Mentre Tea Hacic è in Italia per il book tour del suo primo romanzo Life of the Party (tradotto come L’anima della festa, edito da Fandango Libri), sul Corriere esce un articolo firmato da Beppe Severgnini dal titolo “Il ristorante elegante e l’influencer furiosa” che fa riferimento a un’esperienza che la scrittrice e attivista femminista ha vissuto poche settimane fa a Milano. L’articolo inizia così: «Una giovane influencer esce furibonda dal ristorante Bœucc, uno dei più antichi ed eleganti di Milano. Per cinque minuti, in mezzo alla strada, urla davanti allo smartphone: apre dicendo “Ciao, troie” e chiude con una bestemmia. Poi posta il video su Instagram. Il motivo di tanta signorile agitazione? Le hanno consegnato un menù senza prezzi, tradizionalmente riservato alle donne». Non benissimo, ma facciamo prima un passo indietro.
Quando tradizione fa rima con oppressione
Questa storia inizia nel ristorante più antico di Milano. Il cameriere porta al tavolo due menù: a lui viene dato quello con i prezzi, a lei quello senza. Lo chiamano “menù di cortesia” e quasi sempre viene dato alla donna. Quando Tea Hacic (che è quella lei) chiede il perché di questa distinzione e chiede di ricevere a sua volta il menù completo, le rispondono: «Questa è la tradizione». Lo racconta lei stessa su Instagram, commentando: «Il punto non è la tradizione ma l’accesso alle informazioni: se io non posso leggere cosa sto facendo, io mi sento un cittadino di seconda classe».
Il menù di cortesia (chiamato in inglese anche ladies menù) suscita polemiche ormai da alcuni anni. Non si tratta di galanteria, di cortesia e tanto meno di buon costume, è solo uno strumento per imporre (mantenere) una visione patriarcale e sessista dell’accesso ai fondi. In una società in cui il lavoro dovrebbe essere concepito quale diritto fondamentale per la realizzazione della persona, perché una donna dovrebbe essere esclusa dalla possibilità di pagare la propria cena? Perché il conto non dovrebbe essere un affare da donne? «Per questi uomini è più importante mantenere questa tradizione piuttosto che dare un menù a una donna. Questa tradizione è oppressione», aggiunge Tea Hacic.
Tantissimi ristoranti hanno eliminato questa usanza, altri no. E per questo è arrivato l’invito da parte di Tea Hacic alla sua community: scrivere al ristorante per chiedere che anche alle donne venga dato lo stesso menù che viene dato agli uomini. Nessun tentativo di boicottaggio, nessuna recensione negativa su TripAdvisor; solo la richiesta di cambiare il menù. Perché se è vero che una persona non può fare la differenza, è altrettanto vero che una comunità può. E qualche giorno dopo una ragazza le scrive per dirle che, andando a mangiare nello stesso ristorante, le hanno dato il menù con i prezzi.
Un articolo d’opinione ma senza opinioni
Ieri Beppe Severgnini, vicedirettore de Il Corriere della Sera, si esprime sulla vicenda: «Uno storico locale milanese contestato duramente su Instagram per una tradizione che la giovane cliente non condivide», recita l’occhiello del quotidiano. Il pezzo è corto ma denso di paternalismo.
Nell’articolo si racconta la storia di una giovane (e quindi inesperta) influencer(e quindi senza nessun altro titolo) eccessivamente agitata. Ma Tea Hacic, in realtà, non è – come scrive Beppe Severgnini – un’influencer. È una scrittrice affermata, un’attivista femminista seguitissima sulle piattaforme social, una podcaster di successo e una brillante stand-up comedian. È stata editorialista per Wired Italia e Vice, ha collaborato con i-D e Dazed, scrive per Wonderland Magazine e per Spike Art Magazine. Il suo primo romanzo sulla sua esperienza milanese è un successo editoriale che la vede impegnata in questi mesi in un book tour in giro per l’Italia e il suo podcast Troie Radicali è uno dei più ascoltati su Spotify Italia della sezione Commedia. E questo è solo una piccola parte del suo impegno. E la sua, a differenza di come vogliono raccontarcela, è la storia di una femminista giustamente incazzata.
L’articolo continua: «La signorina appare sopra le righe, diciamo. Ma proviamo a dimenticare il modo in cui ha detto le cose, e affrontiamo la questione che solleva. Questione doppia. La prima riguarda l’uso aggressivo dei social, ed è relativamente semplice. La seconda tocca il rapporto con le tradizioni, ed è più complessa». Effettivamente, la questione del rapporto con la tradizione è molto complessa e vale la pena analizzarne tutti gli aspetti, ma Beppe Severgnini non lo fa. Ci tiene a dire che lo è, ma non si prende la briga di dirci il perché o, peggio ancora, di cosa pensa lui di questo rapporto con le tradizioni. Senza contare che l’appello “è giusto perché s’è sempre fatto così” risulta una giustificazione fallace poiché priva di alcun sostegno argomentativo.
Torna in mente Pierre Bourdieu quando nel 1996, in una conferenza a Parigi, diceva che i media amano «attirare l’attenzione su fatti che non devono turbare nessuno, non sono oggetto di controversia, non dividono, suscitano il consenso, interessano tutti, ma in modo tale da non toccare nulla di importante», su fatti che «interessano tutti senza preoccupare nessuno». Sarà per questo che Beppe Severgnini lascia cadere subito il discorso sul rapporto con la tradizione – in questo caso una tradizione sessista – per rivolgersi verso altro? Conclude con: «La tradizione è oppressione? Talvolta, ma non sempre». Non vuole dirci altro in quello che viene definito un “articolo d’opinione”.
Fa più scandalo una bestemmia o una tradizione sessista?
Beppe Severgnini probabilmente non sa nulla delle Troie Radicali e non sa nulla del personaggio che Tea Hacic porta sui social. Quello di Tea Hacic è un femminismo personale, plasmato su un umorismo scorretto e comunicato da un personaggio empowered e senza filtri. Quello delle Troie Radicali non è un Instagram joke ma un vero e proprio movimento: «Io dico “Ciao Troie” perché il mio è un femminism movement di donne marginalizzate che vogliono combattere questo sistema oppressivo che include il non essere trattata nello stesso modo di un uomo al ristorante. Io dico “Ciao Troie” perché voglio che le donne possano usare liberamente le parole che gli uomini usano contro di noi», dice in un suo video. La risemantizzazione del termine troia è il primo (ma non unico) strumento che Tea Hacic utilizza per scardinare le oppressioni di genere.
La questione della bestemmia sembra preoccupare Beppe Severgnini più di ogni altra cosa e il giornalista la usa come arma per screditare le tesi di Tea Hacic. Perché è turbato più da una bestemmia che una donna dice nel suo profilo personale che da una tradizione patriarcale così anacronistica?
«Io bestemmio perché la Chiesa non ha mai rispettato le donne o le persone queer; quindi, perché io devo rispettare la Chiesa?» dice Tea Hacic in un video pubblicato sul suo profilo Instagram in cui parla proprio dell’articolo del Corriere.
Quello di Beppe Severgnini è il tentativo di sminuire una battaglia che abbiamo il dovere di portare avanti. Eppure, vorrebbe sminuire la stessa battaglia, ma senza addentrarcisi, dall’alto di una presunta “voce fuori campo”, patriarcale, superiore, assegnata a sé da sé stesso. È, poi, anche il risultato di un giornalismo pigro e annoiato, che preferisce farci una morale prima ancora di informarsi. Sapere di chi si sta parlando con coscienza di causa non è solo un esempio di correttezza ma anche la base del mestiere. Questa paternale, quindi, poteva risparmiarcela non solo perché tale, ma anche perché piena di ignoranza.
L’articolo si conclude così: «Sono stato tentato di indicare il nome della influencer. Ma ho deciso di non farlo, per il suo bene». Una scelta, quella di non fare il nome della protagonista dell’episodio, quando quello del ristorante – insieme alla sua storia – è più che messo in mostra, perfettamente coerente con la storia. Perché a una donna si può negare il prezzo e il nome.
Io almeno sto provando, in modi piccoli o grandi, di cambiare le cose. Tu cosa stai facendo?
Tea Hacic
Autore
Nasco a Roma e mi piace tutto (andare in bicicletta, la musica, i miei jeans, il pollo al forno, paul mescal, scrivere con la penna, just kids di patty smith, le città, i cowboy) tranne la maionese