Il caporalato uccide e la politica non agisce

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L’estate del 2024, nell’ambito della politica interna, ha visto un caso in particolare: la morte di Satnam singh, che su Generazione abbiamo commentato qui. Un lavoratore ucciso dai suoi padroni, da un sistema criminale da una forma di schiavitù che nel nostro paese ha un nome: caporalato.

Qual è il significato del termine caporalato? Un sistema di sfruttamento lavorativo che interessa diversi settori produttivi ma che si manifesta con particolare forza e pervasività nel settore dell’agricoltura.

L’ultimo lavoro di ricerca della FLAI-CGIL, con il VII Rapporto sulle Agromafie e il Caporalato, colpisce per 5 punti principali: i dati allarmanti di una questione sistemica, un’economia del primo settore che si basa sul profitto e non sulla persona, l’infiltrazione criminale, la precarietà lavorativa dell’agroalimentare e della violenza di genere nella filiera dell’agricoltura e non solo.

Dati e analisi poco rassicuranti

Secondo l’Istat e il Rapporto, «più di 200 mila lavoratori sono occupati nelle diverse articolazioni del settore agricolo con un tasso di irregolarità per i dipendenti pari al 30% i nostri studi empirici realizzati sul territorio evidenziano come questi dati siano certamente sottostimati e comprendano al loro interno una larga parte di lavoro sfruttato e finanche pratiche para schiavistiche». 

Ed in questo contesto di irregolarità che si infiltrano le agromafie: «proprio la diffusa irregolarità e illegalità che connota il settore, unita al suo carattere prevalentemente territorializzato, si presta tanto alle attività estorsive e di regolazione violenta dei traffici criminali, quanto al reinvestimento e al riciclaggio di proventi illeciti nell’economia legale o formalmente legale». 

Per un approfondimento sulle agromafie, vi rimandiamo ad un articolo scritto su generazione nell’estate appena trascorsa qui

La categoria maggior colpita da situazione di povertà, e di conseguenza di maggior possibilità di ricadere nel mercato di un lavoro irregolare ed usurante come quello del settore agroalimentare, è quella dei migranti extracomunitari. All’origine però di questo sistema razzista, che porta il migrante a diventare soggetto sfruttato in Italia, vi è la legge Bossi-Fini che: 

«La famigerata “legge Bossi-Fini” è la principale causa di un mercato del lavoro duale, ingiusto e iniquo che può permettersi, attraverso il ricatto e la precarizzazione della vita delle persone, di limitare l’esigibilità dei diritti, di abbassare la qualità del lavoro e, di conseguenza, la crescita dei salari (non solo dei migranti non europei ma di tutti noi). È importante che sia chiaro a tutti che questa legge – per come è stata pensata e attuata – non riguarda affatto il governo delle migrazioni (che infatti non governa), ma è una modalità surrettizia per depotenziare il sistema dei diritti di lavoratori e lavoratrici e permettere al nostro sistema d’impresa di competere sulla contrazione dei costi (del lavoro) piuttosto che sulla qualità e sull’innovazione, favorendo, peraltro, la proliferazione di comportamenti illegali e criminali».

Nei controlli successivi all’omicidio dell’operaio Satnam Singh, compiuti il 3 e 25 luglio ed i primi 10 giorni di agosto: «Su 1377 aziende agricole – abbiano fatto emergere una irregolarità che va dal 66% della prima ispezione, al 57% della seconda e al 53% della terza e che dopo queste notizie divulgate dal Ministero e dalle forze dell’ordine con roboanti comunicati stampa, tutto si sia fermato e si è ritornati nell’ordinarietà delle ispezioni che sono circa il doppio, in un intero anno, di quelle compiute in sole tre azioni tra luglio e agosto. Forse perché bisognava rispondere al clamore delle notizie giornalistiche che non avevano spento i fari sull’omicidio sul lavoro di Satnam ma tali operazioni «spot» denunciano implicitamente anche quanto siano insufficienti quelle ordinarie».

Marx aveva ragione: passa tutto per i soldi (pure criminali).

«Gli ultimi dati disponibili sull’economia non osservata pubblicati dall’ISTAT in ottobre 2023 e aggiornati al 2021, mostrano che il sommerso e il lavoro irregolare crescono rispetto all’anno 2020 in maniera direttamente proporzionale al Prodotto Interno Lordo (i primi del 10,0%, il secondo del 9,7%…tutto questo con un aumento su base annua (+14,6%)… nel 2021 sono quasi 3 milioni le unità di lavoro irregolari in Italia (2 milioni 990mila), con un aumento di circa 73mila unità rispetto al 2020».

L’analisi dell’economia sommersa, che lega sfruttamento e settore primario, fa parte di quelle che viene definita “una triangolazione”: mercato, entità statali e criminalità.

Il mercato si sviluppa nell’economia agroalimentare nella macro-regione mediterranea che per competere nelle catene globali usa le falli della regolamentazione pubblicata e la facilità d’accesso ai fondi pubblici italiani ed europei; la criminalità svolge un “servizio” in contumacia con la politica, propensa a criminalizzare i flussi con politiche migratorie repressive e restrittive, ha teso a foraggiare questa manodopera configurando – attraverso la clandestinizzazione – le condizioni persistenti di ricattabilità, sfruttamento, vulnerabilità e subordinazione.

L’analisi delle filiere agroalimentari è un punto di vista particolarmente promettente, in quanto permette di analizzare i rapporti di lavoro nel contesto socio-economico in cui sono radicati, recuperando la dimensione territoriale che è indubbiamente importante nel dare forma a fenomeni quali il caporalato. 

Un settore, quello primario, che vanta numeri occupazionali e economici da capogiro. Secondo dati Istat che fanno riferimento al 2021 in Italia operano 1.113.000 aziende agricole di cui 187.000 con manodopera non familiare alle dipendenze, per un totale di 1.296.000 lavoratori di cui il 17,7% stranieri (dato ISTAT riferito al 2021). Avendo sottolineato che il problema della manodopera riguarda i tempi e si concentra nel momento della raccolta, è interessante riportare il dato sull’incidenza delle giornate di occupazione agricola riferibili ai lavoratori stranieri: il 34,2% del totale, significa che più di un terzo delle giornate lavorative in agricoltura è a carico di migranti. Considerando che il loro lavoro è in parti- colare grigio, il dato effettivo è destinato a aumentare. 

Sempre secondo l’Istat il valore economico corrente nel settore agro-alimentare è stato di ben 73,5 miliardi di euro, a cui – per determinarlo – ha compartecipato un numero di occupati pari a 872.100 unità (di cui: 472.000 dipendenti, 423.000 indipendenti), con una forte preponderanza di stagionali o a prestazione professionale. Le retribuzioni medie di queste maestranze sono generalmente basse: sia per gli italiani che per gli stranieri.

Ed è nella filiera dell’agroalimentare che le criminalità di nuovo stampo fanno affari d’oro: “meno violenza e più affari”. 

Ma quindi la mafia? Rebranding: agromafia!

Nel complesso, i reati e gli illeciti amministrativi crescono in tutti i settori dell’agroalimentare, raggiungendo quota 45.067 (+9,1% rispetto al 2022). Aumentano significativamente anche le denunce (39.121, +45,7% rispetto al 2022) e soprattutto i sequestri, più che raddoppiati (13.679, +220,9% rispetto al 2022). 

Il rapporto pone un focus su come l’illecito vada inserito in un contesto molto più ampio.

…la criminalità ambientale è da considerarsi come contesto in cui può insinuarsi l’operatività delle cosiddette «agromafie», ovvero l’insieme delle attività illegali compiute dalle organizzazioni criminali di stampo mafioso in tutte le fasi di produzione, trasformazione, commercializzazione e distribuzione di prodotti agricoli e agroalimentari. Proprio la diffusa irregolarità e illegalità che connota il settore, unita al suo carattere prevalentemente territorializzato, si presta tanto alle attività estorsive e di regolazione violenta dei traffici criminali, quanto al reinvestimento e al riciclaggio di proventi illeciti nell’economia legale o formalmente legale.

Gli spazi che occupa la criminalità organizzata, spazi non prettamente fisici ma che hanno delle ripercussioni sulla realtà, sono 3: politico, socio-economico, ecologico.

La finalità dello spazio politico è creare attraverso la violenza professionale ed organizzata delle zone d’influenza per esercitare funzioni di controllo territoriale e accumulare risorse attraverso estorsioni, racket, controllo violento della manodopera etc.

Lo spazio socio-economico si distingue per la costruzione di relazione per potere regolamento le economie locali, riciclare denaro dalle attività illecite per reinvestirle nell’economia locali. Come? Attraverso forme di imprenditoria formalmente legale nei mercati ortofrutticoli, logistica, produzione e commercio di prodotti, gestione dei rifiuti e similari.

Mentre l’aspetto ecologico avviene attraverso il controllo del territorio per attività predatorie, consumo e contaminazione dei suoli, forti criticità ambientali e sanitarie con utilizzazioni improprie dei terreni (disboscamenti, dissodamenti, cambiamenti di colture), uso e abuso di fertilizzanti illeciti, smaltimento di rifiuti e spargimento di fanghi.

Evidenziamo, soprattutto dopo il caso Satnam Singh, la criticità della regione Lazio: rappresenta un caso emblematico, con la produzione ortofrutticola, in particolare della Provincia di Latina, condizionata dal radicamento di clan di varia appartenenza mafiosa e da un diffuso sistema di caporalato, a cui associare la presenza, nel Comune di Roma, di ristoranti gestiti da alcuni dei clan di mafia più pericolosi e potenti d’Italia (fonte DIA, direzione investigativa antimafia, relazione semestrale-primo semestre 2023).

Il lavoro agricolo è povero e precario

L’evidenza che risalta prepotente quando si esamina questo segmento del lavoro dipendente regolare è proprio l’esiguità delle retribuzioni che genera. Nel 2022 più di tre quarti dei dipendenti

agricoli ha percepito retribuzioni lorde annuali al di sotto della soglia di povertà retributiva stimata per i dipendenti delle imprese private dell’industria e dei servizi, mentre più del 45% ha avuto retribuzioni inferiori alla metà di quella stessa soglia. Metà dei dipendenti agricoli ha presentato retribuzioni annuali lorde inferiori a 7 mila euro, due volte e mezzo più basse rispetto ai dipendenti privati extra-agricoli. Solo il 20% dei dipendenti agricoli ha ricavato dal proprio lavoro più di 13 mila euro lordi all’anno, mentre per il resto del settore privato questa soglia si è fissata a circa 30 mila euro. 

Dall’analisi del rapporto il lavoro agricolo, nonostante le dichiarazioni del ministro della sovranità alimentare Lollobrigida, è un settore dell’economia che si fonda sulla precarietà non solo di come si lavora, dove e tempistiche ma anche da un punto di vista salariale. 

Per quanto riguarda la demografia dei dipendenti il numero di dipendenti agricoli con cittadinanza straniera è rimasto quasi invariato, la loro composizione è cambiata. La minore presenza di cittadini UE – con una riduzione concentrata fra i non residenti ma che coinvolge anche la porzione residente – ne determina il peso sul totale dei dipendenti agricoli ben al di sotto del 10%. Cresce invece il peso dei cittadini africani e asiatici, che superano nel loro insieme il 15% dei dipendenti. Nello stesso intervallo di tempo si riduce ulteriormente il peso della componente femminile che resta dunque piuttosto basso, mentre cresce l’età media dei dipendenti a causa dell’incremento del numero degli ultra-cinquantenni, che nel 2022 rappresentavano oltre un quinto del totale.

Alla base di questo sistema che dovrebbe basarsi sul rispetto dei diritti umani e del non sfruttamento dell’umano sull’altro umano è andato affermandosi un modello di agricoltura sempre più market-oriented, sovente incline ad anteporre l’obiettivo del profitto financo al rispetto della sostenibilità sociale e ambientale…Questa nuova articolazione organizzativa della produzione e della distribuzione dei prodotti agroalimentari ha radicalmente mutato i rapporti tra le parti, connotati adesso da un netto sbilanciamento di potere contrattuale tra la distribuzione e i propri fornitori a tutto vantaggio della prima. Come tutti i settori caratterizzati da un intensivo uso di manodopera, la filiera ha assunto una struttura c.d. demand-driven.

Un modo di ragionare all’economia che rende il soggetto lavoratore puramente un oggetto da sfruttare fino al midollo, fino a che non diventa oggetto inanimato o inutilizzabile: Il primo bimestre 2024, ultimo dato disponibile, ha segnato un generale aumento degli infortuni che in agricoltura tocca il +33,3% (da 1.695 a 2.259 del 2023). Le morti sul lavoro nel primo bimestre 2024 sono state 12, una in più rispetto al 2023. Il bollettino dati INAIL su infortuni e malattie del marzo 2024, basato sulle annualità 2018- 2023, riporta ben 746 decessi nei sei anni considerati (in media 150 all’anno, con un picco nel 2019, specie per incidenti mortali plurimi)

Violenza di genere e capitale

Lo sfruttamento nei campi agricoli ha delle connessioni importanti con la violenza di genere – con particolare attenzione alla violenza domestica – e l’accesso al diritto alla salute, soprattutto in ambito di salute riproduttiva, per le lavoratrici migranti. Il rapporto mette in evidenza il carattere pervasivo dello sfruttamento quando si intreccia con le ideologie e le pratiche dei rapporti familiari patriarcali, nonché con le vulnerabilità intersezionali che queste lavoratrici affrontano.

Sono più di 200 mila le donne di diverse nazionalità occupate nel settore agricolo in Italia e il 48,3% di esse è residente nelle regioni del sud. Si stima, inoltre, che le donne lavoratrici sfruttate nel settore agricolo siano tra 51 e 57 mila e la stragrande maggioranza di esse non viene intercettata dalle istituzioni.

La sociologia e gli studi contemporanei pongono in essere come lo sfruttamento non può essere compreso alla luce della tradizionale divisione tra sfera produttiva e riproduttiva, peraltro ampiamente contestata dal femminismo. Al contrario, lo sfruttamento deve essere inquadrato come una violazione dei diritti e delle libertà destinata a mettere in crisi la stessa distinzione tra le due sfere…le studiose femministe che hanno recentemente interrogato la nozione di «everyday life» come luogo della riproduzione sociale, nel quale lo squilibrio di potere intersezionale di genere incide sulle dimensioni dello spazio e del tempo, e integra la violenza, sia strutturale sia relazionale.

La Convenzione di Istanbul, sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, all’articolo 3 descrive come la l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata. 

I comportamenti economicamente abusanti subiti da molte donne, in particolare dalle braccianti migranti, si inseriscono in quel continuum di sfruttamento e violenza che permea la loro vita quotidiana e affonda le radici nelle disparità strutturali di genere esistenti nell’accesso alle risorse materiali e culturali, sia all’interno della famiglia che nella società. 
L’aspetto caratterizzante della violenza economica consiste nella compressione degli ambiti economici fondamentali per l’autonomia individuale, attuata attraverso la negazione o la limitazione delle risorse finanziarie e materiali e dei conseguenti diritti fondamentali, come il diritto al lavoro, il diritto all’istruzione e il diritto di proprietà. In questo senso, Irene Pellizzone, costituzionalista, parla di “un atrofizzazione di tutte le sfere economiche, da cui la donna può trarre la propria autonomia […e che] in altri termini, conduce a limitazioni nel godimento di denaro o altri beni lesive della dignità”.

Autore

17 gennaio 2004 come data fatidica, e da quel momento sono immerso nei libri, nei paesaggi di Sezze e nelle canzoni di Kendrick Lamar. Napoletano di fede e di sangue, ricomincio pure io da tre cose: ascoltare, guardare e parlare, o su questa pagina, scrivere.

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