Il sequestro della nave Madleen è servito a peggiorare il massacro a Gaza

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La Freedom Flotilla Coalition è una missione umanitaria pacifica che unisce organizzazioni da tutto il mondo con l’obiettivo di rompere l’assedio di Israele su Gaza, che dura ormai da 18 anni. Lo fa evidenziando il genocidio, l’oppressione e la repressione di Israele, e dei suoi alleati complici, verso il popolo Palestinese.

Dal 2008 ha inviato più di 30 navi con aiuti umanitari verso Gaza, portando solidarietà internazionale al popolo palestinese, appellandosi all’umanità che viene sempre distrutta di giorno in giorno. Sulla prima nave, partita nel 2008, e l’unica ad essere mai effettivamente arrivata a Gaza, c’era anche l’italiano Vittorio Arrigoni.

Vittorio Arrigoni, attivista e giornalista italiano, è stato ucciso a Gaza nel 2011

Nonostante la missione abbia sempre operato nella piena legalità del diritto internazionale, Israele ha sempre intercettato, attaccato o sabotato la missione in modi diversi, nel silenzio della maggior parte dei paesi da cui provenivano i volontari: la missione della Madleen ne è stata un’ulteriore conferma.

La nave Madleen, è stata intercettata, speronata e abbordata il 9 giugno 2025 in acque internazionali, a oltre 100 miglia nautiche dalla costa di Gaza, dopo aver subito intimidazioni continue con droni di diversa provenienza nelle notti precedenti e un attacco con una sostanza liquida bianca nelle ore precedenti all’effettivo attacco. L’operazione è stata condotta dall’unità d’élite navale Shayetet 13, che ha sequestrato la nave senza alcuna autorizzazione da parte delle Nazioni Unite. Gli attivisti – tra cui Greta Thunberg, la parlamentare europea Rima Hassan e giornalisti di Al Jazeera e Blast Media – sono stati poi forzatamente portati in territorio occupato israeliano, detenuti illegalmente con l’accusa di ingresso illegale in Israele, privati delle comunicazioni e sottoposti a trattamenti degradanti.

Quattro degli attivisti a bordo della Madleen sono stati rilasciati e deportati nelle ore successive al rapimento e ingresso forzato da Israele nel suo stesso territorio. I rimanenti 8 sono stati portati e detenuti nel carcere di Ramleh. In seguito a questa detenzione, Thiago Avila e Rima Hassan sono stati trasferiti in carcere di isolamento nelle prigioni di Ayalon e Givon rispettivamente.

Tutti gli attivisti hanno lamentato trattamenti disumani, mancanza di acqua potabile dai rubinetti e infestazione da pulci da letto durante la detenzione.

Le immagini del fermo illegale della nave Madleen e del suo equipaggio, il 9 giugno scorso

Il 12 giugno Thiago, Rima e altri due attivisti sono stati deportati, mentre al 15 giugno Marco van Rennes, Yanis Mhamdi e Pascal Maurieras rimangono ancora in detenzione in seguito alla cancellazione dei loro voli di deportazione a causa dell’attacco israeliano in Iran. I tre rischiano una detenzione prolungata, rimanendo vittime intrappolate in un’escalation iniziata da Israele nella regione.

In quest’ottica è bene però ricordare che il trattamento che gli attivisti hanno subito è comunque un trattamento privilegiato, rispetto al trattamento che ricevono i più di 10.000 palestinesi attualmente detenuti. Tutto questo va purtroppo ricondotto alla tipologia di passaporto e colore della pelle che hanno grande importanza nella logica sionista dello Stato di Israele, che nonostante tutto non risparmia di trattamenti disumani nessuno.

L’intercettazione della Madleen rappresenta una violazione palese del diritto internazionale marittimo, umanitario e della sovranità britannica, poiché l’imbarcazione batteva bandiera britannica. L’azione costituisce un atto di pirateria militare, che include arresti arbitrari, detenzione in isolamento e uso illegale della forza contro civili. 

Particolarmente interessante in questo contesto, è analizzare la risposta, o meglio la sua assenza, dell’Unione Europea, delle nazioni complici di Israele nel genocidio che sta portando avanti e da cui provengono la maggior parte dei volontari che hanno preso parte nella missione. Sia nel caso del bombardamento della nave Conscience al di fuori delle acque territoriali di Malta, che nel caso dell’abbordaggio della Madleen stiamo infatti parlando di attacchi avvenuti a cittadini di queste nazioni e in territori che vi fanno parte, mettendo in luce chiaramente la complicità e la vile incongruenza dei nostri governi da un’altra prospettiva. L’organizzazione chiede l’apertura di un’inchiesta penale, l’emissione di mandati di arresto e la cooperazione con Interpol e Corte Penale Internazionale. 

Mentre la Madleen era in navigazione e nei giorni immediatamente successivi al suo attacco, altre due missioni umanitarie e auto-organizzate dalla società civile composta da migliaia di volontari da tutto il mondo, tra cui centinaia di italiani, sono iniziate.

Un bambino partecipa alla Global March to Gaza con la Tunisia, fotografato il 9 giugno (Jihed Abidellaoui/Reuters)

Il Sumud Convoy partito dalla Tunisia il 9 giugno e la Global March to Gaza con ritrovo iniziale il 12 giugno al Cairo, Egitto. Entrambe le missioni hanno come obiettivo quello di portare aiuti umanitari via terra usando la non-violenza come principio base attraverso il confine di Rafah. A loro va garantito un passaggio libero e sicuro.

Mentre colpiva la Madleen, Israele ne approfittava per fare più esecuzioni possibili a Gaza

Mentre Israele metteva in scena questo blitz contro la missione umanitaria della Freedom Flotilla, sul terreno, a Gaza, si compiva un massacro sistematico. Solo il 10 giugno, 36 palestinesi sono stati uccisi e oltre 200 feriti in attacchi delle forze israeliane nei pressi dei siti della GHF, sponsorizzata dagli Stati Uniti e operante sotto il diretto controllo militare israeliano. Un video circolato online mostra l’artiglieria israeliana bombardare un gruppo di palestinesi mentre cercavano disperatamente di raggiungere gli aiuti presso il Corridoio di Netzarim. Le vittime sono state trasportate agli ospedali al-Awda e al-Quds, già al collasso.

Nelle 72 ore precedenti l’assalto alla Madleen, Israele aveva già massacrato oltre 140 palestinesi in circostanze simili. L’8 giugno, nel sito GHF di Netzarim, la distribuzione era stata annunciata alle 5:00 del mattino, nonostante l’area fosse stata dichiarata zona militare chiusa fino alle 8:00. Quando i palestinesi affamati sono arrivati, si sono ritrovati vittime di un’imboscata: contractor statunitensi hanno usato spray al peperoncino e le truppe israeliane hanno aperto il fuoco, uccidendo un uomo e ferendone 15.

(EYAD BABA/AFP)

Contemporaneamente, a Tal al-Sultan (sempre a Rafah), un altro sito GHF è stato bersaglio di un attacco letale. Palestinesi in attesa di cibo sono stati colpiti da cecchini, carri armati e artiglieria israeliana, causando la morte di quattro persone. La GHF ha annunciato l’orario di apertura solo dopo la sparatoria, lasciando chiaramente intendere che l’organizzazione funge da esca piuttosto che da canale umanitario. Lo stesso 7 giugno, altri 8 palestinesi sono stati uccisi mentre attendevano aiuti ad al-Akhawah.

Dal 27 maggio, data di avvio del programma di aiuti israeliano-statunitense, 338 palestinesi uccisi e oltre 1000 feriti nei pressi dei siti della GHF. Altre decine risultano ancora dispersi. Queste cifre sono il risultato diretto di una trappola costruita per controllare, affamare e uccidere, mascherata da programma umanitario.

Il governo di Gaza ha definito la GHF “uno strumento di propaganda e repressione al servizio dell’occupazione israeliana”, operante con “soldi americani, ufficiali israeliani e contractor stranieri”. Le organizzazioni umanitarie – come le agenzie ONU – hanno rifiutato qualsiasi collaborazione. La BBC ha parlato di “scene di caos totale”: civili colpiti o calpestati mentre cercavano di ottenere un pasto. La situazione è stata definita da molti “una trappola umanitaria costruita per sfollare, controllare e uccidere”.

Al 10 giugno, il bilancio totale della campagna genocidaria israeliana è salito a 4.701 morti e 14.879 feriti dal 18 marzo. Solo nel mese di giugno sono stati uccisi 555 palestinesi, con picchi 95 morti in un solo giorno. 

A rendere la situazione ancora più drammatica, lo stesso giorno dell’attacco alla Madleen, Israele ha emesso nuovi ordini di sfollamento forzato, intimando a tutti i palestinesi ancora presenti nel nord di Gaza di evacuare verso sud: un’area già devastata da sovraffollamento, bombardamenti e fame.

La complicità al genocidio italiana continua

(Palazzo Chigi)

Mentre gli attivisti della Freedom Flotilla venivano arrestati l’8 giugno, con la mancata discussione pubblica, il governo italiano ha rinnovato tacitamente il Memorandum d’intesa con Israele sulla cooperazione militare, la dimostrazione di una rinnovata, lunga e sporca tradizione di complicità, L’Italia ha scelto di abbracciare, ancora una volta, un regime che commette un genocidio in diretta. Il governo italiano ha rinnovato il patto che sa di morte e oppressione. La complicità del governo italiano è una partecipazione attiva. 

Ogni incontro, ogni dichiarazione ed ogni mossa sono una servile sottomissione al regime sionista. Antonio Tajani, ministro degli esteri, che non solo ha difeso la politica sionista in ogni occasione, ha anche avuto il coraggio, qualche giorno fa, di criticare il lavoro della Freedom Flotilla, con una dichiarazione su Radio 1.

Tajani ha definito la missione umanitaria diretta a Gaza “un’operazione politica”, aggiungendo che “le provocazioni non servono a niente”. Schierando l’Italia dalla parte di chi ha bloccato l’accesso umanitario ad una popolazione stremata dalla fame. Il governo italiano continua a stare dalla parte dell’oppressore, a fare parte di un sistema che calpesta il diritto internazionale, a legittimare il genocidio, rafforzando la cooperazione con l’apparato coloniale.

Il governo non si è mai chiaramente espresso nei confronti della Freedom Flotilla ne nei confronti della March to Gaza, se non attaccandole o negando supporto, nonostante cittadini italiani siano stati coinvolti in tutte e due le missioni e stessero/stiano rischiando la loro vita. Questo non per descrivere gli attacchi di Israele come più gravi, ma per mettere luce sull’incongruenza e complicità del governo che si piega al sionismo anche quando si tratta di propri cittadini.

Come altri paesi europei, l’Italia accoglie bambini palestinesi nei propri ospedali per curarli dalle bombe che vende. Bambini che non si sono potuti curare in Palestina per colpa delle armi inviate in Israele. Lo stesso vale per le borse di studio date a studenti palestinesi che non possono più studiare in Palestina perché le loro università sono state bombardate dalle nostre stesse bombe. L’ipocrisia è arrivata a livelli che non possono essere sostenuti nemmeno dalle retoriche più fasciste e razziste.

Autori

Studiosa e appassionata di politiche e società del Medio Oriente, con un focus sugli studi arabi. Sono una persona introspettiva, riflessiva, altamente sensibile e pragmatica. Amo gli animali, la natura e la luna.

Andrada Juica

Andrada Juica

Autrice

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