Qualche settimana fa, mentre guardavo una video intervista rilasciata da Zerocalcare, che si concentrava sulle pubblicazioni che hanno maggiormente colpito ed ispirato il fumettista romano negli ultimi anni, ho sentito nominare per la prima volta La mia vita disegnata male (LMVDM), una graphic novel di Gianni Pacinotti, in arte Gipi, artista che fino a poco fa, purtroppo, non conoscevo. Con fiducia cieca nei confronti dell’idolo straight edge di Rebibbia, il giorno dopo ho deciso di acquistare LMVDM e ne sono stata irrimediabilmente rapita fin dalle prime pagine: un esempio di autobiografia imprevedibile, furba, capace di beffare, allo stesso tempo, autore e lettore.
Al bambino
Il romanzo si apre con questa dedica, collocata nella parte alta della prima pagina, due parole solitarie, quasi malinconiche, seguite da un punto fermo.
Destinare un libro al sé stesso bambino può sembrare una mossa autoreferenziale, forse più del necessario. La scrittura in prima persona che caratterizza l’autobiografia, viaggia consapevolmente accanto al pericolo di essere eccessivamente auto-riferita, non comunicativa per il pubblico e davvero significativa solo per il protagonista degli eventi. Ci vuole una certa abilità per guardare il proprio ego da fuori, per interrompere l’immersione in sé stessi e dichiarare apertamente quanto non ci si stia prendendo sul serio. Paradossalmente, l’effetto prodotto da questa auto-dedica è proprio quello appena descritto.
Che cosa poteva saperne il bambino di ciò che di lì a poco gli sarebbe accaduto? Le due parole conficcate sulla pagina nuda con la calligrafia di Gipi, mettono artista e lettori sullo stesso piano, entrambi ignari rispetto a ciò che li aspetta, facilitando l’immedesimazione dei secondi nel primo.
Sogni in Technicolor
I viaggi psichedelici, i sogni, tutti percorsi interni alla mente dell’autore, che egli fa interagire con gli aneddoti accaduti per davvero, sono rappresentati a colori. Le illustrazioni del fumetto sono realizzate principalmente in bianco e nero, se non, appunto, quando si verifica uno stacco dalla realtà.
Questa scelta è molto interessante, se vista come una sovversione all’interno del genere autobiografico. Invece di concentrare l’attenzione sugli eventi accaduti nel mondo effettivo, Gipi colora i passaggi che ricostruiscono ciò che avviene nella sua testa, rendendo il sogno più vero del reale.
Così il vero evento è imbattersi in una pagina variopinta, poiché si sa che è lì che si celano i segreti più intimi, restituiti con linguaggio metaforico e nettamente più criptico rispetto al resto della storia. Pagine di enigmi che chi legge vuole a tutti i costi risolvere, senza venirne a capo, proprio perché il fumettista riesce ad inculcare questo desiderio, facendo percepire l’esperienza psichica come un elemento di importanza capitale nell’economia della narrazione. In questo modo, lacerando il reale per aprire uno spazio alla fantasia, Gipi sfida il pubblico dei lettori, non lasciandoli accomodare in schemi predefiniti, in cui spesso vengono appiattiti i racconti di un vissuto.
Pieni e vuoti
In LMVDM regna l’horror vacui, tutto il libro è estremamente affollato, fitto di disegni, fumetti che riportano direttamente le parole dei personaggi e didascalie di commento alla scena, inserite ai bordi. La pienezza vince sui vuoti senza ombra di dubbio.
Per questo motivo si è colti alla sprovvista, quando, ad un soffio dalla fine, si consuma l’incontro con una serie di pagine spoglie. Un’interruzione che sa di nostalgia, poiché costringe il lettore a fare i conti con l’imminenza della conclusione. Invece di accelerare, Gipi rallenta, lascia che chi legge faccia un profondo respiro e cambi, se crede, posizione sulla sedia, per prepararsi alle vignette definitive.
Antagonismi
L’epilogo è un inno all’ironia, o forse una mezza giustificazione per non essersi sempre attenuto al politicamente corretto (fingete che non abbia scritto la seconda, è solo per salvare le apparenze, cosa che a Gipi di certo non importa).
In questo esperimento autobiografico, l’artista si allontana definitivamente dal delirio di intoccabilità che si continua ad applicare a determinati argomenti che, a causa di questa esclusione coercitiva dal dominio di ciò di cui è bene parlare, si fanno sempre più distanti, tanto da destare imbarazzo o sdegno quando vengono portati a galla.
Come Gipi stesso conferma, «delle tragedie bisognerebbe ridere sempre». E per riuscire a ridere del tragico, del torbido, dell’incomprensibile, serve un tocco delicato, una costruzione intelligente, una poetica che renda plausibili le affermazioni più borderline, poiché, anche quelle, non sono certo messe lì per fare una violenza a chi legge, ma per invitarlo a scavare con curiosità anche nel marcio, che ognuno di noi sa di nascondere in sé stesso.
Tutti questi elementi antagonistici, colti in LMVDM, nell’atto di farsi la guerra, esaltano il significato simbolico del fumetto, rendendo una storia di vita disegnata male, un invito a pensarci bene, a riflettere, sul senso che ogni parola scritta può assumere nella nostra, di vita, come se stessimo ascoltando un consiglio durante una chiacchierata di quelle che si fanno alle quattro di mattina, di fronte ad un amico di sempre.
Autore
Federica Bortoluzzi
Autrice
Studio favole e da grande voglio fare l’imperatrice. Perché confessare che dopo un’adolescenza tutta friulana, mi sono innamorata di Torino e mi sono iscritta a filosofia, è sicuramente meno d’impatto. Ho due desideri: far promuovere a disciplina olimpica la mantecatura del risotto e imparare a risolvere i problemi con la stessa risolutezza di Mara Maionchi.