L’eccidio delle Foibe è uno degli eventi storici del nostro paese su cui, da sempre, c’è uno scontro ideologico che prescinde dalla ricostruzione storica. L’evento, intriso della sua tragica natura, tipica di ogni persecuzione violenta dell’uomo contro l’altro, viene annualmente privato della sua dignità. Ciò accade poiché il suo ruolo nella memoria collettiva è oggetto di contese tra fazioni opposte: con la violenza ideologica di schieramenti contrapposti che, al fine di ribadire la propria verità ipostatizzata, poco assimilabile a quella storica, finiscono per denigrarne il significato. Quest’ultimo dovrebbe essere, quanto più possibile, univoco in un contesto di dibattito democratico.
L’ultima manifestazione di questa dinamica è l’istituzione da parte del Governo Meloni, e del Ministro alla Cultura Sangiuliano, del Museo del Ricordo delle vittime delle foibe, a Roma [n.d.r: nel 2004 una legge istituì il 10 febbraio come giorno nazionale del ricordo]. Il Ministro commenta come «dovere storico» il ricordo delle tragedie di tutti i totalitarismi, allo stesso modo, il Presidente della regione Lazio Rocca lo ha considerato un «dovere morale».
Perché accade questo? È da considerarsi come un aspetto fisiologico di ogni contesa radicale, o come espressione della polarizzazione della politica che viviamo oggi, non più in grado di mediare e rappresentare una realtà condivisa?
Sicuramente una prima causa di tutto questo è, come sempre, che la complessità mal si abbina alla intelligibilità dei fenomeni quando questi sono visti più come armi per il proprio arsenale che come eventi da comprendere, soprattutto quando lo sfondo è la rapida violenza del dibattito da social. Allora, comprendere e far comprendere che le foibe sono solo il nome per descrivere la morfologia del Carso, e che in realtà gli eccidi si sono compiuti in massima parte con altre modalità, e che gli stessi sono avvenuti dopo un ventennio di italianizzazione forzata con annesse violenze di tutte le minoranze slave presenti sul territorio, diventa davvero complicato. Perché la verità storica e la sua dignità sono difficili da elaborare.
E chi vuole perorare una certa tesi per legittimare la propria ideologia come quella per cui: gli Italiani-brava-gente sono stati infoibati dai comunisti Titini, e quindi, il comunismo e le sue manifestazioni storiche sono peggio del fascismo, preferisce di gran lunga semplificare il complesso, e contribuisce a creare dei simboli da utilizzare come punteruoli contro chi la pensa diversamente. Ed è qui che muore la storia, e subentra il suo utilizzo retorico per rafforzare l’egemonia culturale di una fazione. È chiaro che lo “sfondo social” di tutto questo fa da cassa da risonanza di questi meccanismi e li rende quasi obbligati.
Più nel merito, chi è questa fazione? Si è detto che questa dinamica crea la polarizzazione, ma se questa potrebbe essere una regola, esistono le eccezioni: e l’eccezione in questo senso è che – e il fatto è piuttosto evidente – la destra italiana utilizza questo evento per tirare acqua al suo mulino in funzione apologetica verso un passato che non ha mai avuto il coraggio e la volontà di rinnegare chiaramente.
Non sembra esistere, invero, chi dall’altra parte difende strenuamente l’eccidio come una conseguenza giusta della storia, e invece si limita a dire che perlomeno è una conseguenza ovvia. Il regime Titino subito dopo la seconda guerra mondiale non era espressione di un totalitarismo – e le conferme sono che il comunismo jugoslavo non assomigliava e non andava d’accordo con quello sovietico, né allora né successivamente -, ma di qualcosa di assimilabile ad un movimento di liberazione nazionale, anche perché tutti gli slavi erano stati durante il ventennio, come già detto, forzatamente assimilati al popolo Italiano, violentemente.
Questo giustifica la reazione e l’eccidio? Una società democratica che ripudia la guerra potrebbe concludere che no, non lo giustifica, ma con il senno del poi non si è mai fatta la storia. Però oggi, lontani da quel momento buio, si potrebbe ricordare che da un lato questa tragedia ha coinvolto migliaia di connazionali, che sicuramente non erano interamente dei fascisti colonizzatori, e che si sono trovati a stare nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Inoltre, è necessario ricordare che la storia la fanno gli oppressi quando si liberano dalle catene, e non ci si può aspettare diversamente.
L’uso del condizionale è d’obbligo però, e con le bassezze (strumentali) del dibattito politico odierno non è una sorpresa. Quando si perde il senso di coesione e la coscienza di un paese, vince la retorica demagogica.
Autore
Federico Mastroianni
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Classe 2001, ma mi sento molto più vecchio. Studente di Giurisprudenza a Roma, aspirante giornalista (infatti mi piace molto scrivere), ma anche suonare la chitarra. E questo è quanto.