Belfast: la guerra attraverso gli occhi di un bambino

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Sembra che gli Oscar 2022 vogliano premiare film intimisti, introspettivi e autobiografici: se come miglior film straniero a rappresentare l’Italia ci sarà È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, Belfast di Kenneth Branagh riceve ben sette candidature.

I due registi si raccontano come non avevano mai fatto prima: Paolo diventa Fabietto, un adolescente che vive nella Napoli degli anni ’80 e che perde i suoi genitori prematuramente per una fuga di gas; e Kenneth diventa Buddy, un bambino di nove anni, la cui vita viene improvvisamente stravolta da The Troubles, i conflitti tra cattolici e protestanti che ha sconvolto l’Irlanda del Nord a partire dagli anni ‘60.

Storia di una partenza

Entrambi i registi, con stili completamente differenti, raccontano la storia di una partenza, dalla prima presa di coscienza all’atto definitivo. Come sappiamo in entrambi i casi l’approdo finale dei due sarà il cinema, ma il motivo motore e il sentimento dei due personaggi sono ben diversi.

Fabietto dopo la morte dei suoi genitori è solo, desidera andare a Roma «per fare cinema» e parte, nonostante il severo richiamo del suo mentore. Il regista Antonio Capuano, infatti, gli aveva detto che partire è solo una fuga, un palliativo, perché si torna sempre a sé stessi. Buddy, invece, subisce la scelta dei genitori: di suo padre, che lavora a Londra e vuole portare con sé la sua famiglia per metterla in salvo e di sua madre, che nonostante le remore e le mille paure iniziali si lascia convincere. Il piccolo non vorrebbe abbandonare la sua cara e accogliente Belfast. Nella sua città si sente libero di correre e giocare per il quartiere, si sente protetto da tutti i suoi affetti: dai suoi genitori, dal fratello maggiore, dal vicinato, dalla cugina ribelle e soprattutto dai suoi amati nonni.

A Belfast Buddy non è solo e, nonostante la paura iniziale di fronte ai primi conflitti, non si rende conto di quello che sta accadendo, non si accorge che tutto sta cambiando, che quelli che prima considerava amici da un momento all’altro potrebbero diventare i suoi peggiori nemici. Si preoccupa di più di poter perdere il suo primo amore, la dolce compagna di classe dal viso angelico, di cui tanto aveva parlato ai suoi nonni e a suo padre.

Il bianco e nero del film ha un forte valore simbolico, esso rievoca in alcune inquadrature il Neorealismo italiano e in altre il cinema classico hollywoodiano. Ma soprattutto rimarca la polarizzazione che è presente in tutto il film, tra la scelta di restare e quella di partire, tra il dubbio se ci si trovi di fronte ad un amico o ad un nemico, tra la strada del bene e quella del male. Le uniche inquadrature che si colorano sono quelle della Belfast contemporanea, delle proiezioni al cinema e dello spettacolo teatrale.

Storia di un addio

Il film è tutto raccontato attraverso gli occhi di Buddy e la realtà risulta edulcorata. Il piccolo continua a vivere le sue giornate con la spensieratezza che caratterizza la sua età: continua a giocare, ad innamorarsi, ad andare al cinema, perché un bambino non perde la fantasia, la voglia di scoprire o quella di sorridere. Un bambino non ha piena consapevolezza di cosa significhi vivere una guerra, fin quando non si trova costretto a lasciare la sua città, i suoi affetti, le sue abitudini: è lì che si rende conto di quanto sia terribile e ingiusta.

Numerose inquadrature di Belfast richiamano in maniera evidente e questa volta ricercata dal regista, la storia di un’altra partenza, quella di Salvatore in Nuovo Cinema Paradiso, che lascia il suo piccolo paesino in Sicilia, per andare a Roma, dove diventerà un regista di successo.

I temi della partenza, dell’amore viscerale per il cinema e di un primo amore totalizzante non sono l’unico tratto d’unione tra i due piccoli protagonisti. Quello che più li accomuna è l’attaccamento ai loro mentori, gli affettuosissimi nonni irlandesi e lo scontroso ma simpaticissimo proiezionista Alfredo, che prendono la stessa posizione riguardo al destino dei giovani. La famosissima scena alla stazione, in cui Alfredo dice a Salvatore «Non tornare mai, non ci pensare mai a noi. Non ti voltare, non scrivere, non ti fare fottere dalla nostalgia, dimenticaci tutti» viene sostituita da un semplice «Don’t look back», che la nonna di Buddy pronuncia vedendo l’auto con i suoi cari partire.

For the ones who stayed, for the ones who left and for all the ones who were lost è la dedica che Kenneth Branagh lancia alla fine del suo film. Per nostra fortuna né lui, né Paolo Sorrentino, né Giuseppe Tornatore si sono persi e oggi possiamo godere del loro cinema.

Autore

Aurora, classe 1997, laureata in Letteratura musica e spettacolo, attualmente studio Scritture e produzioni dello spettacolo e dei media. Sono un'appassionata di cinema e odio le presentazioni formali.

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