Le morti bianche, o il racconto di un dramma troppo poco raccontato che nel 2021 ancora dilania il nostro Paese

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Roberto, Marco e Filippo, che aveva solo vent’anni, sono gli ultimi tre protagonisti di un fenomeno agghiacciante, che però nel 2021, in Italia, è tutt’altro che di piccole proporzioni: erano 1.017 morti da gennaio a fine ottobre del 2021, con una media di oltre 3 morti al giorno. Non solo loro, ovviamente: le morti bianche, come si evince da questo dato, manifestano una crisi strutturale del nostro Paese sulla sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici.

Non interessa, infatti, in questo contesto, ripercorrere e ricostruire tutto ciò che ha portato alla morte dei tre operai a Torino. Più in generale, è importante cercare di capire come la tutela di chi lavora sia spesso considerata un accessorio, un costo in più, e non la necessità basilare, essenziale, sulla quale costruire un ambiente di lavoro.

Tutto ciò lo si deduce da un’analisi rapida: molte persone che rientrano nella statistica degli oltre mille morti non avevano un regolare contratto lavorativo ed operavano in condizioni sostanzialmente estreme, anche per un fatto anagrafico (troppo grandi per svolgere quel compito).

Utilizzare i dati Inail, contenuti nel rapporto pubblicato il 31 ottobre sulla numerosità e la tipologia degli infortuni denunciati e protocollati, è quindi utile per non lasciare che il ricordo di chi muore di lavoro, ad oggi, affoghi nell’anonimato di una statistica.

Un report su scala nazionale: dove e in che modo avvengono più incidenti

Dunque, l’ultimo report Inail fermo a fine ottobre 2021, segnalava 1.017 morti, che significano oltre 3 al giorno, uno ogni otto ore. L’altro dato importante riguarda gli incidenti non mortali: se ne contano, addirittura, uno ogni 50 secondi, 27.000 in più rispetto all’anno scorso, per un totale di 448.110 segnalazioni.

Ancor più nel dettaglio, si segnala un avanzamento degli infortuni in itinere, anche a causa del fatto che molte/i dipendenti non lavorano più in smart working (passaggio da 51 mila segnalazioni circa a più di 63 mila). In generale, in tutti i settori produttivi, nel Rapporto Inail si è notato un aumento generale di incidenti denunciati, tranne quelli della pubblica amministrazione.

Per fare invece una sorta di cartina geografica di queste segnalazioni, vediamo come solo il Nord Ovest (Piemonte, Valle D’Aosta, Lombardia e Liguria) segnali un abbassamento delle denunce rispetto allo scorso anno: si passa infatti da 135.727 a 130.872, mentre il resto d’Italia segue il trend opposto, aumentando ovunque.

È interessante circoscrivere geograficamente e confrontare i dati con quelli del passato più recente, perché, ad esempio, se la Liguria oggi rientra nelle regioni con meno segnalazioni, ciò non significa che ci sia una situazione non critica: un articolo di Repubblica – che quotidianamente racconta gli incidenti sul lavoro – che risale al maggio 2021, riportava un dato di oltre 10 mila incidenti sul lavoro avvenuti a Genova, e le parole dei sindacalisti che esortavano il Governo ad utilizzare fondi europei per rafforzare la sicurezza sui cantieri.

Un altro aspetto su cui vale la pena soffermarci, per avere uno sguardo ancor più ampio, riguarda la provenienza e il genere delle denunce con esito mortale: 861 italiani, 38 comunitari e  118 extracomunitari, dato in aumento rispetto all’anno scorso. In calo il numero di denunce provenienti da lavoratrici (da 164.401 a 159.524) mentre in aumento quelle degli uomini (da 257.096 a 288.586), e le fasce d’età più interessata va dai 50 ai 54 (60.103 denunce).

Dove ricercare le colpe

Il direttore dell’Ispettorato nazionale del lavoro, Bruno Giordano, dopo la tragedia dei tre operai a Torino – citati ad inizio articolo – ha riportato un dato che parla da solo: «Abbiamo iniziato una vigilanza da qualche mese da cui risulta che oltre 9 imprese edili su 10 non sono regolari». Fa eco Luigi Sbarra, Segretario Generale della Cisl, dicendo che «per fermare questa lunga scia di sangue bisogna rafforzare le misure di contrasto, già deliberate dal Governo, servono misure repressive, più controlli, più medici del lavoro. E le imprese non possono considerare la sicurezza soltanto un costo».

Per circoscrivere ora il discorso a un settore specifico, ovvero quello dell’edilizia, ritorniamo momentaneamente al report Inail, preso in analisi precedentemente. Gli incidenti denunciati in questo ambito lavorativo sono 24.029 con 98 morti, mentre nel 2020 erano stati 20.703. Si è parlato di operai troppo in avanti con l’età per arrampicarsi sui ponteggi, e infatti la maggioranza discuteva una manovra di riduzione da 36 a 30 anni di contribuzione per gli edili: il punto d’accordo è stato trovato a 32 anni.

In teoria questo serviva a coprire la zona d’ombra del boom dei cantieri scaturito con i bonus di cui ha beneficiato il mondo dell’edilizia: Gabriele Buia, presidente dell’Ance, l’associazione delle imprese edili, ha denunciato la situazione attuale dicendo che «basta andare in camera di commercio e iscriversi come costruttore edile, avendo null’altro che un ufficio e un telefono. Imprese nate dal nulla, non in grado di far fronte alle minime prescrizioni normative sulla sicurezza».

La possibilità di avere più lavori, quindi, non si traduce in un miglioramento delle condizioni di chi, manualmente, deve svolgere quel lavoro. Tutt’altro: per la solita logica, rimane sempre uno squilibrio oggettivo, che poi genera i dati che abbiamo analizzato precedentemente. Le morti sul lavoro ce lo ricordano ogni giorno. Quale sia la soluzione al problema sembra palese: in tanti invocano maggiori controlli, ma se addirittura 9 imprese su 10 risultano non a norma, evidentemente il problema è da ricercare ancor prima.

In un’epoca in cui qualcuno parla di lavoro automatizzato, di robotizzazione del lavoro e di progressiva scomparsa dell’uomo dal processo lavorativo, c’è ancora qualcuno che cade da un ponteggio senza tutele e muore. È lo stesso mondo quello di cui stiamo parlando?

Autore

Francesco, laureato in Lettere, attualmente studio scienze dell'informazione, della comunicazione e dell'editoria. Approfitto di questo spazio per parlare di politica e di dinamiche sociali. Qual è la cosa più difficile da fare quando si collabora con un magazine? Scrivere la bio.

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