Rita Atria, l’ultima vittima della strage di via d’Amelio

C’è una settima vittima della famosa strage di Via D’Amelio ed è la “picciridda”

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Zio Paolo. Veniva chiamato così il magistrato Paolo Borsellino da Rita Atria, la più giovane testimone di giustizia della storia, e da sua cognata Piera Aiello.

Il 19 luglio 1992, qualche minuto prima delle 17, in una fino ad allora anonima via di Palermo, esplode una Fiat 126, imbottita di 90 kili di tritolo. L’obiettivo dell’autobomba è il giudice Paolo Borsellino, insieme agli agenti della sua scorta. In quel momento, nessuno poteva pensare che le vittime di quella strage non fossero ancora finite. Ce ne sarà ancora un’altra. È una ragazza, «una picciridda». Non è in Sicilia, si trova lontano, ha cambiato città e regione. È quella ragazza che aveva guardato, in silenzio, il telegiornale del 20 luglio del 1992, quando il magistrato Caponnetto, che era stato per anni la guida del pool dell’antimafia, dopo aver visto un altro dei suoi uomini morire ammazzato, ( il primo era stato Giovanni Falcone il 23 maggio di quello stesso anno), continuava a ripetere al microfono del TG1: «Ora è tutto finito».

È quella la ragazza che nella sua nuova camera da letto aveva scritto, in quei giorni, a matita: «Il mio cuore senza di te non vive.» Camera in cui si era appena trasferita, qualche giorno dopo l’attentato del 19 luglio. Ed è la stessa camera da cui si è lanciata il 26 luglio del 1992, su via Amelia, una traversa della Tuscolana, a Roma. Lei era Rita Atria, la più giovane testimone di giustizia, colei che chiamava Borsellino “Zio” e le lasciava dediche a matita dietro la testata del suo letto.

Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo stato mafioso vincerà. Borsellino sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta.

Dal diario di Rita Atria

Rita Atria attraverso gli occhi di Piera Aiello

Per conoscere oggi la storia di Rita Atria, bisogna necessariamente passare per la storia della sua amica Piera Aiello. Lei ci tiene a ribadirlo: nonostante fossero cognate, si preferivano riconoscere come amiche.

Piera Aiello viveva a Partanna, nella provincia di Trapani, provincia e feudo prima di Francesco Messina Denaro, e poi dell’ancora oggi latitante Matteo Messina Denaro. Per volere del padre, Vito Atria, conosciuto dalla malavita di Partanna come il “Paciere”, colui che nella mafia di pascolo degli anni ’80 faceva restituire le pecore rubate facendo pagare il pizzo, si decide che suo figlio, Nicola Atria, dovrà sposare Piera Aiello, una giovanissima di Partanna. Piera, dopo aver frequentato Nicola, fratello maggiore di Annamaria e di Rita, capisce di non potersi sottrarre al destino scelto per lei, per non far ricadere conseguenze rovinose sulla sua famiglia. Nonostante il disprezzo per quell’ambiente, Piera Aiello diventa moglie di Nicola Atria, e quindi cognata e amica di Rita. Nell’arco della sua vita, dopo l’omicidio di suo suocero durante il viaggio di nozze, con la droga che iniziava a girare per casa, con le botte prese da suo marito per la sua ribellione e avversità, presenzia anche alla morte dello stesso Nicola Atria: sotto i suoi occhi, nel locale che gestivano insieme. Viene assassinato dagli stessi aguzzini di suo padre, dopo che Nicola aveva provato a vendicare la sua morte, invano.

Allora, la vedova Piera Aiello diventa testimone di giustizia, rivelando il contenuto dei dieci diari che aveva scritto nel corso della sua vita, dove aveva annotato informazioni preziose che solo lei, come insider, avrebbe potuto svelare. Il comandante della stazione carabinieri di Montevago comprende l’importanza della sua posizione e la manda da Paolo Borsellino.

Rita Atria

Ed è ora che entra in scena Rita Atria: figlia di un padre ammazzato, Vito Atria; sorella di un uomo assassinato, Nicola Atria; e amica di una tenace e rivoluzionaria testimone di giustizia, Piera Aiello. Il 5 ottobre 1991, la giovane diciassettenne non prende la strada per andare a scuola. Decide di recarsi alla procura di Sciacca e denuncia tutto. Rita Atria è cresciuta tra le dinamiche della vita mafiosa, ne conosce il linguaggio, la grammatica, le brutture e i segreti più inverosimili. Le sue lunghe testimonianze e racconti che rilascia a Paolo Borsellino, che la prega di chiamarlo “Zio”, hanno un valore importante per la lotta alla mafia siciliana. Piera Aiello e Rita Atria ora hanno bisogno di protezione. Vengono trasferite a Roma, dove vivranno insieme per un primo momento.

L’anno della morte, il 1992

Poi arriva il 19 luglio del 1992, Piera Aiello e la giovane Rita Atria apprendono della notizia, come gran parte del popolo italiano, dalla televisione. Paolo Borsellino muore la domenica. E il martedì viene assegnato a Rita un appartamento, in una via che ha un nome particolare. Se infatti Paolo Borsellino muore in via D’Amelio; è in via Amelia che il 26 luglio 1992, lanciandosi dal sesto piano del suo nuovissimo appartamento, perde la vita Rita Atria. Non sono ancora risolti tutti i dubbi riguardo alla sua morte, e proprio per questo, lo scorso mese, L’Associazione Antimafie Rita Atria e la sorella Anna Maria Atria, tramite l’avvocato Goffredo D’Antona del foro di Catania, hanno inoltrato, alla Procura della Repubblica di Roma, istanza per la riapertura delle indagini.

Piera Aiello nell’intervista a Roberto Saviano, nel programma Insider, andato in onda questo febbraio, ricorda come Rita continuasse a ripetere, dopo la morte di zio Paolo: «Come mai le mie stelle ad un certo punto si spengono?» Non riusciva a trovare una risposta.

Molto umilmente, come chiusa di questo articolo sarebbe bello provare a costruirla, quella risposta. Cara Rita, se ancora oggi si parla di te, della tua vita, del tuo coraggio e della tua solitudine nel coraggio (come direbbe Saviano, «solo è il coraggio») è perché alcune stelle non si spengono mai, anzi brillano sempre di più. E ci sembra, cara Rita, di vederne due vicine: una è “picciridda” e l’altra è più grande, sembra volerla proteggere, come uno zio, zio Paolo. E queste due stelle sono per sempre.

Autore

Cresciuta nella campagna piemontese, a Rivalba, ( ti giuro, esiste! ), con la scusa di studiare lettere ho vissuto nella calorosa Roma e nella raffinata Parigi. Scrivo grandi storielle letterarie, ma scrivere il presente e il suo divenire, beh, quella sí che è una gran bella storia che vi vorrei raccontare.

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