Pochi giorni fa al Festival di Cannes è stata presentata, fuori concorso, la prima parte della nuova serie di Marco Bellocchio, Esterno notte. Serie composta da 6 episodi divisi in due parti. Bellocchio, a tre anni dal suo ultimo film (sempre politico, Il Traditore) torna al cinema con uno degli argomenti più delicati per la politica italiana, già protagonista nel suo film Buongiorno, notte (2003): il rapimento, la detenzione e poi il successivo omicidio di Aldo Moro. In questi primi 3 episodi iniziali, Bellocchio focalizza sulle dinamiche vissute dalla politica nella prima fase dei 55 giorni di prigionia del leader della DC, scavando nell’intimità dei personaggi più noti, aiutandosi con la presenza di un cast significativo e la capacità di immedesimazione di ognuno di loro: Fabrizio Gifuni è Aldo Moro, Margherita Buy che interpreta Eleonora Moro e Toni Servillo che diventa Papa Paolo VI.
Bellocchio, quindi, torna a raccontare la storia dell’Italia e dei suoi protagonisti. Siamo a Roma, ed è il 1978. Le strade sono affollate e domina il caos: violenze, rapimenti, attentati sono all’ordine del giorno. In un contesto internazionale dominato dalla Guerra Fredda, il Paese si ritrova a sua volta diviso in due: da una parte le Brigate Rosse e dall’altra lo Stato, da una parte i giovani dall’altra la classe dirigente. In questi anni di piombo, uno dei periodi più bui della politica italiana, spicca la figura di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, e promotore del cosiddetto compromesso storico tra il suo partito, la Democrazia Cristiana, e il Partito Comunista di Berlinguer. Un’idea politica che probabilmente era in anticipo sui tempi tanto che ha portato confusione sia internamente al suo partito sia all’interno del Partito Comunista, da cui si staccavano movimenti più radicali ispirati alla rivolta armata e alla dittatura del proletariato.
Esterno notte racchiude tutta la poetica di Marco Bellocchio: è un film maturo, potente, onirico ma soprattutto coraggioso. Se in Buongiorno notte il regista tralascia volutamente la componente politica esterna, che diventa un contorno, per soffermarsi su quella psichica e individuale, in Esterno Notte le dinamiche politiche sono espressamente (e in maniera coraggiosa) citate fin dall’inizio, dando a volte l’illusione allo spettatore di trovarsi davanti ad un documentario. La politica è fatta all’Esterno, e probabilmente questo ci vuole suggerire il titolo: la politica sono le manifestazioni in piazza, le lezioni delle università che si trasformano in dibattiti politici, è politica la distribuzione dei volantini diretti a boicottare il sistema. Dall’altra parte, la macchina da presa gira tra i luoghi della politica e portandoci ai piani alti, scavando nei pensieri più personali e intimi dei personaggi, trasformando la narrazione storica -politica (esterna), in una narrazione emotiva, onirica e assurda, ma che percepiamo come reale e quotidiana.
Dominano nella narrazione i pensieri dei personaggi e il loro percorso introspettivo piuttosto che le indagini politiche e sociali, e noi spettatori all’improvviso ci ritroviamo dentro la mente confusa e spaventata di Francesco Cossiga, interpretato da un perfetto Fausto Russo Alesi, entriamo in empatia con le paure di Eleonora Moro e ci facciamo trascinare dalle preghiere di Papa Paolo VI che prega per la liberazione del prigioniero. Esterno notte è un racconto emotivo e privato. Ci viene raccontato un rapporto coniugale di facciata tra Cossiga e sua moglie e il rapporto che ha Aldo Moro con i figli e il nipote, sono protagonisti i pensieri e le dinamiche interpersonali e familiari dei politici, e questa debolezza, solitudine e intimità dei personaggi diventano la grandiosità di questo racconto superando ogni forma di potere.
Ci sono film che parlano di politica e ci sono film semplicemente politici. La differenza è sottilissima quanto significativa: se i primi decidono di trattare un evento politico, in maniera più o meno oggettiva ma dichiarata, con l’obiettivo di dare un loro punto di vista su un evento storico, i secondi diventano loro stessi politica e raggiungono una visione molto più intrecciata, complessa ma soprattutto introspettiva e personale, rimanendo comunque fedeli al punto iniziale oggettivo. Tutto diventa politica, ogni gesto quotidiano, ogni suono, ogni immagine.
Esterno, notte è un film politico così come era politico Il Traditore. Il suono gioca un ruolo fondamentale nella narrazione e accompagna a volte in maniera ironica situazioni politiche e organizzative, così come se Bellocchio non stesse prendendo seriamente la scena politica a cui si trova davanti. Così come il suono anche la fotografia è significativa: domina il colore scuro, tra il rosso e il nero dimostrando la contrapposizione tra sinistra e destra, e la presenza costante dei primi piani (che spesso diventano soggettive) e ogni sguardo dei personaggi rompe lo schermo cinematografico e parla direttamente a noi, e si ha la sensazione che quei personaggi vogliano sussurrarci qualcosa così come davanti alla foto scattata ad Aldo Moro dalle BR, Cossiga sostiene che “Aldo lo stia guardando direttamente e voglia dirgli qualcosa”.
Marco Bellocchio, a 82 anni, ci regala uno dei suoi film più riusciti e lo fa con padronanza del linguaggio cinematografico. Riesce a dare una visione totale e completa degli anni peggiori della politica italiana in cui domina l’ipocrisia, spogliando ogni personaggio e mostrando la sua parte più debole e nascosta. Il sogno utopico di Moro e il peso della Democrazia Cristiana ricadono su di lui e così come è stato tradito Cristo, Bellocchio utilizza questa metafora ricostruendo il percorso doloroso un’allucinata Via Crucis, sotto gli occhi passivi della classe dirigente.
Autore
Parlo tanto e quando capita scrivo pure. Laureata in comunicazione e media, master in produzione televisiva e cinematografica. Guardare film e serie tv è la cosa che mi riesce meglio, amo Kubrick e sono simpatica.