Quante volte abbiamo pensato che una persona conosciuta in poco tempo sia stata capace di regalarci emozioni profonde, al di là dei momenti che si sono condivisi. Qualcuno che è arrivato dal nulla, slegato dai vincoli del passato, che ha saputo annullare le distanze che ci hanno attraversato negli anni. Aver provato la sensazione di essere a casa, finalmente, senza il bisogno di spiegarsi troppo. Un amore dunque, che si è concretizzato nel breve tempo di conoscenza, forte della sua ingenua origine, contro tanti legami di lunga durata che invece non ci hanno arricchito così a fondo.
La durata di una storia può davvero quantificare l’amore che si prova?
Ci risponde William Shakespeare, autore della tragedia in cinque atti che ha smosso gli animi di tutti i lettori nel corso di questi secoli: Romeo e Giulietta.
Il drammaturgo racconta la storia di due giovani innamorati che vivono un immenso amore in un brevissimo tempo: Romeo e Giulietta, figli di due famiglie veronesi rivali: Montecchi e Capuleti. Entrambi adolescenti, si conoscono durante una festa in maschera e si innamorano follemente, decidendo poi di sposarsi in segreto grazie a un frate loro amico, Lorenzo.
Il giorno dopo l’importante festa in maschera, il cugino di Giulietta si scontra in duello con un amico di Romeo –classici postumi da domenica mattina– e lo uccide. Romeo, preso dallo sdegno, decide di vendicarlo e uccide a sua volta il vincitore dell’incontro, parente di Giulietta. Le conseguenze per Romeo sono disastrose: è costretto all’esilio, dovendo abbandonare Verona, e con la città anche la sua cara amata. Ma il giovane invaghito non si arrende alla notizia e grazie alla complicità della balia della ragazza riesce a condividere un’unica notte d’amore insieme a lei, prima di lasciare la città.
Il padre di Giulietta decide dunque di combinare le nozze della figlia con il conte Paride, suo futuro sposo secondo gli accordi familiari. Giulietta, disperata, non volendo come marito nessuno che non sia il suo amato Romeo, chiede aiuto a frate Lorenzo, che le consiglia di attuare un piano: bere il giorno delle nozze una pozione che l’avrebbe finta morta, così che il suo corpo potesse essere portato a Mantova per la sepoltura, dove finalmente avrebbe potuto ricongiungersi con Romeo. Ed ecco svelata la vicenda che ispirò Blanco, secoli e secoli fa, per la celebre Anche se mi seppelliscono sto con te, scritta da un Montecchi e una Capulè.
Il piano procede perfettamente, arrivando alla sepoltura della ragazza, ma Romeo non viene avvisato della strategia attuata in tempo e crede che la morte sia reale. Preso dal dolore, raggiunge l’amata e sceglie di avvelenarsi per morire affianco a lei. Giulietta, risvegliatasi dal sonno, trova il compagno senza vita e nell’angoscia si uccide col pugnale di lui.
I due amanti si incontrano in circostanze a noi molto vicine: una festa, una sera, nell’impeto degli ormoni adolescenziali. Eppure qualcosa in loro si accende, affinché questo inaspettato appuntamento col destino si concretizzi in un travaglio d’amore. Quanto ancora avrebbero potuto costruire, potendo viversi di più? Quante esperienze avrebbero potuto condividere se solo la morte non avesse interrotto questo sentimento? Procedendo con una reale frequentazione, avrebbero davvero continuato ad amarsi come tanto credevano? Non possiamo saperlo, ma conosciamo quel che provavano l’uno per l’altra:
D’ora in avanti tu chiamami Amore, ed io sarò per te non più Romeo.
Se lo promettono, se lo promettono in nome di qualcosa di troppo grande che non può essere stretto nel tempo che hanno potuto vivere. Le notti sotto al balcone di Giulietta sarebbero valse per Romeo più di un duello vinto, di una relazione accordata, di una storia più comoda, più gestibile, più concreta. Nessuna relazione semplice avrebbe potuto sostituire il desiderio di avere accanto quella persona, che per Giulietta non sarebbe mai stato Paride e per Romeo avrebbe valso chilometri, anche distanti.
L’amore è forse una cosa delicata? Direi piuttosto che sia troppo rude e troppo aspra e infine troppo violenta. E punge come uno spino.
Eppure Shakespeare non manca di raccontare il lato oscuro di una passione così travolgente, che arriva alla morte e al dolore profondo. L’amore diventa paradosso: vive nell’impossibilità di essere vissuto e si alimenta di aspettative. Quanti tra noi trovano stimolante qualcosa che sappiamo non possa essere concretizzato? Quanta adrenalina si crea nel vivere qualcosa che si presenta difficile? Eppure ne siamo attratti, combattendo con qualcosa che è più grande di noi, che si pone come irraggiungibile, ma che si alimenta nell’attimo stesso in cui si vive.
Così, ancora una volta, Romeo ci insegna a lottare, fuggire e tornare, per qualcosa che possa valere la pena davvero. Il brivido, l’adrenalina, il rischio folle di esser giovani –d’animo– e intrufolarsi nella proprietà della famiglia rivale, pur di riuscire a rubare un po’ di tempo e a guadagnare un breve incontro. L’incoscienza beata che fa parlar d’amore senza forse davvero conoscersi a fondo, ma che fa sentire qualcosa che mantiene svegli, fa parlare con la luna, fa correre lontano. Lo stesso Romeo però si presenta inizialmente come un’irrequieta mina vagante, in un primo momento invaghito di Rosalina, qualche ora dopo perso nello sguardo di Giulietta. Shakespeare racconta forse il salto da una semplice infatuazione che si aggiunge all’ampio ventaglio di esperienze giovanili, che arriva poi all’amore genuino, per la prima volta concretizzato in Giulietta.
Lei, d’altro canto, viene colta da una passione irrefrenabile per l’impossibile, per il proibito, per un colpo di fulmine improvviso. Entrambi perciò vivono qualcosa di tanto intenso e inebriante che porterà la morte a prendere il sopravvento su una vita che non vale più nulla, senza la presenza dell’altra persona. Un sentimento tragico di svuotamento che sarebbe impossibile reggere nemmeno con un’intera esistenza da scrivere ancora. Ed è per questo che la vicenda degli innamorati lascia che il lettore si innamori a sua volta: ogni attimo trascorso fra i due si fa eterno, e tra un pianto per una buonanotte da darsi – attacchi tu o attacco io?- e un esilio da scontare, entrambi riescono a vivere nella pienezza di quei pochi momenti, che tanto puri riescono a costruire un amore. Senza sprecare nulla.
Ed ecco che Romeo e Giulietta, giovani e incoscienti, preferiscono morire invece di viversi distanti. Ecco che il vero sentimento, nato per caso, prosegue sulla scia dell’irrazionalità e senza pensarci troppo porta a piani strategici e allontanamenti, con l’unico fine, motore di ogni cosa, che è l’unione di entrambi.
Ed è un amore che Shakespeare racconta mai come superficiale, ma carico di patos e intensità. Una passione che non viene contenuta dal poco tempo speso, ma che anzi sorpassa il confine della durata per godere del suo valore. Saranno stati pochissimi giorni, de facto nulla di costruito, sarà pur finita male, ma all’autore non è importata alcuna dinamica sul loro rapporto che non fosse quella destinata a farlo funzionare. L’amore che è circostanza di una sera diventa eternità per la vita, ed è forse questo il bello di essere giovani, irrazionali, volenterosi ma soprattutto innamorati.
Perché non si possono mettere limiti all’amore e ciò che Amor vuole, Amore osa.
Autore
Roma, lettere moderne, capricorno ascendente tragedia. Adoro la poesia, tifo per l’inutilità del Bello, sogno una vita vista banchi di scuola (dal lato della cattedra, preferibilmente). Non ho mezze misure, noto i minimi dettagli, mi commuovo facilmente e non so dimenticare. Ma ho anche dei difetti.