Siamo nella Firenze trecentesca e c’è solo un capitano: Francesco Petrarca. È proprio in questi anni che viene portato a compimento il Canzoniere, una raccolta di 366 liriche che coprono cronologicamente il periodo di un anno, un anno da quel «benedetto sia l’giorno, e l’mese,e l’anno»in cui nella chiesa di Avignone, un atroce venerdì, il poeta incrociò lo sguardo di Laura. Questa dolce fanciulla viene dipinta con tratti tipici dello Stilnovo: il suo nome ad esempio rievoca per paronomasia l’auro -oro- , l’aura -brezza leggera-, il lauro -non Achille, ma l’alloro- e il mito della bella ninfa Dafne che fugge da Apollo. Fino a qui tutto bene. Possiamo pensare, dunque, che si tratti di una serie di componimenti in lode dell’amata, un tenero susseguirsi di quadretti romantici, un inno alla figura che tanto gli ha rubato il cuore. E invece no. È un Canzoniere che ha al centro l’animo del poeta, distrutto, altalenante, svuotato, innamorato, smarrito. Nell’ombra di Laura c’è sempre il buio di un Petrarca che ci insegna quanto soffrire per amore può aiutare a scavare in noi stessi e che le apparenti poesie per la Donna amata siano in realtà qualcosa di più profondo e lacerato, che non è in Lei, ma in noi.
La lingua batte dove Laura duole
Nel Canzoniere l’amore non viene descritto come sentimento sublime, emozione idealizzata, ma come vortice violento, passione sensuale che distrugge e schiavizza. Un amore lamentoso e per nulla positivo, che rende il nostro poeta solo et pensoso nei più deserti pianti. E Laura diviene protagonista di questa agonia, responsabile di un sentimento che come un boomerang viene lanciato verso di lei e irrimediabilmente torna indietro: Pace non trovo, et non ò da far guerra (CXXXIV).
Come può un’emozione apparentemente felice suscitare tanto tormento? Come si può perdere la pace? Sono questi gli effetti di un amore non ricambiato, il prodotto di una sensibilità tanto affinata da arrivare a odiare e ad amare, senza idealizzare alcuna emozione. E Petrarca sa cogliere tutto questo ed esprimerlo con potenti versi, prima ancora che Gazzelle ce lo dicesse una volta, mi ricordavi il mare, perché le chiare fresche et dolci acque ci erano già arrivate. E ora sono inquinate.
Laura non è la Beatrice di Dante, non è creatura pura e lontana, è paura carnale, timore di soffrire. Non è incapace di peccato, non è salvifica, non è angelo intangibile. Laura invecchia, rifiuta, soffre e fa soffrire. Si arriva all’ossimoro per eccellenza: Odi et amo. Pace non trovo. E non c’è nemmeno la voglia di far guerra. Ed è proprio nella sofferenza che la sensibilità si affina, non riuscendo però ad uscirne, consapevole di entrare in un circolo di schiavitù: e so ben che io vo dietro a quel che m’arde (XIX).
È necessario perciò capire come tutte queste poesie abbiano come centro Petrarca stesso, sommo poeta di se stesso, che trova nella scrittura una valvola di sfogo e una via di rivalsa: «Far potess’io vendetta di colei, che guardando et parlando mi distrugge..» (CCLVI). La scrittura salva, scava, fa ritrovare se stesso nel momento in cui, nel dolore più estremo, si avverte solo un grande senso di vuoto.
Non è tutta Laura quel che luccica
E quando Laura perde la vita, arriva per Petrarca il momento di reinventarla – e nell’ansia che ti perdo, ti scriverò un sonetto, e ti scorderai di me.. – : donna amorevole come tanto desiderava, capace di ricambiare il suo amore, di renderlo un uomo migliore. Forse solo in un altro tempo si sarebbero potuti amare davvero, o forse l’amore, per quanto umanamente viene presentato, non è nulla di distruttivo. E il Canzoniere, per quanto scritto più di seicento anni fa, parla a chiunque di sofferenza, timori, angosce e tormenti, e svela l’illusione di un sentimento puro che solo nella dimensione del sogno può essere vissuto per davvero.
perché tacque, et allargò la mano? (..) poco mancò ch’io non rimasi in cielo.
Petrarca, CCCII
Questo filo conduttore si prolunga fino alla canzone che chiude l’intera opera, Vergine bella che di sol vestita, nella quale l’autore invoca la Madonna chiedendo di liberarlo dall’amore terreno che sente per Laura. Ed è proprio lei, portatrice di Amori e Dolori, ad essere paragonata a Medusa: «Medusa et l’error mio m’àn fatto un sasso».
Medusa è, secondo il mito, una giovane trasformata in una delle tre Gorgoni, col potere di tramutare in pietra chiunque la guardasse. Perché questo paragone con Laura? Perché la donna riesce a rendere il poeta un sasso incapace di provare qualsiasi altro affetto, insensibile a nuove emozioni. E non c’è nulla di paradisiaco in questa descrizione, che non culla e non custodisce il sentimento del poeta ma lo pietrifica e lo rende immobile. Ma l’amore, invece, ti solleva in alto e più che trasformare in pietra fa diventare Perseo, con la testa di Medusa in mano.
Ricordiamo dunque che il Canzoniere è prima di tutto la storia di un amore umano: vero, sentito e vissuto fino alla sua fine, e che il protagonista non è altro che un uomo che è ghiaccio / e giaccio in terra, ed è a terra che si tiene saldo, senza aver la testa fra le nuvole. Petrarca ha il merito di aver riflettuto sulla condizione dell’animo umano prima ancora di trasportare tutto il suo sentimento nella lode dell’amata, perché non si può vivere una bomba di emozioni senza inevitabilmente saltare in aria.
E forse, in amore, siamo tutti kamikaze
Autore
Roma, lettere moderne, capricorno ascendente tragedia. Adoro la poesia, tifo per l’inutilità del Bello, sogno una vita vista banchi di scuola (dal lato della cattedra, preferibilmente). Non ho mezze misure, noto i minimi dettagli, mi commuovo facilmente e non so dimenticare. Ma ho anche dei difetti.