Quando il rinomato chef italiano Gualtiero Marchesi – primo in Italia a ottenere una stella Michelin nel 1977 – affermava che “la cucina, vissuta nelle sue espressioni più vere è, malgrado il suo carattere frivolo, un affare terribilmente serio”, stava legittimando la pratica culinaria attraverso una narrazione che le conferisse “quel po’ di virilità, di composizione e di leggerezza in più rispetto alle sue origini matriarcali” per dirla con le sue parole.
In fin dei conti quando ci troviamo di fronte a una pratica a cui le donne sono state costrette dal sistema patriarcale fino a diventarne proverbiali depositarie, ci si sente quasi in dovere di giustificarne la serietà per non scadere nella frivolezza delle azioni delle donne. Quella stessa frivolezza riservata alle loro parole che spesso riassumiamo con un unico termine ombrello: gossip.
Nell’immaginario collettivo questa parola evoca scenari ben precisi: gruppi di donne che si ritrovano tra loro – magari per un aperitivo o a casa tra amiche – per parlare di questioni frivole, superficiali, anche un po’ brutali se vogliamo. D’altronde fare gossip (oggi) vuol dire spettegolare, farsi gli affari altrui, parlare alle spalle di qualcun altro. Ed è prettamente qualcosa che fanno le donne. Sebbene questa parola sia stata effettivamente plasmata sulla base dei ruoli sociali femminili, il suo significato ha subito un mutamento voluto e mirato a limitare la credibilità delle parole delle donne.
Qual è la storia dietro questa parola dalla semantica così evocativa e immediata? Cosa si nasconde dietro la volontà dei potenti di cambiare significato alle parole?
La parola gossip deriva dall’antico inglese godsibb ‘padrino o madrina’, composto di god ‘dio’ e sibb ‘affine, simile’. Intorno al XIV secolo il termine in questione ha esteso il suo significato a ‘conoscente intimə, amicə, vicinə’, soprattutto rivolto alle donne invitate ad assistere e aiutare in casa durante il parto; come accade naturalmente nello sviluppo delle lingue, la parola gossip ha poi generalizzato il proprio valore semantico indicando ‘chiunque fosse coinvolto in conversazioni familiari o disimpegnate’, in virtù della relazione intima definita originariamente da questo termine.
Le donne che si trovavano costrette in casa per svolgere mansioni di cura o per assistersi l’un l’altra durante la gravidanza e il travaglio divenivano confidenti con cui condividere conoscenze, opinioni, pratiche mediche e racconti. Come osserva Silvia Federici nella sua raccolta di saggi Caccia alle streghe, guerra alle donne, il termine gossip sviluppa presto il significato specifico di ‘amica intima’, ‘confidente’ con una connotazione prettamente femminile e affettiva.
Nell’Inghilterra premoderna le «gossips», infatti, erano le compagne con cui le donne condividevano lavoro, spazi domestici, confidenze, conoscenze tramandate e momenti di svago lontano dalla vita familiare. Nel XV secolo in Inghilterra, prima dell’avvento delle enclosures ossia le recinzioni dei terreni comuni ad opera della nobiltà e della borghesia inglese, le donne lavoravano e svolgevano attività indipendenti. Come sottolinea Federici: è proprio in concomitanza con le recinzioni delle terre comuni, la loro privatizzazione e l’esproprio di contadini e contadine che l’autonomia e la condizione delle donne cominciò a peggiorare e, se è vero che il linguaggio rappresenta l’archeologia del nostro pensiero, il progressivo mutamento semantico della parola gossip ne è la dimostrazione.
Nello stesso periodo, infatti, come conseguenza dell’abitudine delle donne di media e bassa estrazione sociale di riunirsi durante il tempo libero nelle taverne, gli uomini cominciarono a mettere in scena drammi liturgici o mystery play finalizzati a deridere e denigrare i comportamenti delle donne impegnate in “futili chiacchiere” nelle taverne con le proprie «gossips» piuttosto che in compagnia dei propri mariti. Come spiega Federici nel saggio citato, queste operette teatrali di carattere pedagogico erano finanziate dalle gilde o corporazioni delle arti e dei mestieri con l’intento di escludere le donne da qualsiasi associazione di carattere lavorativo, rendendole così delle reiette sociali confinate esclusivamente al lavoro e al ruolo domestico. Come afferma l’antropologa Giulia Paganelli nella sua newsletter Bolena, infatti, «l’aggregazione femminile in specifici spazi sociali è una conseguenza del sistema patriarcale, non una decisione spontanea. Le donne condividono gli spazi per alcune ragioni, la prima è che inevitabilmente si ritrovano negli stessi essendo pochissimi quelli che possono abitare. […] se le donne sono tutte nello stesso luogo, per la società – intesa come comunità, villaggio, struttura di potere – è molto più facile controllarle».
La coercizione e la canonizzazione di un nuovo sistema socio-familiare che ruota attorno al pater familias come unica figura sociale (e giuridica) di riferimento, insieme alla privatizzazione delle terre comuni e alla limitazione dell’autonomia socioeconomica e affettiva delle donne, sanciva gli albori di un’ancora embrionale società borghese e capitalista.
A questo punto, intorno al XVI secolo, il significato della parola gossip assume un valore esplicitamente dispregiativo e critico nei confronti delle donne, divenute bersaglio di una propaganda misogina e svilente volta a ridimensionare e a definire il loro ruolo nella nuova società borghese. Le donne indipendenti che rivendicavano il diritto al proprio tempo e alla propria autonomia venivano ormai dipinte come bisbetiche perdigiorno o dominatrici pronte a spodestare i loro mariti. Più le corporazioni di soli uomini acquisivano potere, più la libertà di associazione tra donne veniva limitata sia dalla legge che dalla Chiesa: alle donne, infatti, veniva impedito di aggregarsi e di parlare tra loro, colei che sovvertiva il nuovo status quo veniva torturata, esclusa e accusata di stregoneria.
Di conseguenza, molte di esse iniziarono a rivoltarsi le une contro le altre accusandosi reciprocamente di stregoneria, ormai vittime di una cultura dell’intimazione che le avrebbe escluse definitivamente dal dibattito economico, politico e culturale per almeno quattro secoli a venire, compromettendo le amicizie e le reti sociali femminili.
La parola gossip non era più soltanto un modo dispregiativo usato dagli uomini per riferirsi ironicamente ai gruppi di donne riunite nelle taverne, ma cominciava ad assumere toni piuttosto violenti: la gossip bridle ‘briglia della comare’, ad esempio, era uno strumento di tortura utilizzato per zittire e soggiogare le donne che non sottostavano ai ruoli per loro stabili dal nuovo assetto sociale. Si trattava di una sorta di museruola in ferro e cuoio dotata di una morsa che lacerava la lingua al minimo movimento.

Quel gossip che originariamente indicava una relazione socio-affettiva (l’amicizia tra donne), muta velocemente fino a riferirsi a una specifica categoria dispregiativa (le donne impegnate in futili chiacchiere) per arrivare, infine, a indicare il prodotto inutile e superficiale che nasce dall’incontro fra donne: il pettegolezzo come lo intendiamo oggi.
Come abbiamo visto, risemantizzare una parola vuol dire cambiarne il significato, e siccome parlare è il più rapido e potente atto di persuasione di massa di cui dispone il genere umano, quando una parola assume un nuovo significato spesso il motivo è politico.
L’annientamento del potere socioeconomico delle donne, anche attraverso il controllo della narrazione, continua a rappresentare ancora oggi il modo in cui le classi dominanti – in questo caso gli uomini – conservano i propri privilegi.
Il risultato di questa manipolazione linguistica è stato compromettere per sempre la credibilità delle donne e la loro libertà di aggregazione. Come riflette Federici riguardo all’espediente della caccia alle streghe tra il XVI e il XVII secolo, infatti, «la posta in gioco era distruggere […] un intero universo di relazioni che erano alla base del potere sociale delle donne, nonché un vasto patrimonio di conoscenze trasmesse di madre in figlia attraverso le generazioni: conoscenze riguardanti l’uso delle erbe, dei mezzi utili per la contraccezione o l’aborto». Tutto quel patrimonio culturale e scientifico di cui le donne, come gruppo sociale, sono state depositarie nei secoli è stato spazzato via, ridefinito, occultato e denigrato a danno dell’intera società odierna. La percezione di tutto quello che le donne fanno e dicono stando insieme è stata manipolata da una ben precisa narrazione che aveva come scopo quello di delegittimare il pensiero delle donne.
Come diceva già nel 1929 Virginia Woolf nel saggio Una stanza tutta per sé, – tornando all’affermazione di Marchesi in apertura – sono gli uomini che hanno stabilito cosa fosse «un affare serio» degno di essere discusso e studiato, dal calcio alle automobili, tutto il resto è gossip.
Autore
Elena Tronti
Autrice
Nata nel 1998, laureata in Linguistica. Amo i boschi e guardare film. Credo ancora che parlare sia l’atto più rivoluzionario di cui siamo capaci. Parlare di femminismo ancora di più.