A voler usare l’approccio di Robert Dahl (il teorico delle “ondate di democratizzazione”), di certo non diremmo di trovarci in un momento positivo per la democrazia a livello globale. Queste “ondate” indicano periodi relativamente brevi in cui il numero di paesi che ha positivamente completato un processo di transizione democratica supera quello dei paesi che hanno compiuto il percorso inverso.
Ecco, ad oggi siamo nel riflusso di quest’onda, e lo evidenzia bene l’Economist Democracy Index.
L’Economist Intelligence Unit ha appena reso noto il report annuale riguardante lo stato della democrazia a livello globale relativo all’anno 2024. Il titolo del rapporto è già indicativo: “What’s wrong with representative democracy?”.
Una domanda in apparente controsenso con l’enorme numero di cittadini recatisi alle urne nell’anno appena trascorso (più della metà della popolazione mondiale), ma che si colloca perfettamente in linea con una percezione, più profonda, di un momento di fragilità per la democrazia.
Si sa: quantità non vuol dire necessariamente qualità. E infatti non tutte queste elezioni soddisfano gli standard per essere definite democratiche. Anche per questo, delle cinque aree della vita politica di un paese monitorate dal rapporto (libertà civili, processo elettorale e pluralismo, funzionamento del governo, cultura politica e partecipazione politica) quelle più in declino sono proprio il funzionamento del governo e processo elettorale e pluralismo.
Il report suggerisce un proseguimento nella tendenza di erosione democratica cominciata già una decina di anni fa. Solo pochi Stati (37) nel 2024 hanno registrato un miglioramento del loro punteggio complessivo di democraticità, e comunque perlopiù di lieve entità. Un numero ben maggiore (83) di Paesi ha invece registrato un peggioramento nel proprio punteggio. Questo caso riguarda soprattutto Stati autoritari che, con il passare del tempo, tendono a diventare ancora più autoritari. Su 167 Stati complessivamente monitorati, in ben 130 lo score democratico è peggiorato o rimasto uguale.
Più di un terzo della popolazione globale (il 39,2%, 60 Paesi) vive sotto un regime autoritario. Il secondo tipo di regime più diffuso sono le democrazie imperfette: 46 Paesi, pari al 38,4% della popolazione globale. Un regime ibrido è riscontrabile in 36 Stati, mentre la democrazia perfetta si conferma perla rara: rientrano nella categoria solo 25 Paesi.
Le uniche zone geografiche ad aver registrato rispettivamente un miglioramento (seppur marginale) o un non cambiamento nella media democratica di area sono Europa occidentale e Nord America. Le altre cinque regioni (Europa centrale e Asia centrale, America Latina e Caraibi, Asia e Australasia; Medio Oriente e Nord Africa, Africa sub-sahariana) hanno registrato invece un peggioramento nel loro punteggio medio. A confermarsi quartiere più democratico del mondo sono i Paesi nordici, con la Norvegia in testa.
Se guardiamo alla raccolta dati del Democracy Index negli anni (dal 2006 in avanti), troviamo la conferma della tesi di Larry Diamond: è in atto una recessione democratica. Se nel 2006 il punteggio generale di democraticità del mondo si attestava a 5.52, nel 2024 è sceso a 5.17. Se nel 2006 le democrazie (perfette/imperfette) erano 79, oggi sono 71. Analogamente, il numero di regimi autoritari e ibridi è aumentato.
Il report indica che anche dove pratiche democratiche come le votazioni elettorali sono salde, il successo elettorale di partiti anti-sistema o comunque populisti è da attribuire all’incapacità dei partiti tradizionali di soddisfare i cittadini sui temi economici, di immigrazione, di educazione e di salute. La democrazia come sistema politico continua ad avere un margine diffuso di apprezzamento. Il problema sta, piuttosto, nell’insoddisfazione generale per il suo funzionamento. L’ampliarsi della forbice sociale è una delle principali cause di questo malfunzionamento. Un’altra è da individuare nell’incapacità dei politici di rappresentare la propria base elettorale al meglio e nei suoi interessi, il che è risultato in una tendenza a una maggiore volatilità elettorale (cioè cambi di preferenze tra un turno elettorale e l’altro). La crisi della democrazia si radica, perciò, anche nella crisi dei partiti: si passa dall’estrema polarizzazione al considerarli tutti uguali e ugualmente insoddisfacenti. Sono gli attori politici in primis, dunque, a dover rispondere responsabilmente a questi cambiamenti di percezione.
Il problema è dunque sistemico. Il lato negativo è che ci troviamo esattamente nel mezzo di una trasformazione dell’ordine. Una trasformazione che per certi aspetti ci coglie impreparati, per altri indifferenti, per altri ancora impauriti. D’altro canto, però, il problema non è, nella sua essenza, inedito. Più volte l’ordine internazionale si è trovato di fronte a momenti di difficoltà della democrazia liberale. Altrettante volte – in maniera più o meno efficace – ha elaborato modi, strumenti, abitudini per gestire i risultati di tale trasformazione. La speranza è che anche questa volta un nucleo di democrazie abbia il buonsenso e la lungimiranza di fare altrettanto.
Autore
Letizia Sala
Autrice
amante della satira e delle percentuali elettorali (se le due cose sono combinate: meglio), nasco nella primavera 2003 alle porte di Monza. qualche km più in là, Bush stava decidendo di invadere l’Iraq. non so nulla di oroscopo ma se mi state leggendo proprio qua qualcosa vorrà pur dire.