Amore a muovere chi siamo.

Gustave Doré, Illustrazione del Canto XXXI del Paradiso di Dante, 1861

Queste terzine tanto famose servono a ricordarci che alcuni capolavori entrano nelle nostre vite anche indirettamente e con insistenza si radicano nella nostra cultura. Che nonostante i 721 anni trascorsi (ovviamente secondo la finzione dantesca), la Commedia sprigiona ancora tutta la sua potenza e si apre a interpretazioni sempre nuove: siamo stati tutti Dante intimorito di fronte alla porta dell’inferno, un innamorato in lacrime che non sa come liberarsi da tanto sentimento, Ulisse che sa mentire con astuzia, Catone che muore a Utica per la libertà, Piccarda che nel Paradiso mostra come l’invidia non sia degna di essere provata, lettori di un contesto senza pandemie ma comunque un Inferno, dal quale nonostante tutto si uscì a riveder le stelle.

Un eterno viaggio che 721 anni fa ebbe inizio e che tutt’ora prosegue lasciando scoprire significati che si rinnovano costantemente, profondi, sottili, attuali. Buon anniversario, Dante. Nessun venerdì fu più necessario del 25 marzo del 1300.

Autore

Aurora Rossi

Aurora Rossi

Autrice

Roma, lettere moderne, capricorno ascendente tragedia. Adoro la poesia, tifo per l’inutilità del Bello, sogno una vita vista banchi di scuola (dal lato della cattedra, preferibilmente). Non ho mezze misure, noto i minimi dettagli, mi commuovo facilmente e non so dimenticare. Ma ho anche dei difetti.

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