La firma dell’accordo USA-Ucraina sulle terre rare

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Sono serviti dei mesi per ricucire lo strappo politico consumatosi alla Casa Bianca ma alla fine è arrivato l’agognato annuncio della firma dell’accordo sulle terre rare tra Stati Uniti e Ucraina.

Dopo la firma del memorandum d’intesa tra le delegazioni di Washington D.C. e Kiev avvenuta in videoconferenza lo scorso 18 aprile, nelle ultime settimane l’annuncio del presidente statunitense Donald Trump attraverso la sua piattaforma social Truth aveva spianato la strada a una firma imminente dell’accordo (o quantomeno entro la fine del mese). Alla fine – anche se in leggero ritardo rispetto alle previsioni e con un ultimo momento di crisi disinnescato nella negoziazione – i documenti sono stati firmati mercoledì scorso nella capitale statunitense e dovranno ora essere sottoposti alla ratifica del Parlamento ucraino prevista per la prossima settimana (8 maggio).

A certificare l’accordo, che mette nero su bianco la costituzione di un “Fondo di Investimento per la Ricostruzione USA-Ucraina” gestito al 50% dai due paesi con eguali diritti di voto, sono stati nuovamente il Segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent e la Ministra dell’Economia ucraina Yulia Svyrydenko.


Come si è arrivati all’accordo del 30 aprile

L’accordo firmato tra Stati Uniti e Ucraina, frutto di intensi negoziati condotti a partire dal rientro di Donald Trump alla Casa Bianca, si presenta in una versione diversa rispetto al testo che lo scorso febbraio veniva presentato come vicino alla firma e in seguito naufragato dopo la sfuriata trasmessa in mondovisione tra il tycoon (assieme al suo vice, JD Vance) e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky: sembrerebbe infatti che entrambe le parti abbiano lasciato alle spalle alcuni punti considerati “essenziali” per i loro interessi (le “garanzie di sicurezza” e la restituzione dei debiti contratti da Kiev da una parte, il controllo esclusivo delle risorse ucraine e il maxi-risarcimento richiesto da Washington dall’altra) per raggiungere una soluzione condivisa, anche se al momento il condizionale rimane d’obbligo in questa analisi.

L’incontro dello scorso 28 febbraio tra il Presidente Donald Trump e il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky presso la West Wing della Casa Bianca (fotografia di Daniel Torok).
Fonte immagine: The White House / Wikimedia Commons (opera di dominio pubblico)

Determinanti per il raggiungimento della stipula dell’accordo sono stati il lavoro sotterraneo portato avanti dai canali diplomatici dei due Paesi e, molto probabilmente, il clima maggiormente disteso tra i due leader, come certificato anche dai colloqui informali che Trump ha avuto con Zelensky (in fondo, NdA) all’interno della Basilica di San Pietro in occasione dei funerali di Papa Francesco.


“La ricostruzione passa dalle risorse” – A chi giova maggiormente questa intesa?

In questo modo, dopo le lunghe trattative di questi mesi, gli Stati Uniti ottengono una corsia preferenziale sull’utilizzo e sullo sfruttamento delle risorse naturali ucraine, che però riguarderebbero soltanto la futura stipula di c.d. “contratti take or paye – pertanto – non avrebbe validità retroattiva.

“A riguardo, si fa riferimento ai depositi di grafite, litio, titanio e uranio, oltre ai giacimenti di petrolio e di gas – naturale e liquefatto – e alle terre rare, quest’ultimi quantificati per un valore stimato di circa un trilione di dollari” (da “Le terre rare ucraine nell’accordo di domani con gli USA”, in “Generazione Magazine”, 27/02/2025)

I futuri proventi andrebbero a contribuire al “risarcimento” degli sforzi economici messi in campo dalle amministrazioni statunitensi (Joe Biden in primo luogo) nei confronti di Kiev per un valore stimato attorno ai centosettantacinque miliardi di dollari.

Al contempo però l’Ucraina – rispetto a quanto inizialmente fissato a febbraio – ottiene il richiamo a un “allineamento strategico a lungo termine” da parte statunitense che si avvicina molto alle “garanzie di sicurezza” a lungo richieste da Zelensky agli inquilini della Casa Bianca.
In aggiunta, nel documento vengono espresse posizioni che mostrano un differente approccio dialettico adottato nei confronti della Russia rispetto alle relazioni finora riallacciate dal tycoon newyorkese con Vladimir Putin: oltre al richiamo alle responsabilità russe per il conflitto in corso, il documento stesso vuole essere – stando alle dichiarazioni rilasciate dal Segretario al Tesoro Bessent alla firma degli accordi – “un chiaro messaggio per la Russia con cui l’amministrazione Trump vuole sostenere un processo di pace incentrato su un’Ucraina libera, sovrana e prospera nel lungo periodo“.

Così, mentre gli Stati Uniti di Trump stanno provvedendo allo sblocco di un pacchetto di aiuti militari del valore di cinquanta milioni di dollari per Kiev, la domanda rimane: chi esce maggiormente rafforzato da questo accordo?
Al netto di uno scenario che “dovrebbe” soddisfare entrambe le parti, infatti, non si può non osservare con curiosità come sia stato netto il cambio di vedute (e di registro) per il presidente ucraino Zelensky, il quale soltanto due mesi fa – in una conferenza stampa tenuta a Kiev prima del violento scontro politico con Trump alla Casa Bianca – dichiarava di “non poter svendere l’Ucraina” e oggi commenta la firma dell’intesa con gli Stati Uniti definendola “un accordo davvero equo”.
Le perplessità rimangono numerose.

Uno scatto dell’incontro tra il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky nella Basilica di San Pietro (Roma) in occasione dei funerali di Papa Francesco dello scorso 26 aprile.
Fonte immagine: @WhiteHouse/X (opera di dominio pubblico)

Fonte immagine di copertina: Andrew J. Kurbiko/Wikimedia Commons (opera di dominio pubblico)

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