L’11 aprile, il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione – con 336 voti a favore, 136 contro e 39 astenuti – per inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Ad essere modificato, qualora gli Stati approveranno all’unanimità il cambiamento, sarà l’articolo 3 della Carta – cioè il “diritto all’integrità della persona” – che dice:
«Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati:
- il consenso libero ed informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge,
- il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone,
- il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro,
- il divieto di clonazione riproduttiva degli esseri umani»
Il Parlamento domanda l’inserimento di un nuovo punto tra quelli già esistenti: «tutte le persone hanno il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo, all’accesso libero, informato, completo e universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi servizi sanitari senza discriminazioni, compreso l’accesso all’aborto sicuro e legale». La proposta è arrivata con una forte condanna dei parlamentari rispetto ai passi indietro recenti sui diritti delle donne, nel tentativo – di alcuni paesi dell’Unione – di ridurre o rimuovere il diritto esistente alla salute sessuale e riproduttiva. Il Parlamento chiede agli Stati membri di decriminalizzare l’aborto, indicando nello specifico a Polonia e Malta di abrogare le vigenti leggi che bannano o restringono il diritto all’aborto.
La condanna del Parlamento si allarga anche ai paesi dove il diritto all’aborto è negato o ostacolato dal crescente numero di obiettori di coscienza, mettendo a rischio – in alcuni casi – la salute o la vita dei pazienti. A questo proposito, il Parlamento suggerisce che le pratiche e procedure abortive vengano obbligatoriamente inserite nel curriculum di studio di dottori e dottoresse e altro personale sanitario. Di fianco alla formazione del personale medico, il Parlamento chiede che gli Stati membri si facciano carico dell’educazione sessuale dei propri cittadini, che sia appropriata alla loro età ma inclusiva e comprensiva di tutto quello che c’è da sapere. Devono essere accessibili, sicuri e gratuiti tutti i metodi contraccettivi esistenti, così come le consulenze familiari – con attenzione ai gruppi di persone considerate vulnerabili. Le donne in povertà, che il Parlamento considera sproporzionatamente soggette a barriere e restrizioni economiche in termini di accesso ad assistenza legale e sanitaria – devono essere tutelate e accompagnate, rendendo possibile la rimozione di queste barriere.
Il Parlamento ha anche espresso preoccupazione per il significativo aumento di finanziamenti a gruppi definiti “anti-gender” e “anti-choice” nel mondo, anche in Europa. Chiedono, per questo, che la Commissione si assicuri che le organizzazioni che lavorano contro la parità di genere e i diritti delle donne – compreso il diritto ad una riproduzione sicura – non vengano finanziate dai fondi europei. Su questa stessa linea, si invitano i governi ad investire in programmi e iniziative volte a contrastare la diffusione di queste organizzazioni.
La risoluzione è stata presentata dai gruppi parlamentari Socialists and Democrats (S&D), Renew Europe, Greens e altri dell’ala sinistra del Parlamento. In una nota alla stampa, la parlamentare spagnola al Parlamento europeo Soraya Rodríguez Ramos, del gruppo Renew, ha detto: «negli ultimi anni, è diventato chiaro che stiamo facendo dei passi indietro rispetto ai diritti delle donne, e in particolare nei diritti per la salute sessuale e riproduttiva». La parlamentare europea maltese Cyrus Engerer, del gruppo S&D, ha commentato il voto del Parlamento dicendo: «è un chiaro segno di cosa pensa e in cosa crede il Parlamento rispetto all’aborto. È il momento che l’Europa diventi un posto dove l’aborto può essere una realtà per tutte le donne e le persone che possono incorrere in una gravidanza, garantendo loro il diritto ad un accesso completo a questo diritto fondamentale».
Ad aver spinto il Parlamento a procedere verso una risoluzione di questo tipo è stato l’inserimento, da parte della Francia, del diritto ad un aborto sicuro dentro la Costituzione, il 4 marzo scorso. Nonostante queste considerazioni, in molti valutano che difficilmente la risoluzione possa diventare effettiva. Diversi paesi europei hanno ristretto il diritto di accedere all’aborto. A Malta, dove la legislazione in questo senso è stata cambiata nel 2023, l’aborto è garantito solo se la madre è in pericolo. In Polonia, l’aborto è concesso solo in caso di stupro o incesto, o quando la vita della madre è in pericolo. In Ungheria, dal 2022, le donne devono ascoltare il battito cardiaco del feto prima di abortire.
In Italia, nelle ultime settimane, Fratelli d’Italia ha presentato un emendamento per finanziare la presenza di associazioni antiabortiste all’interno dei consultori familiari, attraverso i fondi del PNRR – il Piano di nazionale di ripresa e resilienza finanziato dall’Unione Europea.
Questa proposta si inserisce in una scia di risoluzioni presentate dalle destre negli ultimi due anni, per cercare di limitare il diritto all’aborto in Italia senza attaccare mai direttamente la legge che lo rende legale nel nostro paese: la legge 194 del 1978, creata dopo anni di intense lotte femministe.
Dall’inizio del proprio governo, Giorgia Meloni ha più volte ribadito che non avrebbe toccato la legge 194, pur essendo molto vicina a movimenti antiabortisti internazionali come Pro Vita & Famiglia. L’antiabortismo della premier Meloni e l’esistenza della legge 194 possono effettivamente coesistere, perché si tratta di una legge che contiene nel proprio testo la possibilità di rendere l’aborto legale, certo, ma anche inaccessibile. Le condizioni che per anni hanno permesso alle donne italiane di abortire “liberamente” si basavano su un equilibrio fragile, che l’attuale governo di destra sta facilmente spezzando. Le limitazioni applicate alla legge negli ultimi anni sono possibili perché il testo stesso della legge le consente, persino la recente possibilità di aprire le porte dei consultori ad “enti del terzo settore”, già garantita all’interno della legge.
Il testo della 194 apre riconoscendo il valore della maternità e la tutela della vita e sottolinea come l’aborto non possa essere considerato come metodo di controllo delle nascite. Da nessuna parte si parla di garantire l’autodeterminazione delle donne riguardo il proprio corpo, tanto che la legge – fin dalla sua nascita – era stata duramente attaccata da alcune frange del movimento femminista italiano, che la trovavano manchevole e fallace – come in effetti si sta rivelando.
L’articolo 4 permette l’aborto entro i 90 giorni dal concepimento e la donna «che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie e malformazioni del concepito (…)».
La possibilità di abortire rimane quindi soggetta ad alcune condizioni. Ad esclusione delle motivazioni che riguardano la salute del feto o della donna, le condizioni psichiche ed economiche che possono portare una donna a non voler proseguire una gravidanza sono soggette a libera interpretazione. Ad esempio, ad una donna che voglia ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, pur disponendo delle possibilità fisiche ed economiche, potrebbe potenzialmente essere impedito di ricorrere all’IVG.
È proprio grazie alla struttura della legge che Giorgia Meloni può avvalersi di una retorica che parla di “diritto a non abortire”: Meloni non si scaglia mai direttamente contro l’aborto, ma sembra voler proporre soluzioni alternative alle donne in nome di quella famosa «tutela della maternità» con cui si apre il testo della legge 194.
Nonostante la retorica “pro maternità”, la vicinanza di Fratelli d’Italia con il movimento Pro Vita & Famiglia è nota, tanto che – con altri partiti di destra – hanno firmato la “Carta dei principi” dell’associazione, che parla di “contrastare l‘aborto” considerando l’inizio della vita dal concepimento. Solo ad ottobre scorso erano state presentate tre proposte di legge per riconoscere il feto come individuo giuridico, influenzate proprio da questa forma mentis: persino davanti a casi di efferati femminicidi come quello di Giulia Tramontano, incinta al settimo mese al momento dell’uccisione per mano del suo compagno, era giunta la proposta di condannare l’uomo per “duplice omicidio”, benché esista già un reato specifico per condannare chi provoca un aborto ad una persona incinta contro la sua volontà.
I finanziamenti alle associazioni antiabortiste e le annesse campagne che stigmatizzano l’aborto, contribuiscono a creare uno stigma sociale nei confornti delle persone che scelgono di abortire. Inoltre, come noto da anni, esiste una notevole difficoltà nel trovare strutture con personale non obiettore, come indicato dall’Unione Europea nella recente risoluzione: secondo la relazione del ministero della salute presentata nel 2022, il 64,6% dei ginecologi italiani era obiettore di coscienza nel 2020, un tasso in leggera diminuzione rispetto al 2019, mentre erano obiettori il 44,6% degli anestesisti e il 36,2% del personale non medico. Tutti questi ostalcoli sono i piccoli tasselli che rendono l’aborto entro i 90 giorni inaccessibile e, soprattutto, impossibile nelle strutture pubbliche che dovrebbero garantirlo, permettendo solo a donne privilegiate di esercitare questo diritto.
L’opposizione all’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, e alla distribuzione gratuita di contraccettivi, completano un quadro che rende sempre più difficile gestire la sessualità in modo consapevole, libero e sicuro, specialmente per le donne. E che – negli ultimi giorni di questo Parlamento europeo – si pone anche in aperto contrasto con la recente risoluzione.
Autori
Benedetta Di Placido
Vicedirettrice e responsabile editoriale
Romana naturalizzata milanese. Studio arti ma parlo troppo di politica, mi piace quando riesco a unire le due cose.