La canzone che ha spopolato al festival di sanremo prima ancora di aggiudicarsi la vittoria, il brano che è immediatamente entrato nelle classifiche, nelle playlist, nella testa e nel cuore di tutti: Brividi. Un pezzo di Mahmood e Blanco, deciso, carico di emozioni, capace di toccare le corde e gli animi di molti che si sono rispecchiati nelle parole di un testo così struggente e diretto allo stesso tempo. Più che un amore a prima vista, un Brivido al primo ascolto.
Eppure il tema non è affatto nuovo: l’amore, sentimento travolgente e totalizzante, riesce a prendere il controllo di ogni pensiero e così gli innamorati, spesso, si trovano a non saperlo comunicare. Ciò può portare la relazione verso esiti più disastrosi, come la sensazione di sbagliare continuamente nei confronti dell’altro o il desiderio di scappare lontano («ma sbaglio sempre / e pagherei per andar via»). Il problema di comunicare male, o di non sapersi proprio esprimere, è una costante della vita umana e perciò anche della produzione letteraria che riflette e rappresenta l’individuo in ogni sua sfumatura. Antichi e moderni, classici e romantici, siamo tutti in balia di una parola non detta, del rimpianto di una dichiarazione, di una frase sbagliata, fraintesa, di una colpa espressa. Vediamo fra le varie epoche alcuni tra i grandi intellettuali e letterati che hanno saputo affrontare questa tematica e renderla, ancora ai giorni nostri, sempre attuale e significativa.
Platone – Simposio: parlare per enigmi
Più che «nudi con i brividi», Platone racconta che nasciamo tondeggianti e pieni di ego. Nel Simposio vengono presentati gli androgini, essere superbi e completi nella loro natura, che dalla tanta convinzione sfidano Zeus, padre degli dei, per poi essere puniti venendo tagliati in due. Spezzati, divisi per sempre. Si ritrovano dunque come esseri mozzati, condannati all’infinito a un senso di mancanza con cui dovranno convivere per tutta la vita. L’uomo esiste dunque col desiderio di ricongiungersi alla parte mancante, alla persona in grado di restituire quel senso di completezza originaria, perduto per via della punizione divina. E quando finalmente l’altra metà sembra arrivare? Si resta nudi, con i brividi, senza poterlo esprimere. L’amore diventa, quindi, quell’unica emozione capace di riempire quel vuoto che è la pena eterna di ogni essere umano sin dalla nascita. Arriva, dunque, e travolge: un’idea di familiarità, di casa, di appartenenza originaria di cui l’uomo non ha ricordo e perciò non trova parole.
È un sentimento diretto, di pancia, che non trova spiegazione razionale perché traccia di una natura che precede la nascita degli uomini come entità distinte: «Non so dirti ciò che provo, è un mio limite», canta Mahmood. E come parlano dunque questi umani, una volta che si ritrovano? «Attraverso enigmi», risponde Platone. Più (non) chiaro di così.
Ovidio – Ars amatoria: sedurre con la parola
L’arte di amare è un poemetto in versi composto dall’autore latino Ovidio, che ha come obiettivo quello di offrire agli uomini consigli per conquistare le donne amate, e a quest’ultime indicazioni su come sedurre e attrarre gli uomini. Fra i vari suggerimenti (come quello di non esagerare con unguenti e profumi, mostrarsi simpatici all’amica più cara della donna amata, evitare di discutere per lungo tempo), Ovidio sottolinea l’importanza della parola. Nel I secolo ci troviamo di fronte a una piccola opera che tra i vari precetti già riporta raccomandazioni per riuscire a comunicare in modo adeguato:
Sian le tue parole le più semplici e credibili sempre quando scrivi;
Ovidio, Ars amatoria, I, vv. 701-704
tenere, tuttavia, sì che sembri che tu le parli.
Sedurre la donna dedicandole parole credibili e semplici, perché troppo artificio potrebbe portare a credere che sia forzato, o finto. Notare dell’amata un dettaglio, un’abitudine, un suo modo di comportarsi e riferirle –per Ovidio va bene anche se di facciata, non per forza con sincerità– quanto sia speciale. Amore e parola diventano così due aspetti profondamente legati, che è bene saper esprimere per mantenere saldo un rapporto e tener viva la passione. Poesia, sentimento e dichiarazioni, gesti che possono valere più di un vero e proprio regalo:
Alle donne piace ascoltare versi dedicati a loro: Per
Ovidio, Ars amatoria, XI, vv. 424-426
tutte queste donne, può di notte talvolta un carme
scritto in loro onore prendere il posto d’un modesto
dono.
Dante – dalla Vita Nova alla Commedia: Amore mi detta, ma appare indicibile
Nei capitoli finali della Vita Nova, Dante decide di trovare un nuovo modo di esprimere l’amore che prova per la sua cara Beatrice: la poesia della lode. Dopo che la giovane gli ha negato il saluto, togliendo lui un gesto di salvezza e beatitudine, il poeta dichiara apertamente di voler riporre tutte le energie nelle parole che lodano la sua donna e concludendo l’opera, con la morte di lei, lascia ai lettori la promessa che ne parlerà di nuovo solo quando avrà mezzi più alti e sublimi per farlo. Praticamente ammette che al momento –come tutti noi quando troppo coinvolti da una situazione non siamo ancora lucidi per riuscire a parlarne– non è in grado di dire cose che possano renderle giustizia: ti amo, ma a volte non so esprimermi.
Sì che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna.
Dante, Vita Nova, XLII
Ci spostiamo così alla Commedia, dove il percorso salvifico di Dante prende forma attraverso le tre cantiche: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Nel grande cammino che si prefissa di compiere, deve dar prova anche di riuscire a comunicare in un modo più elevato, raffinato e degno. Così, nel XXIV canto del Purgatorio, si rivolge a Bonagiunta e gli spiega: «I’ mi son un che, quando Amor mi spira, noto». L’amore detta parole dolci al poeta, il quale diventa servitore di quel sentimento tramutandolo in poesia.
Tutto bene –come nei primi approcci in cui le domande rimangono sul vago del che fai? di che zona sei? ascendente?-, finché lo scenario cambierà ulteriormente, spostandoci nell’ultima cantica, quella del Paradiso. Un unico termine, preciso e ricorrente, riesce a spiegare nel modo più totalizzante l’esperienza di Dante: ineffabilità. Letteralmente, ciò che non si può esprimere a parole. Ed è dal primo canto del Paradiso che il poeta esprime l’insufficienza dell’intelletto e del linguaggio di fronte a quel che sta provando: il tema è troppo alto. Affrontare un’esperienza così elevata, salvifica e complessa significa dunque andare oltre i limiti umani, cosa che non può essere espressa per mezzo di parole.
Perciò Dante l’aveva già capito, ancor prima di Mahmood e Blanco, che l’essere umano a volte non ha facoltà adeguate per dire quel che sente come vorrebbe, o per lo meno non pensa di esserne in grado. Così il problema se lo posero già gli antichi con Platone, che risolsero la questione con il mito; e ancora Ovidio provando a diffondere consigli affinché le relazioni potessero durare in modo sano; tutta la letteratura provenzale e medievale, Dante incluso come vetta più alta. Ma la realtà è questa, e ce lo mostra Cesare Pavese:
Ti amo.
Cesare Pavese, lettera del 17 marzo 1950
Cara Connie, di questa parola so tutto il peso – l’orrore e la meraviglia – eppure te la dico, quasi con tranquillità. L’ho usata così poco nella mia vita, e così male, che è come nuova per me.
Gli esseri umani saranno sempre in bilico tra la volontà di dire e la paura di non riuscire, di non essere abbastanza. L’errore è intrinseco nel dialogo, così come la paura. Spesso le parole usciranno a sproposito, talvolta invece avranno un loro enorme peso. Ma quando l’amore è forte, deciso e spiazzante, con tutto l’orrore e la meraviglia di cui parla Pavese, dopo averlo espresso così poco e così male come ci insegna la canzone Brividi, prima o poi uscirà fuori in tutta la sua potenza.
Autore
Roma, lettere moderne, capricorno ascendente tragedia. Adoro la poesia, tifo per l’inutilità del Bello, sogno una vita vista banchi di scuola (dal lato della cattedra, preferibilmente). Non ho mezze misure, noto i minimi dettagli, mi commuovo facilmente e non so dimenticare. Ma ho anche dei difetti.