Probabilmente il motivo per cui avreste potuto sentir parlare di una delle più importanti corrispondenti di guerra di tutti i tempi è legato a quella celeberrima dedica che apre quel mostro sacro della letteratura americana For Whom the Bells Tolls, Per chi suona la campana, di Ernest Hemingway. La dedica a lei, alla sua amante e poi moglie dal 1940 al 1945. E questo è un problema.
Martha Gellhorn è una delle prime corrispondenti di guerra donna. Ha avuto un’esistenza straordinaria, nel vero senso della parola: fuori dall’ordinario. La giornalista Lilli Gruber ha appena pubblicato, per Rizzoli, La guerra dentro. Martha Gellhorn e il dovere della verità e non è una semplice biografia. «In un momento in cui è più che mai importante difendere la verità e la buona informazione, ho deciso di scrivere non di lei, ma con lei: su un tempo segnato dalla tragedia della guerra e sul mestiere di raccontarla».
Il libro è un inno al faticoso mestiere del corrispondente di guerra, che non racconta solo i fatti ma vive la guerra dentro. L’invito è quello di entrare dentro la notizia, con il conseguente dovere di raccontarne la verità. L’invito è di conoscere la storia di Martha Gellhorn.
Viaggia in Europa da giovane, comprende fin da subito l’allarmante ascesa di Hitler e le conseguenze rovinose della sua presa del potere. Racconta la guerra in Spagna del 1937 ed è lì che si innamora di Hemingway ed è lui a darle il suggerimento che diventa il denominatore comune di ogni suo reportage: raccontare la guerra dal punto di vista dei deboli, portare la notizia sulla quotidiana sofferenza della gente normale. Nessuna attenzione alle strategie militari, agli interessi geopolitici, il suo unico focus diventa il racconto della vita e della morte delle persone. Nel ‘44 Hemingway, in un’intervista, avrà parole lusinghiere per il lavoro di quella che è ormai sua moglie. Ma quello è anche l’anno della prossima rottura. Tutto per quello sbarco in Normandia.
Martha Gellhorn, che si trova in Europa, comprende che lo sbarco sarà prossimo. Torna a Cuba per avvertire Hemingway, per convincerlo a ritornare “alle armi”, in prima linea. Torna a Cuba, per scoprire che suo marito è in viaggio verso l’Europa. Torna a Cuba, per scoprire che lui abbia l’esclusiva per il Collier’s, la rivista in cui scrive anche lei. Torna a Cuba, per rendersi perfettamente conto che l’articolo di Hemingway sarà in prima pagina sul Collier’s e di come il suo articolo si troverà, forse, solo qualche pagina più in là. Tornata a Londra, dopo un doppio viaggio transoceanico andato a vuoto, è più determinata che mai. Finge di essere interessata ad intervistare alcune infermiere presenti tra le navi ormeggiate ai docks: quella della croce rossa. L’unico dato sicuro di quella avventura è che, entrando con la scusa di trattare un argomento “molto femminile”, riesce in qualche modo a nascondersi e rimanere all’interno dell’imbarcazione, che sarebbe andata a soccorrere i feriti causati dallo sbarco. Non scenderà fino alle spiagge della Normandia.
Arrivano i feriti, partecipa anche lei a salvarli. Vive la notizia che scrive. Gellhorn parla con loro, annota tutto. Mentre scende la notte, grazie alla bassa marea, Martha arriva alla spiaggia assieme ai soccorritori. È giunta all’ospedale da campo. Ce l’ha fatta: unica donna corrispondente di guerra sulla spiaggia dello sbarco in Normandia. Hemingway non ci riuscirà, rimarrà nella sua imbarcazione. Lui in prima pagina, lei in quelle interne; lei che assiste i feriti, lui che dà consigli all’ufficiale americano, che non riuscirà comunque ad attraccare. Non finisce qui. Il servizio stampa americano l’accusa di aver infranto le regole che proibiscono alle inviate di andare sul campo di battaglia. Viene posta sotto sorveglianza in una caserma da cui riesce a fuggire. «Troppo spesso ho l’impressione che le corrispondenti di guerra siano considerate delle seccatrici».
È una vita segnata dal desiderio e la necessità di vivere un’esistenza fuori dal convenzionale. È una tra i primi giornalisti ad entrare a Dachau, è presente al processo di Norimberga, agli accordi di pace nel Palais de Luxembourg di Parigi. Racconta il Vietnam, visita 50 paesi diversi, con i suoi reportage si concentra sulle sofferenze dei singoli, rappresentative di quelle collettive. Le sue frasi brevi, ad effetto, la sua ricchezza e precisione lessicale segnano la mente del lettore. Ormai anziana, decide ancora di testimoniare l’invasione di Panama nel 1989. Nella sua vita ha deciso tutto lei: sulla sua libertà sessuale, sulle storie da raccontare e, infine, sulla sua morte. Londra, 14 febbraio 1998, Martha Gellhorn ingerisce del veleno ascoltando un audiolibro, ascoltando una storia, lei che oltre alla Guerra dentro aveva visto la storia dentro.
Lasciamoci con altre storie da scoprire. Le conoscete quelle di Nellie Bly, Edith Wharton, Peggy Hull, Mary Roberts Rinehart e Marguerite Higgins? Sapete veramente tutte le guerre che ha seguito Oriana Fallaci? E del lavoro fatto dalle giornaliste citate nel libro di Lilli Gruber, anche lei corrispondente, Clare Angela Rodicio ed Edina Neretljak? Maria Grazia Cutuli vi dice qualcosa? No? Riscopriamo le loro storie, per farle nostre per capire il nostro ruolo nella Storia.
In questo modo potremo veramente capire il motivo del nostro essere, come diceva Martha: «E puoi imparare lentamente e senza dolore, ad avere rispetto per la Storia, e per il tuo posto nella Storia».
Tutte le citazioni sono tratte da L. Gruber, La guerra dentro. Martha Gellhorn e il dovere della verità, Milano, Rizzoli, 2021.
Autore
Cresciuta nella campagna piemontese, a Rivalba, ( ti giuro, esiste! ), con la scusa di studiare lettere ho vissuto nella calorosa Roma e nella raffinata Parigi. Scrivo grandi storielle letterarie, ma scrivere il presente e il suo divenire, beh, quella sí che è una gran bella storia che vi vorrei raccontare.