Cosa ha da dirci il cinema marocchino?

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Siamo alla fine degli anni Sessanta, in un quartiere popolare e vivace di Casablanca, Hay El Mohammedi. È qui, tra vicoli polverosi, teatri improvvisati e piazze affollate, che nasce un gruppo destinato a cambiare per sempre la musica marocchina: i Nass El Ghiwane.

Laarbi Batma, Boujmaa Hagour, Allal Yaala, Omar Sayed e Moulay Abdelaziz Thiri sono molto più che semplici musicisti: sono narratori del loro tempo, poeti urbani, figli della strada e della tradizione. Provenienti dal mondo del teatro e profondamente legati alle radici popolari, uniscono le loro voci e i loro strumenti tradizionali per creare qualcosa di completamente nuovo, eppure antico come le storie raccontate dai nonni.

Tra gli anni Settanta e Ottanta, il popolo marocchino ha vissuto alcuni dei momenti più difficili della monarchia: il delicato periodo post-indipendenza, le tensioni interne, la repressione politica, profondi cambiamenti sociali ed economici. Il 1975 segna l’anno della Marcia Verde, ma è anche il tempo di una società in fermento, alla ricerca di voce, dignità e futuro. Ed è in questo contesto che i Nass El Ghiwane diventano la voce del popolo, coloro che hanno il coraggio di osare, di sfidare il potere e di lottare per la libertà.

In Marocco, come in molte altre realtà segnate da colonialismo, repressione e disuguaglianze, la musica non è mai stata solo intrattenimento. È stata, e continua ad essere, un atto di resistenza. Lo è stata per i Gnawa, discendenti degli schiavi subsahariani, che attraverso canti rituali e trance musicali hanno mantenuto viva la memoria della schiavitù e costruito uno spazio di liberazione spirituale e identitaria. Il ritmo ipnotico del guembri, i cori ripetitivi, i movimenti circolari non erano solo parte di un rituale, ma anche un modo per elaborare collettivamente il dolore e trasformarlo in forza. 

Allo stesso modo, nei decenni successivi, i Nass El Ghiwane hanno incarnato una nuova forma di resistenza, capace di parlare alle ferite del presente. La loro lotta non è solo contro le pressioni politiche del regime, ma anche contro le ferite del colonialismo e il rischio di smarrire la propria identità culturale in un Marocco che cambiava troppo in fretta. Il canto diventa uno strumento per restare fedeli alle proprie radici, per difendere la memoria del popolo, per dare voce a chi non ne aveva.

I loro testi, intrisi di poesia e metafore, affrontavano temi come l’ingiustizia sociale, la povertà, l’oppressione, raccontati con pochi strumenti tradizionali, come il bendir e il guembri, e lo facevano in darija, l’arabo marocchino parlato, rompendo con le convenzioni accademiche per parlare direttamente al cuore del popolo, di ogni generazione: dai giovani nelle scuole e nelle università, agli anziani seduti nei bar, alle donne riunite per ascoltarli nelle case. La loro grandezza stava proprio lì, in un linguaggio popolare e profondamente autentico, capace di parlare a tutte e tutti, con la stessa intensità.

Nel 1981, il regista marocchino Ahmed El Maanouni avvertì l’urgenza di raccontare la meraviglia di questo gruppo. Non solo la loro musica, ma tutto ciò che accadeva attorno ad essa. Con Transes, scelse di narrare il Marocco nel pieno della sua fase iniziale di indipendenza, filtrando la storia del paese attraverso il corpo e la voce dei Nass El Ghiwane. Il film diventa così una testimonianza viva, un punto d’incontro in cui cinema e musica si fondono per restituire lo spirito di un’epoca in fermento.

Transes non è solo un documentario, ma un’esperienza sensoriale e viscerale che travolge chi la guarda, riportandoci nelle strade di Casablanca di quegli anni. La macchina da presa si muove tra il pubblico, catturando volti in trance, cori che si alzano, corpi che seguono il ritmo, immagini che raccontano più di quanto potrebbe fare una semplice voce narrante.

El Maanouni restituisce la combinazione tra musica e denuncia sociale senza sovrapporre troppe spiegazioni, lasciando che siano le scene e i suoni a mostrare come ogni concerto diventi uno spazio di respiro che sfugge al controllo del potere.

Il film è un’immersione totale, ed è proprio in questa dimensione che si percepisce la grandiosità del gruppo, definito la voce di una generazione, capace di resistere e parlare anche alle generazioni successive.

Autori

Parlo tanto e quando capita scrivo pure. Laureata in comunicazione e media, master in produzione televisiva e cinematografica. Guardare film e serie tv è la cosa che mi riesce meglio, amo Kubrick e sono simpatica.

Imane Kamil

Imane Kamil

Autrice

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