Mancano poche ore. Poi si chiuderà ufficialmente l’era Angela Merkel. In questi 16 anni di passione, la cancelliera ha recitato diverse “parti” ed è stata sempre al centro dell’Unione Europea. Nel 2011 era la dama dell’austerità, quella che aveva condannato la Grecia, insieme alla troika e al suo inseparabile “falco” Wolfgang Schauble. La donna dei “compiti a casa”, quella che si era presa la vendetta da Berlusconi («culona inchiavabile», l’aveva definita) con un sorrisetto e uno sguardo complice con Nicolas Sarkozy. Quella che aveva inserito nel nostro vocabolario quotidiano la parola spread.
Poi la svolta di Mutti nel 2015, che aveva scelto l’accoglienza dei profughi siriani, attirandosi odio in patria e ammirazione fra i progressisti europei. Nello stesso periodo, lo scontro sempre più forte con Alternative für Deutschland. La cancelliera aveva rifiutato qualsiasi tipo di alleanza, scontrandosi con i maggiorenti della CSU bavarese, già pronti per una svolta a Destra della Größekoalitionen. AfD che anche per questa scelta è in caduta libera nei sondaggi. La Merkel che diventa sempre di più il pilastro della stabilità europea, attirando verso di sè sempre più odio da parte dei partiti sovranisti. Inoltre, anche la rigida disciplina finanziaria tedesca ha iniziato a vacillare, con Berlino che ha accettato (non senza mugugni, talvolta) il «Whatever It Takes» di Mario Draghi.
Gli ultimi anni, però, sono quelli della stanchezza: una poltrona da cancelliere che pesa sempre più sulle spalle di Mutti. Il suo progetto di successione al femminile naufraga malamente, e l’anno scorso Annegret Kramp-Karrenbauer annuncia che non correrà per la cancelleria. Una scelta che comunque aveva molto poco riscaldato i cuori degli elettori e dei maggiorenti della CDU-CSU, fin dall’inizio. C’è la soddisfazione di aver portato Ursula Von Der Leyen alla guida della Commissione europea, ma anche la consapevolezza che in quel caso il pallino del gioco sia passato al suo “gemello” Emmanuel Macron. Anche la vittoria contro Martin Schültz (anche lui insultato pesantemente da Berlusconi, che lo aveva soprannominato «Kapò») era stata scontata, ma non particolarmente appagante, considerando la perdita di consensi e le difficoltà a governare.
«Non ce la farà», aveva detto il suo predecessore e padre politico Kohl, a cui Angela aveva soffiato la guida della CdU. Ce l’ha fatta per 16 anni, in un mondo che è radicalmente cambiato: dalla lotta ai cambiamenti climatici, allo spread, alla Brexit, il paesaggio politico pare irriconoscibile rispetto al 2005. Ad aver consumato Mutti è stata proprio la sua longevità politica: ci sono ragazzi che non ricordano nemmeno una Germania senza lei come primo ministro. È chiaro che il primo voto post-Merkel sia all’insegna del cambiamento. Ma non troppo.
Il clown, Il robot, la Verde e il tandem di Afd
Iniziamo da Armin Laschelt, il governatore del Nordreno-Westfalia, il Land più popoloso di Germania. È riuscito ad uscire indenne da una lotta durissima per confermare la linea della Merkel: prima all’interno della CdU, dove si è scontrato con il conservatore Friedrich Merz, il quale è l’unico politico che ha un posto assicurato nel governo tedesco, in caso di vittoria dei cristiano-democratici. In seguito ha dovuto anche sconfiggere il popolarissimo presidente della Baviera Markus Söder. Entrambi lamentavano uno spostamento della CdU a sinistra, chiedendo maggior cura rispetto ad un elettorato conservatore che meritava la fuga verso AfD. Una carriera di successo, potrebbe sembrare. In realtà, la sua carriera è stata fatta di alti e bassi. Oggi ha l’occasione della sua vita. Laschelt propone anche un’immagine “briosa” di sé, dopo anni di “ingessatura” merkeliana: l’anno scorso ha vinto, grazie al suo senso dell’humor, il premio “Ordine contro la terribile serietà”.
Non è però lui il favorito, non potrebbe esserlo: per ora c’è in prima linea la SpD, il partito socialdemocratico tedesco. Il centrosinistra non esprime un cancelliere dal 2005, sebbene poi la Merkel abbia sempre scelto la strada della grande coalizione. Ora però si volta pagina, e a provare il colpo grosso è il ministro delle finanze, Olaf Scholz. Umanamente è l’esatto contrario di Laschelt: quando gli è stato chiesto come mai non tentasse di essere un po’ più empatico cogli elettori, lui aveva risposto: «Devo fare il cancelliere, mica il direttore di un circo». Malgrado questo, bisogna riconoscergli una capacità fuori dal comune: dopo il disastro di Martin Schulz, con la CdU che aveva “scippato” ai socialdemocratici tutti i loro temi-chiave, Scholz è riuscito a mantenere i piedi per terra e rappresentare una continuità “umana” con Angela Merkel. Non è molto popolare, non è un candidato con chissà quale oratoria sconvolgente. Anche la base del partito, soprattutto quell’ala più a sinistra, non lo ama molto. Però è pur sempre il favorito.
Poi abbiamo Annalena Baerbock. In questo caso, a meno di sorprese ed exploit imprevisti, inizierà una resa dei conti all’interno dei Verdi. Questo perché l’onda verde sembrava inarrestabile: nel 2019 un trionfo alle europee, che li aveva portati al 20,50%. Da allora, però, il voto locale non li ha premiati particolarmente: ci ricordiamo la vittoria del Baden-Württemberg, che però fa il paio con una grande difficoltà a penetrare nella Germania Est e divisioni interne al partito che preoccupano sempre di più. Baerbock, ha dovuto affrontare tutta una serie di piccoli, ma importanti, scandali pre-elettorali, legati a dichiarazioni false sul proprio curriculum, ad accuse di plagio ad un libro dell’austriaco Stefan Weber, alla gestione di finanziamenti. Ad aprile il suo partito sfiorava il 30%, oggi è al 16. Esponente di un’ala centrista dei Verdi (ma comunque in ottimi rapporti con quella sinistra), sarà la più giovane candidata alla cancelleria della storia tedesca. Insieme al collega co-segretario Robert Habeck è stata il volto di tutti i successi dei Grüne negli ultimi anni. Poi però sono arrivati gli scandali: prima il curriculum “gonfiato”; poi i bonus natalizi per il suo partito, su cui le tasse sono state pagate in ritardo. Infine la polemica, gonfiata ad arte da siti di fake news d’estrema destra in Austria, rispetto alle accuse di plagio da parte dello scrittore austriaco Stefan Weber. Su di lei pesa anche l’incapacità di sfruttare le alluvioni dell’ultima estate come motore per ottenere consenso per il proprio partito. Il 16% che probabilmente otterrà sarà un raddoppio dei consensi rispetto al 2017. Ma sarà anche una grande occasione mancata, dopo il 30% di soli 5 mesi fa.
Malgrado le possibilità di vittoria sembrino poche, un discorso va fatto anche su Alice Weidel e Tino Chrupalla, i due rappresentanti dell’ala destra di AfD che corrono per la cancelleria. Weidel era già stata candidata nel 2017, mentre per Chrupalla è la prima volta. Si definiscono i volti nuovi della politica tedesca e sono gli unici sostenitori di un’ipotesi di “Dexit”, per evitare che «i nostri soldi vadano a finire tutti nei Paesi del Sud Europa». Un curriculum, quello della Weidel, particolare per una personalità “Anti-èlite”: si è formata fra il 2005 e il 2006 in Goldman Sachs, la stessa banca d’affari di un altro “ammiratore” di AfD come Steve Bannon. Successivamente ha lavorato per 6 anni nella Bank of China. In seguito ha lavorato anche per Allianz e Foodora. Attualmente vive con la sua compagna, originaria dello Sri Lanka, e due bambine. Ha fatto outing durante la campagna del 2017. Quando le si è fatto notare che il suo stile di vita era poco compatibile con un partito «difensore della famiglia tradizionale», ha risposto che «la vera minaccia per i diritti degli omosessuali viene dall’islam, non da un partito cristiano come il nostro». Si è permessa anche polemica contro la cosiddetta teoria del gender: «Di omosessualità si deve parlare fra le mura di casa, non a scuola». rispetto all’intero sistema politico tedesco, dicendo che il cambiamento climatico è una “Fantasia apocalittica”; parla di “trasformazione etnica” e di “rimpatriare gli afghani il prima possibile”. Ha anche collezionato parecchie gaffes: nel programma televisivo “Logo!” è stato intervistato da un dodicenne di nome Alexander. Alla richiesta di Chrupalla di “Più cultura tedesca nelle scuole”, il giovane intervistatore lo ha spiazzato, chiedendogli quale fosse la sua poesia preferita. Sembra difficile vedere un AfD trionfante a queste elezioni, però: si è creata una conventio ad excludendum intorno al partito. Un gran bel problema, in un Paese (come il nostro) in cui si governa solo in coalizione. Sembra anche poco probabile un AfD di nuovo terza forza del parlamento, sebbene sia meglio aspettare, prima di darli per morti
Malgrado ci siano i liberali e la sinistra di “Linke”, queste sono le forze principali in corsa. Anche se poi il 40% degli elettori sono indecisi. Perciò, le cifre che si leggono oggi (25% Scholz, 23% Laschelt, 16,5% Baerbock e 10% Weidel-Chrupalla) sono scritte sulla sabbia. Tutto può succedere sia al primo turno che al ballottaggio, quando gli elettori dei partiti perdenti si dovranno riposizionare. In ogni caso, pare difficile che qualcuno riesca a fare un monocolore o anche una coalizione ideologicamente omogenea. Perciò, è molto probabile che il grande vincitore di queste elezioni sarà, ancora una volta, la Großekoalitionen.
Annalena Baerbock Alice Weidel e Tino Chrupalla
Prima l’ambiente!
C’è un pilastro politico nel dibattito politico tedesco, a cui tutti i partiti tedeschi guardano: l’ambiente. Con l’eccezione di AfD (Chrupalla ha parlato di “Fantasia apocalittica” rispetto al climate change), lo scopo della Germania sembra essere la riconversione del sistema produttivo ed energetico tedesco. Perfino la Corte Costituzionale tedesca si è espressa a favore di un’accelerazione delle misure di lotta al cambiamento climatico, convinta che sacrificare parte del nostro stile di vita oggi eviti alle generazioni di domani sacrifici ben più grandi a livello di stile di vita e libertà personale.
Chiaramente, i più agguerriti su questo fronte sono i Verdi. Baerbock ha cercato di presentare il suo partito come l’unico vero “Partito del lavoro” tedesco, sottolineando come la ristrutturazione dell’industria tedesca non sia un freno all’economia della Germania, ma un volano e un’occasione per creare impiego. Ci sono poi proposte più concrete, come l’investimento nella mobilità elettrica. Inoltre, i Verdi puntano a una tassazione più forte sulle emissioni di CO2, con un calo delle stesse dal 55 al 70% rispetto a quelle del 1990; incentivi alla mobilità elettrica; ma anche un aumento netto degli investimenti sulla riconversione. C’è poi la proposta (condivisa con la SpD) di diminuire i limiti di velocità, in modo da calare le emissioni.
Per queste posizioni, però, Baerbock è stata ferocemente criticata: l’INSM, un think-thank neoliberale tedesco, l’ha raffigurata come Mosè che distribuisce le tavole della legge (un’iconografia al confine con l’antisemitismo, fra l’altro). Stefan Wolf, presidente dell’associazione di industrie metalmeccaniche Gesamtmetall l’ha accusata di promuovere una politica “socialista”, in cui lo Stato controlla la libertà dei cittadini. Appunto il programma troppo ambizioso potrebbe essere la tomba delle ambizioni dei Grüne: il Paese vuole cambiare, ma forse non in modo così radicale.
Con i socialisti ci sono molte convergenze, ma anche qualche motivo di attrito: i Verdi puntano allo smantellamento delle centrali a carbone entro il 2030, sebbene la Commissione dia tempo fino al 2038. Scholz invece preferisce aspettare quella data, convinto che un’accelerazione rischi di lasciare scoperto il Paese sul fronte energetico. Scopo di Scholz è portare il Paese al 100% di rinnovabili entro il 2040, investendo sull’idrogeno. Infine la SPD punta ad incentivare il trasporto su rotaia, a scapito di quello aereo. L’impressione è che il maggior punto di frizione coi Verdi siano i tempi e i costi di quella che da noi si chiama “transizione ecologica”, piuttosto che le proposte in sé.
CDU e CSU hanno sempre giocato sul loro pragmatismo ambientale per “disarmare” verdi e SPD. Laschelt sembra voler mantenere questa linea: chiede per il suo Paese maggiori investimenti sul fotovoltaico e sull’idrogeno, in modo da superare il carbone e arrivare alla neutralità climatica nel 2045. Per dismettere le centrali a carbone, l’unica data possibile per Laschelt è il 2038. Merz è più aperturista. In alcuni casi, però, si ha l’impressione che il programma ambientale dei cristiano-sociali sia un po’ vago.
Is austerity back?
Passiamo poi a qualcosa che sta molto a cuore anche a noi italiani: l’austerity europea. É innegabile che 5-6 anni di cordoni della borsa allentati abbiano fatto bene alle economie del Sud Europa, che sono l’anello debole dell’economia del Vecchio Continente.
Però bisogna sapere che non durerà per sempre, e che i tedeschi sono molto orgogliosi dei loro risultati economici. Certo, poi gli analisti economici sono divisi su questo tema: se l’ISPI pubblica un articolo dal titolo “Essere frugali: perché l’austerità tedesca non andrà mai fuori moda”, Euractiv sottolinea come soprattutto le forze di Sinistra spingano per una politica fiscale europea e un ulteriore allentamento dei cordoni della borsa, così da finanziare la politica ambientale. In prima linea su questo tema ci sono i Verdi, mentre la posizione della SpD è più problematica: Scholz si è detto contrario a nuovi sforamenti del rapporto deficit/PIL dello 0,35%; inoltre, si è detto favorevole al Next Generation EU, sebbene poi abbia insistito che sia un’eccezione, non la norma. Diversi commentatori politici, però, vedono nella sua posizione più una “posa” atta a salvaguardare le apparenze che una posizione politica vera e propria. Una posizione, in ogni caso, che è “aperturista”, rispetto al muro che ha dovuto fronteggiare la Grecia 10 anni fa.
Dall’altro lato troviamo in primo luogo AfD, il cui fondatore Bernd Lucke (poi fuoriuscito dal partito) ha fatto tremare tutta Europa con il suo ricorso contro la ratifica del Recovery Fund. Per un intero mese, in questo modo, la Corte Costituzionale ha bloccato l’entrata in vigore di uno strumento vitale per la sopravvivenza di moltissimi Stati europei. Senza però andare all’Estrema Destra, che ha poche possibilità di andare al governo, il programma di CDU-CSU è molto rigido sul tema fiscale. Si richiedono:
- Ripristino delle regole del Patto di Stabilità, con sanzioni certe per i Paesi europei che non riescono a tenere sotto controllo la spesa;
- Ristrutturazione del debito per i Paesi del Sud Europa
- Rifiuto di condivisione dei rischi a livello europeo e rifiuto alla creazione di un debito europeo
- Ritorno a logiche di consolidamento fiscale al più presto
- Una situazione non facile in primo luogo per il nostro Paese, che continua a vedere un aumento del debito monstre e una pandemia che fatica a indietreggiare.
What else?
Per quanto riguarda le questioni del lavoro, una delle proposte identitarie di SPD e Verdi è l’aumento del salario minimo, fino a 12€ all’ora. Inoltre, entrambi i partiti condividono un’impostazione fortemente europeista, anche se questo non è un punto dirimente nemmeno con la CDU.
Sulla politica da tenere con la Cina, si registra qualche attrito: nel confronto finale del 23 settembre, i Verdi so sono detti apertamente ostili a Pechino e Mosca, in virtù del mancato rispetto dei diritti umani. La SpD ha storici legami con Pechino, quindi è più prudente. La CDU, invece, parla di compromesso fra diritti e interessi tedeschi. Weidel invece, dall’alto della sua esperienza in Cina (parla anche mandarino), dice di preoccuparsi dei diritti umani in Germania.
Anche rispetto all’accoglienza, Verdi e SPD sono favorevoli all’accoglienza. Nello specifico, Scholz si é più volte speso in prima persona per mantenere la politica d’accoglienza merkeliana. Entrambi i partiti spingono per procedure più semplici per la naturalizzazione degli stranieri. La CDU si mantiene più guardinga, per una regolarizzazione dell’immigrazione, che però non si traduce per forza in misure restrittive. AfD, sempre un po’ “bastiancontraria” invece chiede una politica di respingimenti ai confini e di lotta all’immigrazione.
Sempre AfD è in linea con altri partiti sovranisti e populisti dell’Europa Orientale, proponendosi come Anti-èlite, anti-mascherine, anti-islam e anti-restrizioni.
E ora?
Angela Merkel è stata uno degli architravi della stabilità europea negli ultimi 10 anni. Un lavoro che l’ha consumata, psicologicamente e anche fisicamente. La “ragazzina” è ora una delle donne più potenti e note del mondo, ma il suo regno é al tramonto. Come dicono diversi commentatori, non ci sarà un vincitore a queste elezioni, quanto piuttosto un non-perdente. Tutti hanno fatto degli errori, alcuni continuano a farli (Scholz continua a perdere punti, a pochi giorni dalle elezioni), ma il fantasma di Angela continuerà ad aleggiare sul futuro cancelliere.
Ma non sarà solo un problema tedesco. Ora che Mutti è partita, chi erediterà il suo ruolo di “punto di riferimento di tutti gli europeisti”? Si potrebbe rispondere facilmente con Emmanuel Macron, forse il politico con cui ha avuto la maggiori affinità negli ultimi anni. Ma anche Macron è “in scadenza” e non sicuro di essere rieletto, con un tasso di popolarità sempre bassissimo. Per questo, il fantasma di Angela continuerà anche ad aleggiare sul continente europeo. Ci potrebbe essere Mario Draghi, ma non è a Palazzo Chigi per restare.
Sarà difficile rimpiazzare Angela Merkel, ma i presidenti passano (come è giusto in democrazia), mentre gli Stati e l’Unione europea restano. Forse a ereditare la leadership di Angela Merkel in Europa sarà un politico del parlamento europeo. Sarebbe una bella soddisfazione per Mutti, dopo un decennio “in trincea” in difesa dell’UE.
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Camillo Cantarano
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Amo il data journalism, la politica internazionale e quella romana, la storia. Odio scrivere bio(s) e aspettare l'autobus. Collaboro saltuariamente con i giornali, ma mooolto saltuariamente