Tra Cile e Argentina, le donne Mapuche si stanno organizzando contro la repressione e la militarizzazione delle loro terre da parte delle istituzioni. Nella penisola di La Guajira, in Colombia, le donne Wayuù si stanno opponendo alla miniera di carbone del Cerrejon responsabile dell’emergenza idrica nei loro territori, e dal 2005 il movimento Fuerza de Mujeres Wayuù si impegna a contrastare e denunciare gli effetti della multinazionale nella loro terra. Nelle montagne del sudest del Messico, le donne Zapatiste non arretrano di fronte alla minaccia di governi e aziende che vorrebbero realizzare nelle loro terre megaprogetti che andrebbero contro l’ecosistema di quelle terre e contro le abitudini delle popolazioni originarie che ci vivono.
In Rojava, l’esperimento del Confederalismo democratico si basa sui pilastri del femminismo e dell’ecologia e le donne Kurde sono impegnante tanto quanto i loro compagni uomini nella protezione del loro territorio. In Svezia, Greta Thunberg ha scioperato ogni venerdì per più di un anno chiedendo ai governi misure concrete per contrastare l’emergenza climatica in atto, divenendo così fonte di ispirazione per le giovani e i giovani di tutto il mondo che hanno dato vita al movimento di Fridays for Future. In Italia è evidente come sia sempre maggiore l’attivazione e il protagonismo di donne nei movimenti per la giustizia ambientale e all’interno di comitati contro l’imposizione di grandi opere inutili e dannose.
In tutto il mondo le donne si stanno mobilitando e stanno alimentando uno stato di agitazione permanente contro la violenza e l’oppressione del sistema patriarcale e neocoloniale e contro la devastazione e lo sfruttamento del modello economico capitalista ed estrattivista.
L’ecofemminismo di Yayo Herrero
Il punto di partenza è proprio la connessione tra questi due aspetti: sistema patriarcale e modello economico. L’antropologa e attivista ecofemminista spagnola Yayo Herrero, ha analizzato il parallelismo esistente tra l’impronta ecologica e quella che lei chiama impronta di cura, e afferma:
Se l’impronta ecologica esprime la quantità di terra, misurata in ettari globali, che una persona, paese o comunità necessita per mantenere il proprio stile di vita, e quindi stabilisce quale sia il debito ecologico dei paesi ricchi rispetto ai paesi sottomessi, sfruttati, utilizzati come miniere e discariche; l’impronta di cura vuole mostrare il debito che il patriarcato nel suo insieme ha con la vita e con le donne a causa del disuguale apporto al sostentamento della civilizzazione.
Herrero parte dai pilastri di sostentamento dell’attuale sistema produttivo che sono l’utilizzo gratuito delle risorse prodotte dalla biosfera e lo sfruttamento del lavoro domestico e di cura non salariato e storicamente attribuito alle donne.
A fronte dell’avvicinarsi di quello che l’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) definisce il punto di non ritorno verso il collasso ambientale, una delle prime risposte che Herrero propone è quella di legare l’economia alle possibilità di produzione della terra e ai bisogni reali dell’umanità, abbandonando la chimera della crescita illimitata. Allo stesso tempo, è necessario rendere visibile, valorizzare e condividere il lavoro di sostentamento della civilizzazione: se l’impronta di cura è un debito difficile da contabilizzare essendo il tempo non misurabile in termini strettamente lineari, questa diventa una categoria politica che serve per attirare l’attenzione e rendere visibile la disuguaglianza.
L’alternativa ai sistemi ecocidi
Ma le disuguaglianze non sono solo di genere. Un aspetto fondamentale dell’ecofemminismo è la prospettiva decoloniale. La cultura occidentale ha inteso la vita e gli esseri umani in maniera sconnessa rispetto alla terra, alla natura e ai corpi. Il soggetto politico che definisce la legge (che è anche l’unico soggetto attivo all’interno del sistema politico ed economico occidentale) è totalmente disconnesso dalla terra e dal proprio corpo e dunque è deresponsabilizzato del corpo degli altri. Tale soggetto è astratto e risponde ad una ristrettissima categoria dell’umanità, quella degli uomini bianchi, borghesi ed eterosessuali. Ma nonostante ciò è considerato il soggetto universale che ha il compito di definire le categorie di individuo, politica, produzione e sviluppo.
Ed è attraverso le alleanze e le contaminazioni tra i discorsi femministi, transfemministi, ambientalisti e in difesa dei territori, che è possibile intravedere uno spiraglio di mondo nuovo, libero da dinamiche misogine, razziste ed ecocide. Uno spiraglio esiste già, e ne sono prova le realtà e le esperienze di autogestione, solidarietà, mutuo soccorso e riappropriazione del bene comune, messe in campo dalle donne in tutto il mondo.
Autore
Vivo a Roma ma vengo dalle montagne. Preferisco il mare. Sono una boomer della tecnologia e perdo il cellulare una volta ogni tre mesi. Ho una bicicletta arancione che si chiama Zagara. Amo la letteratura e sogno la rivoluzione.