La vicenda P. Diddy ci costringe di nuovo a decidere: è giusto separare l’arte dall’artista?

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È il 16 settembre 2024, siamo a New York. Il produttore musicale P. Diddy – conosciuto anche come Puff Daddy, o semplicemente Diddy –  viene arrestato con l’accusa di favoreggiamento alla prostituzione e traffico di armi, droghe ed esseri umani. 

Sean Combs – questo è il suo vero nome – nasce a New York nel 1969 ed è noto come il più grande produttore di musica hip-hop degli ultimi tre decenni. È grazie alle sue produzioni che artisti del calibro di The Notorious B.I.G., Usher, Mariah Carey e Mary J. Blige sono riusciti a raggiungere la fama, per citarne solo alcuni: sotto le ali di Puff Daddy c’è un po’ tutto lo star system statunitense.

Nelle ultime settimane, l’arresto del produttore ha aperto un vaso di Pandora che continua a riversare online notizie su di lui e in particolare sui White Parties, feste in cui tutti erano obbligati a vestire di bianco, che Combs organizzava nella sua dimora negli Hamptons, all’insegna dell’edonismo più sfrenato. Negli Stati Uniti, queste feste sono note all’opinione pubblica da sempre e sono considerate, da chi cerca di sfondare, come il biglietto d’oro per accedere all’olimpo dello show business americano.

Su TikTok e su tutti i social divampano da giorni foto e video di ciò che accadeva in questi incontri, in cui i partecipanti si vedono coinvolti in attività sessuali, alcuni dei quali ancora minori – come Justin Bieber, il più noto della lista, che quando cominciò a frequentare queste feste aveva appena quindici anni. Ma i White Parties vanno ben indietro negli anni rispetto a Bieber, che è solo la punta dell’iceberg su cui sono segnati i nomi di tutte le presunte vittime di Diddy, dalle vittime rimaste nell’ombra a coloro che hanno tentato di smascherare il lato oscuro del più importante produttore del mondo, considerato un’icona del black power in America. Gravitare attorno all’orbita di Diddy ha sempre fatto comodo a tanti artisti: più ci si avvicinava a lui, più lui era disposto a offrire, in termini di soldi e fama. Alla figura di Diddy vengono ora associate le morti di artisti come Michael Jackson, Tupac o Aaliyah, in aggiunta a una serie di abusi alla sua ex moglie, Kim Porter, e vari scandali nascosti negli anni.  

Sul web si parla solo della lista di nomi delle varie celebrità coinvolte nelle feste e nei crimini legati a Diddy, come se ognuno di noi stesse cercando di capire se il proprio artista preferito è un mostro oppure no. Beyoncé, Jay-Z, Pharrell Williams, Leonardo Di Caprio, Megan Fox, Lebron James, Serena Williams, Rihanna, Travis Scott, Jennifer Lopez e altri ancora.

Che farsene adesso di tutti loro? Che farsene della delusione nei confronti di una celebrità personalmente sconosciuta, ma la cui arte ha reso la nostra vita più ricca? 

Oltre alla notizia dei White Parties, nel 2024 in Italia è uscito anche un libro intitolato Mostri – Distinguere o non distinguere la vita dalle opere: il tormento dei fan, pubblicato da Iperborea, scritto dall’autrice statunitense Claire Dederer e tradotto per noi da Sara Prencipe. Tra queste pagine l’autrice si interroga sul rapporto tra un fan e il proprio idolo, e su cosa voglia dire essere un “genio” a cui tutto sembra concesso.  Scrive Dederer: 

Ho notato che un certo tipo di persona sembra immune alla macchia. […] Si tratta del cosiddetto genio. Il genio può essere macchiato – anzi, lo è quasi sempre –, ma a quanto pare la macchia non intacca la sua importanza. La sua supremazia. Il genio è un’asserzione, un’allucinazione collettiva. Il genio non è tanto un tipo di persona, quanto uno status: è qualcuno che può fare tutto quel che vuole. Il genio ha un potere speciale, da cui gli deriva una speciale esenzione. Ha un lasciapassare. Ci consideriamo fortunati ad averlo tra di noi; chi siamo noi per dire che deve anche comportarsi bene? La nostra adorazione è un ingrediente fondamentale della sua grandezza

Stando a ciò che scrive Dederer, i crimini di P. Diddy sono rimasti nell’ombra perché tutti i suoi collaboratori o gli artisti sotto la sua protezione hanno preferito tacere per restare attaccati a lui e al suo potere. Il “genio” arrivato dal ghetto che è riuscito ad impossessarsi da solo del sogno americano. Noi altri, i fan, chiudiamo gli occhi davanti certi scandali affinché la musica, i film o tutte le altre opere d’arte che coinvolgono i nostri artisti preferiti restino puri e usufruibili, senza doverci sentire in colpa. Se pure venisse confermato che Jay-Z è coinvolto in questo caso, i brani di Watch The Throne rimarranno comunque nelle playlist di tutto il mondo. 

Il saggio Mostri è illuminante e consigliato per interrogarsi sull’eterno e mai risolto quesito: è giusto separare l’arte dall’artista? Se la risposta fosse “no”, tutta Hollywood dovrebbe cessare di esistere. Diddy è solo uno dei mille volti di un’industria che crea spettacolo attraverso l’abuso e, allora, continuare a consumare questo show come classifica noi spettatori? Complici silenziosi o semplicemente sedici miliardi di occhi arresi alla realtà dei fatti? 

Vogliamo assistere allo spettacolo dei geni virili, cattivi e pazzi perché ci stimolano, ci fanno sentire vivi. Ci infondono un senso di possibilità; ma possibilità di cosa? Forse di pensare che l’infinità che li ha sfiorati possa toccare anche noi. Forse, anche, la possibilità che facciano qualcosa di brutto.

Autore

Del cinema amo i film ambientati in un posto solo, il gossip hollywoodiano e il faccione di Bong Joon-Ho. Passo le domeniche a Porta Portese e il resto della settimana a mischiare il Martini alla tonica. In una vita passata ero un pirata.

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