I fatti di Bologna e la devalorizzazione dei simboli. L’appropriazione indebita della destra che dovrebbe spaventare la cultura italiana

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Sabato 9 novembre, a Bologna, si sono tenute quattro diverse manifestazioni, culminate in tensioni e scontri tra la polizia e i manifestanti antifascisti. 

La prima è stata indetta da CasaPound e Movimento Nazionale – la Rete dei Patrioti per contestare il degrado della città. L’iniziativa è legata anche alle elezioni che si sono svolte lo scorso fine settimana, il 17 e 18 novembre, e che hanno visto la vittoria del centro-sinistra. Le altre si sono susseguite a cascata per contrastare la manifestazione neofascista.

La seconda, regolarmente autorizzata e alla quale hanno partecipato anche alcune autorità, si è tenuta in piazza Nettuno, sotto il sacrario dei caduti della lotta di liberazione. Questo sit-in, organizzato dall’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani), ha visto la presenza di figure politiche come la segretaria del PD Elly Schlein, Nicola Fratoianni di AVS – Alleanza Verdi e Sinistra, esponenti di Azione, Movimento 5 Stelle e rappresentanti della CGIL. La manifestazione si è svolta pacificamente nell’arco della mattinata e ha ribadito con forza l’importanza dei valori antifascisti. Sebbene non fosse l’elemento scatenante, la presenza di parlamentari del centro-sinistra ha spinto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, a dichiarare successivamente che una parte della sinistra «foraggia i facinorosi». Questa dichiarazione, però, è arrivata solo ore dopo. Torniamo ora ai fatti di Bologna.

Il corteo di CasaPound e Rete dei Patrioti ha sfiato per le strade della città, scortato da un corposo contingente di forze dell’ordine. La prima risposta a questa manifestazione, è avvenuta proprio lungo le strade: dalle finestre dei palazzi bolognesi sono iniziate a sgorgare secchiate d’acqua e slogan antifascisti. Il corteo non si è scomposto ed è avanzato, come previsto dall’autorizzazione della prefettura, verso piazza XX settembre, la piazza della stazione di Bologna. È questo che ha preoccupato il sindaco della città, Matteo Lepore, che è consapevole della valenza simbolica di quel luogo, una ferita ancora aperta per i bolognesi e per tutti gli italiani. Ed è per questo che Lepore aveva chiesto alla prefettura di spostare il corteo, di fare in modo che non si arrivasse proprio lì. Ma la prefettura non aveva accolto la richiesta. All’ora di pranzo, dopo che piazza Nettuno si era già svuotata delle figure istituzionali, sono partiti in parallelo due cortei non preautorizzati. 

Alle 14 è iniziata la contromanifestazione organizzata dai collettivi di sinistra e dai movimenti studenteschi. Circa un migliaio di manifestanti hanno cercato di raggiungere il corteo neofascista, sfondando i cancelli del parco della Montagnola e scendendo la scalinata del Pincio. Un altro gruppo, formato da anarchici, ha tentato di avvicinarsi al corteo neofascista da una direzione opposta, ma è stato immediatamente bloccato dalla polizia. Sulla scalinata del Pincio la situazione è diventata più tesa: la polizia in tenuta antisommossa è intervenuta con lacrimogeni e manganellate e si contano lievi feriti sia tra le forze dell’ordine sia tra i manifestanti. Nel frattempo, in piazza XX Settembre, un piccolo presidio antifascista di circa dieci persone, secondo Repubblica, si è radunato intonando Bella ciao, mentre il corteo neofascista avanzava scandendo slogan fascisti.

Nonostante le tensioni, i quattro cortei non si sono mai scontrati direttamente. Le forze dell’ordine hanno scortato il corteo di CasaPound e della Rete dei Patrioti fuori città, garantendo il ritorno sicuro dei partecipanti, molti dei quali arrivavano da fuori Bologna. Tuttavia, i manifestanti neofascisti non sono riusciti a raggiungere il loro obiettivo di piazza.

Il giorno stesso e per tutta la giornata successiva è imperversato il dibattito tra i vertici politici. La presidente del Consiglio ha espresso il suo totale appoggio alle forze dell’ordine e ha accusato la sinistra istituzionale di appoggiare i collettivi “facinorosi”. Il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, ha svelato i suoi presentimenti per la giornata di sabato e ha dichiarato che a Bologna sono state mandate «300 camice nere». A controbattere e polarizzare la situazione è intervenuto anche il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, che ha evidenziato come i collettivi di sinistra siano «covi di delinquenti», utilizzando l’espressione «zecche rosse» e chiedendone l’istantanea chiusura. 

Il dibattito è proseguito su giornali e media, sollevando crescenti perplessità sia sul comportamento dei manifestanti di destra sia sull’operato delle forze dell’ordine. Ha fatto scalpore, soprattutto sui social e su alcune testate, un video che mostrava un manifestante neofascista impartire ordini alla polizia su come agire. Un atteggiamento del genere è chiaramente inaccettabile, da qualsiasi parte provenga. Sarebbe poi opportuno riflettere anche sul rapporto tra le istituzioni e le organizzazioni neofasciste in altri contesti. Per esempio, il corteo di CasaPound e della Rete dei Patrioti ha ricevuto una protezione straordinaria, un trattamento non comune. I manifestanti sono stati scortati fuori città dalle forze dell’ordine, un intervento che di solito si riserva a situazioni di emergenza, come minacce di attentati o pericoli di stampo mafioso. Questo tipo di protezione non è consueto per dei manifestanti, specialmente in un contesto dove le contromanifestazioni erano già state contenute. E ci si dovrebbe interrogare sul perché la manifestazione stessa sia stata concessa. 

La stazione di Bologna è un luogo segnato da una ferita profonda. I luoghi di dolore, in particolare, meritano rispetto da parte di ogni forza politica, perché rappresentano la componente fisica della nostra memoria. Tuttavia, l’attuale governo – proseguendo un processo iniziato da anni – sembra impegnato a stravolgere il significato originario di questi luoghi, a decostruirne la narrazione e a ridefinirla in chiave opposta.

Questo avviene attraverso un’appropriazione simbolica di elementi culturali e spazi che storicamente appartenevano alla sinistra. Ne sono esempi la presenza di Salvini al Lucca Comics, con la dichiarazione che l’assenza di Zerocalcare non fosse rilevante; l’utilizzo di canzoni di De André da parte di Meloni e Salvini durante i festeggiamenti; e il tentativo di ridefinire il significato di spazi pubblici, scrittori, e perfino del servizio pubblico televisivo. È un’operazione che si muove sotto lo slogan di “adesso ci siamo noi” e della rivendicazione di una presunta “cultura di destra” per superare quella che viene definita l’egemonia culturale della sinistra. Ma la realtà è più complessa.

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