100 anni dalla nascita di Enrico Berlinguer: vita politica e idee di un leader visionario

Segretario del maggior partito comunista d’occidente dal 1972 al 1984, introdusse in politica la questione morale, contribuì a distaccare il Pci da Mosca, comprese prima di altri la necessità di rinnovamento della politica italiana e l’importanza di questioni come quella femminista.

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La Sardegna del primo dopoguerra si trovava, come il resto d’Italia, a fare i conti con la riconversione dell’economia di guerra, subendola più di altre regioni per il suo basso livello di sviluppo economico, per la mancanza di trasporti e infrastrutture. Sassari, insieme a Cagliari, era il centro urbano più abitato dell’isola, vitale città universitaria e importante centro economico e culturale.


E’ qui che, il 25 maggio 1922, in una famiglia borghese dalle origini nobiliari, nasceva Enrico Berlinguer, destinato a diventare una delle figure più importanti e amate della storia non solo del Pci ma dell’intera Italia Repubblicana.


Introverso, modesto, avverso al culto della personalità, la sua persona fu certamente lontana dai canoni tradizionali del politico ostentato e presuntuoso, ma ciò non gli impedì di essere un leader carismatico, dotato di un’oratoria semplice ma incisiva, capace di parlare alla gente <con parole intelligibili a tutti, e in cui tutti potevano rispecchiarsi>, come disse Natalia Ginzburg.


Con Berlinguer il Partito Comunista Italiano raggiunse il massimo storico (34,37%) alle elezioni del 1976, senza tuttavia riuscire a superare la Democrazia Cristiana. Il sorpasso sarebbe avvenuto 8 anni dopo, alle elezioni europee del 17 giugno 1984, sei giorni dopo la tragica morte del segretario comunista, colpito da un ictus durante un comizio a Padova. Al funerale, tenutosi in Piazza San Giovanni a Roma, parteciparono circa due milioni di persone, un dato record per il Bel Paese, secondo solo alla veglia del 2005 per Papa Giovanni Paolo II.

La via italiana al socialismo e l’autonomia da Mosca

Nell’Italia della Guerra Fredda, una delle maggiori sfide che Berlinguer si trovò ad affrontare fu quella di ribadire il carattere democratico del PCI dinanzi alla propaganda anti-comunista mirata a tenere il partito di Via delle Botteghe Oscure fuori dal governo nazionale.


Già Togliatti, che Berlinguer conobbe a Salerno nel 1944, aveva affermato la <via italiana al socialismo>, nella convinzione che ogni nazione avrebbe dovuto raggiungere il socialismo secondo le proprie particolarità economiche, politiche e culturali e che l’Italia, dunque, lo avrebbe dovuto fare attraverso la via parlamentare nel rispetto della Costituzione antifascista.


Berlinguer portò avanti tale impostazione sostenendo allo stesso tempo l’importanza del ceto medio produttivo e dell’impresa privata nello sviluppo dell’economia italiana, rigettando una rigida e centralizzata pianificazione dell’economia e ribadendo la necessità di una programmazione che mirasse a evitare sprechi di denaro pubblico.


Nel 1968 i carri armati sovietici soffocarono nel sangue la Primavera di Praga e per la prima volta la Direzione del Pci si espresse in contrasto con il Cremlino. Berlinguer, che all’epoca era vicesegretario, in occasione della Conferenza internazionale dei Partiti comunisti e operai tenutasi nel 1969 a Mosca, si rivolse ai sovietici ribadendo la volontà del PCI di <avanzare al socialismo> su una via democratica e pluralista, rigettando invece <il concetto che po[tesse] esservi un modello di società socialista unico e valido per tutte le situazioni>


Era il primo dei numerosi ‘’affronti’’ rivolti al Partito Comunista Sovietico, dal quale Berlinguer cercò negli anni di rendere più autonomo possibile il PCI. La rottura non fu mai definitiva, ma il segretario sassarese fu senz’altro il leader comunista che ne cercò maggiormente l’emancipazione, ottenendo risultati non trascurabili quali la graduale riduzione , fino all’interruzione, dei finanziamenti in rubli che Botteghe Oscure riceveva da Mosca.


Nel dicembre 1981 la Pravda, organo ufficiale del PCUS, accusò Berlinguer e il Pci di agire contro gli interessi della pace del socialismo e di perseguire una politica di aiuto diretto all’imperialismo e all’anticomunismo mondiali; in seguito al ripristino della legge marziale in Polonia e della repressione dei movimenti democratici e sindacali , infatti, Berlinguer aveva dichiarato che <<la capacità propulsiva di rinnovamento delle società che si sono create nell’est europeo> fosse ormai <venuta esaurendosi>.

La minaccia rossa e il compromesso storico


Se il carattere dissidente di Berlinguer non era di certo apprezzato a est della cortina di ferro, tantomeno gli Stati Uniti vedevano di buon occhio un comunista che, in occidente, si dissociava così tanto dal prototipo su cui era basata la propaganda americana. Il Time Magazine, nel giugno 1976, gli dedicò una copertina dal titolo <The red thread>, la minaccia rossa, mentre Henry Kissinger lo indicò come <il comunista più pericoloso>.


In quegli anni il Partito comunista italiano era in ascesa e vi era la possibilità che, per la prima volta nella storia, riuscisse a superare la Democrazia Cristiana. Nel 1973, tuttavia, il successo elettorale di Salvador Allende in Cile era stato represso nel sangue da un golpe militare finanziato dagli Usa, e Berlinguer temeva che la stessa sorte potesse toccare all’Italia in caso di ingresso dei comunisti al governo.


Fu anche per questo motivo che il successore di Luigi Longo alla segreteria del Pci propose la strategia del compromesso storico, ovvero un’alleanza tra le forze democratiche e popolari del Paese volta a risanare il paese dagli <immani e laceranti problemi economici, sociali e civili> e < garantire l’avvenire democratico della nostra Repubblica>. Berlinguer voleva mostrare a Washington che un ingresso del PCI in maggioranza non avrebbe costituito alcuna minaccia alla tenuta democratica del paese; allo stesso tempo, riteneva che solo una larga coalizione di governo, raggiunto un dialogo e un’intesa, potesse garantire quella guida solida e stabile necessaria a risollevare e rinnovare l’Italia.


Il compromesso storico così come descritto non trovò mai realizzazione, nonostante tentativi in merito portarono alla stagione della solidarietà nazionale, quando tra il 1976 e il 1979 il PCI non votò la sfiducia a due esecutivi monocolore democristiani consecutivi.

Indispettito da alcuni comportamenti di Andreotti, e resosi conto della contrarietà della base all’alleanza con la DC, Berlinguer avrebbe probabilmente staccato prima la spina a tale esperimento, se non fosse che il giorno della fiducia al governo Andreotti IV coincise con il rapimento di Aldo Moro, di fronte al quale il Pci, nel segno della responsabilità istituzionale, garantì l’appoggio esterno all’esecutivo. In seguito alla morte di Moro, che fu il maggiore interlocutore di Berlinguer nella strategia del compromesso storico, e a forti contrasti con la Dc soprattutto in ambito di politica economica, il Partito Comunista tornò all’opposizione.

La questione morale e la crisi dei partiti

Ben prima dell’avvento di Tangentopoli e del conseguente distacco dei cittadini dai partiti, Berlinguer comprese come fosse necessario un rinnovamento di quest’ultimi tanto sul piano morale quanto relativamente ai nuovi temi apparsi sulla scena politica.


Già nel 1976 aveva dichiarato, rivolgendosi alla Democrazia Cristiana, come questa fosse diventata sempre più <un partito di mera occupazione del potere>, preoccupato più di ogni altra cosa di conservarlo.


Per Berlinguer i partiti di governo avevano smesso di fare politica, convertendosi in macchine di potere e di clientela, occupando lo Stato e le sue istituzioni e allontanandosi sempre più dai problemi della società e della gente. Era la c.d questione morale, problema fondamentale per il sassarese non solo sul piano etico ma per lo stesso corretto funzionamento della democrazia rappresentativa. Undici anni prima dello scoppio di Mani Pulite, dialogando con Eugenio Scalfari riguardo al conflitto tra interessi di partito e interessi generali del paese, Berlinguer affermò come la questione morale andasse affrontata <per evitare una rivolta (che sta maturando) contro tutti i partiti, che ne colpirebbe la funzione essenziale e legittima, e che porterebbe perciò a pericoli per il nostro regime democratico>.

Ragionando su fenomeni quali la crescente astensione e il calo delle iscrizioni ai partiti, nei primi anni ‘80 Berlinguer si rese conto dell’avvento di una nuova fase della politica italiana, in cui l’impegno politico e la partecipazione dei cittadini si stavano spostando sempre più al di fuori deille forze politiche. Erano gli anni di una nuova ondata del movimento per la pace, del referendum sull’aborto, dell’emergere di nuove questioni quali l’importanza del tempo libero. Anche in questo caso, Berlinguer ritenne che i partiti democratici dovessero innovarsi, interpretando e confrontandosi con tali tematiche, per evitare la crescita del distacco con i cittadini.

l giovani, le donne, il pacifismo


Al di là, ovviamente, del movimento operaio, i movimenti sociali a cui Berlinguer dedicò maggiore attenzione nel corso della sua vita politica furono quello pacifista e quello femminista, oltre all’ascolto rivolto negli anni alle istanze dei più giovani.
Le parole spese, nel 1975, rispetto alla condizione di quest’ultimi, sembrano descrivere, a quasi cinquant’anni di distanza, l’attuale società italiana. <Sono molti i giovani disoccupati, ma sono moltissimi anche quelli che trovano un’occupazione nel lavoro nero e precario. E ciò significa spesso, per centinaia di migliaia di giovani, una condizione di sfruttamento e comunque uno stato di incertezza per l’avvenire, che rende più difficile il rapporto con le organizzazioni del movimento operaio>.

Il rapporto con il movimento femminista fu, invece, più complesso. Se inizialmente non ne comprese la portata, e in seconda istanza indicò la mancata parità di genere come uno dei mali provocati dal capitalismo, da metà anni settanta fino alla sua morte si può dire che Berlinguer fu il politico comunista più vicino alla causa dell’emancipazione femminile. Frequentò i primi convegni sulla differenza di genere della Libreria delle donne di Milano e contribuì a creare, in contrasto con la maggioranza del proprio partito, il Gruppo Interparlamentare delle Donne. Più in generale, arrivò ad affermare che il tema della <liberazione femminile> avrebbe giovato non solo alle donne ma agli uomini stessi, i quali non sarebbero mai stati liberi all’interno di una società maschilista.

Infine, Berlinguer fu un autentico pacifista. Contrario alla logica dei blocchi, sostenne la necessità, per l’Italia, di rimanere all’interno del Patto Atlantico per non nuocere al processo di distensione a cui si era giunti nel corso della Guerra Fredda, senza tuttavia rinunciare <all’esercizio libero e responsabile> della propria autonomia all’interno dell’alleanza e ribadendo il carattere difensivo di quest’ultima.
Fautore di un’Europa Occidentale né antisovietica né antiamericana che favorisse il disarmo e la cooperazione, riteneva indispensabile un dialogo continuo tra i Paesi mondiali, indipendentemente dal loro regime politico e sociale. Solo così, secondo Berlinguer, era possibile salvaguardare la pace mondiale.

Autore

Nato nel 1999 tra Marche e Romagna, nonchè tra mare e collina, amo viaggiare, scoprire nuove culture, leggere di tutto ma soprattutto di storia e politica. Ho vissuto in Inghilterra e Spagna e studiato Scienze Internazionali e Diplomatiche. Amo la musica, lo sport e le piccole cose.

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