In questi giorni l’Auditorium Parco della Musica è stato teatro dell’evento forse più atteso della 16edisima edizione della Festa del Cinema di Roma: l’incontro tra Quentin Tarantino ed il suo pubblico.
Quest’ultimo, moderato da Antonio Monda, ha ripercorso, attraverso una serie di clip tratte dai suoi film più importanti, la sua carriera, costellata da successi che sono diventati dei veri e propri cult mondiali.
Ad alternarsi alle clip c’è stata una serie di domande di Antonio Monda a cui Tarantino ha risposto con la sicurezza, l’ironia e l’intelligenza che lo contraddistinguono. Il pubblico, trasportato dalle sue parole e dalla sua risata contagiosa, ha potuto così scoprire molti aspetti della vita e dei Set del grande cineasta.
Sembra impossibile da credere ma anche il geniale Quentin Tarantino ha impiegato del tempo per capire che la sua strada sarebbe stata quella della regia, egli ha raccontato, infatti, che inizialmente pensava di voler fare l’attore. Alla domanda di Antonio Monda che chiedeva se fosse vero che in passato aveva “truccato” il suo curriculum, Tarantino, senza farsi tanti scrupoli ha risposto di sì, confermando di aver mentito scrivendo di aver partecipato come attore nel film “L’alba dei morti viventi” di Romero e nel “Re Lear” di Godard. Nel primo, ha spiegato che c’era una scena che vedeva protagonista un gruppo di motociclisti e tra loro ce n’era uno che gli somigliava moltissimo. Il secondo, a detta del regista, è talmente terribile che quasi nessuno l’ha visto e quindi gli sembrava perfetto per nascondere questa piccola bugia.
Quando hai deciso che saresti diventato regista?
«Ci è voluto un po’, anche perché ci ho messo otto anni a convincere gli altri. Io sono stato da sempre legatissimo al mondo del cinema, sin da quando ero ragazzino e mia mamma e il mio patrigno avevano capito che sarei diventato regista prima che lo capissi io. A me interessava il cinema, i miei eroi erano i registi e non gli attori. Anche quando volevo fare l’attore, avevo cominciato a studiare con altri che amavano il cinema meno di me, che ne sapevano meno di me. Loro erano concentrati su sé stessi, a me invece interessava il film e non mi bastava farne parte, io volevo che il film fosse mio».
Successivamente il regista è passato per la sceneggiatura e “inseguendo la propria musa” ha capito di non essere soltanto uno sceneggiatore, essendo in grado di catturare la propria scrittura e di metterla in vita tramite la regia.
Come scegli i tuoi attori? Quando scrivi le tue sceneggiature sai già chi sarà ad interpretare i tuoi personaggi?
“A volte può capitare, altre volte no, dipende dal rapporto che si crea tra me e il foglio di carta. Quello che succede dopo è un processo in evoluzione. Prendiamo come esempio il personaggio interpretato da Christoph Waltz in Bastardi senza gloria, era stato scritto come un personaggio geniale, che dovesse conoscere tantissime lingue, io scrivendolo ho pensato di non poter trovare un attore così geniale, poi si è palesato Christoph Waltz e sarebbe stato un peccato limitarsi. In Django il dottor King Schultz è stato scritto proprio su di lui e anche il personaggio di Samuel L. Jackson, con cui avevo già lavorato su Pulp Fiction, per cui conoscevo il suo modo di parlare, il tono e il ritmo della sua voce. C’è sempre bisogno di trovare un giusto equilibrio, perché quando già si sa quale sarà l’attore si tende a pensare alle sue qualità e alle sue capacità, rischiando di censurarsi e di non farsi trascinare dall’impeto creativo”.
Tutti i tuoi film sono esattamente come te li eri immaginati?
“Proprio grazie alle qualità attoriali, talvolta si prendono delle strade diverse rispetto a quelle immaginate. In Kill Bill, inizialmente, Kill non doveva essere interpretato da David Carradine, per il quale sono stati fatti degli aggiustamenti della sceneggiatura originale. Proprio qualche giorno fa ho ripreso in mano la sceneggiatura del film e mi sono reso conto di quanto fosse diverso il personaggio scritto inizialmente, rispetto a quello che vediamo nel film”.
Dopo una clip tratta dal film Django, in particolare la scena in cui il personaggio interpretato da Christoph Waltz spara al personaggio interpretato da Leonardo di Caprio, il regista ha regalato al suo pubblico due curiosità del set: “Nella scena dello sparo, Leo è andato vicinissimo al mobile e ogni volta che rivedo la scena, lo spazio tra la sua testa e il mobile mi sembra sempre minore”.
Se in quella scena è riuscito a salvarsi, Leonardo di Caprio è stato protagonista di un altro incidente sul Set: “Un bicchiere si è frantumato in mille pezzi, tutti noi della troupe aspettavamo una sua reazione, un suo urlo di dolore, invece lui per due minuti è rimasto nel personaggio, utilizzando il suo stesso sangue per la scena e facendosi soccorrere soltanto dopo lo stop”.
Durante l’incontro, ancora una volta il regista ha dimostrato la sua stima verso i grandi registi italiani, in particolare verso Sergio Leone, raccontando che tutta la sua troupe sa che quando lui parla di un piano alla Sergio, intende un primissimo piano sugli occhi dei personaggi e ha svelato che il suo film preferito in assoluto è Il buono, il brutto, il cattivo.
In The Hateful Eigh Ennio Morricone ha vinto l’Oscar grazie a te e proprio alla fine della sua carriera, ci racconti la tua collaborazione con lui?
“Era un sogno che si è realizzato, in quanto lui era il mio compositore preferito in assoluto. Mi resi conto che per The Hateful Eigh mi serviva una colonna sonora originale e così mandai la sceneggiatura tradotta in italiano ad Ennio Morricone, dovevo recarmi in Italia per i David di Donatello e andai un giorno prima proprio per incontrare Ennio, a casa sua, c’era anche sua moglie Maria. Lui mi chiese quando iniziavano le riprese del film e io gli dissi che era già in postproduzione e che quindi le musiche mi sarebbero servite subito. Lui mi disse che non aveva tempo di comporre un’intera colonna sonora, perché stava lavorando e io ci rimasi molto male. Poi mi disse che aveva un tema in mente, che poteva essere variato e arrivare ad una decina di minuti. Poi disse 20/25, poi 40, insomma così è andata. Lavorare con lui è stato incredibile, lui era un gigante”.
Hai mai pensato di girare un film in Italia? Magari a Cinecittà?
“Mi piacerebbe da morire e anche a mia moglie piacerebbe, si tratta solo di trovare una storia giusta, girare a Cinecittà sarebbe incredibile, ho un’idea in mente, diversa rispetto al mio solito, non voglio dire troppo, ma non sarà per forza il mio prossimo film”.
Anche in mattinata, durante la conferenza stampa, il regista non si era sbilanciato molto nel parlare dei suoi progetti futuri, dicendo che non esclude un Nuovo Pulp Fiction, ma che adesso è concentrato sulla paternità, che è arrivata in un punto giusto della sua carriera, eppure anche il solo proposito di girare nel futuro un film in Italia ha mandato il pubblico in visibilio.
L’incontro si è concluso con la proiezione di tre videomessaggi molto toccanti da parte di Samuel L. Jackson, John Travolta e Christoph Waltz, i quali con affetto, gratitudine e stima si sono complimentati con il regista per il riconoscimento che stava per ricevere, proprio nella tanto amata Italia, di cui ha studiato tutti i registi nei minimi particolari.
Struggente è stato il breve messaggio del commosso John Travolta: “Hai cambiato il mondo del cinema e la mia vita”.
La consegna del Premio alla Carriera è avvenuta per mano di un emozionatissimo Dario Argento, il quale salito sul palco ha dichiarato di essere onorato di consegnare un premio a colui che ha cambiato la storia del cinema mondiale e ha concluso con un impacciato “Evviva Quentin Tarantino”.
Autore
Aurora, classe 1997, laureata in Letteratura musica e spettacolo, attualmente studio Scritture e produzioni dello spettacolo e dei media. Sono un'appassionata di cinema e odio le presentazioni formali.