Quando Cuba si risvegliò comunista

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Parlare di Fidel Castro significa scomodare uno dei personaggi più iconici del Novecento. Fu, infatti, un grande protagonista della Guerra Fredda, schierandosi – anche se non immediatamente – dalla parte dell’Urss. Lo stesso storico Eric J. Hobsbawm, all’alba della Rivoluzione del ‘59, lo definisce un personaggio sicuramente carismatico i cui slogan, però, «per quanto ammirevoli, mancavano di ogni precisa connotazione ideologica».

L’immediata attrazione che i cubani provarono nei confronti di Castro, va ricercata nella sua inedita capacità di entrare in empatia con una popolazione che non era affatto felice del regime Batista. È ormai nota a tutto il mondo la sua tendenza a svolgere discorsi in piazza che si prolungavano per ore, con la classica divisa mimetica e una retorica che esaltava le folle.

Vale la pena, dunque, ripercorrere per sommi capi il percorso che portò Castro a collocarsi nell’emisfero comunista della Guerra Fredda, in questo 16 febbraio in cui venne nominato Primo Ministro di Cuba e, dunque, risultò definitivamente il più grande erede della rivoluzione conclusasi un mese prima.

Un passo indietro: il «Movimento 26 luglio»

L’arresto di Castro nel 1953 dopo il tentativo di rivoluzione. In occasione del processo, pronunciò una frase che nessuno avrebbe più dimenticato: «Condannatemi, non importa. La storia mi assolverà.»

Ad ogni modo, prima di parlare della connotazione ideologica che prese Cuba negli anni ’60, va fatto un passo indietro per coinvolgere, in questo breve racconto, l’altro protagonista del periodo: Ernesto Guevara.

Castro fece un primo tentativo di rivoluzione nel 1953, precisamente il 26 luglio: attaccò la Caserma Monacada ma il tentativo fu un fallimento. Fu perciò arrestato ma liberato nel 1955, durante un’amnistia. Fu in questo momento che conobbe il Che, un medico argentino con notevoli doti da capo guerrigliero.

Insieme progettarono la seconda rivoluzione: furono i principali protagonisti del Movimento 26 luglio e, ripiegando sui monti della Sierra Maestra, cercarono una clandestina adesione popolare, e arrivarono, il 30 dicembre 1958, alla decisiva battaglia di Santa Clara che portò l’esercito rivoluzionario alla vittoria. La notte di Capodanno, Fulgencio Batista fuggì e, qualche giorno dopo, precisamente l’8 gennaio, le forze rivoluzionarie entrarono a L’Avana.

Vanno comunque fatte almeno due annotazioni: la vittoria di Castro fu data sì dall’abilità sua e del Che di mobilitare un popolo scontento, ma il regime di Batista poteva davvero considerarsi fragile e con pochissimo consenso alla base. La capacità dei due protagonisti, innalzati poi a figure mitologiche anche nel resto d’Europa che votava a sinistra, grazie alle foto di grande impatto emotivo di Alberto Korda, fu proprio quella di saper intercettare un diffuso malumore popolare ed inserirlo all’interno di un unico movimento armato e rivoluzionario. E che di fatto conquistò il potere alla fine della guerra.

L’altra annotazione riguarda invece le sorti di coloro che erano fedeli a Batista: la violazione dei diritti umani è uno dei cardini su cui si articola il fronte dei critici del governo di Castro, che infatti, soprattutto nel primo periodo della rivoluzione, uccise e imprigionò sistematicamente tutti i seguaci del vecchio regime.

Scegliere chi non essere: l’anti-imperialismo come ideologia principale

Nei nuovi campi di battaglia porterò la fede che mi hai inculcato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo, la sensazione di compiere il più sacro dei doveri: lottare contro l’imperialismo ovunque esso sia; questo cura qualsiasi abbandono.

Lettera del Che a Castro, 1965
I due principali protagonisti della Rivoluzione cubana

Inizialmente gli Stati Uniti non boicottarono la rivoluzione. Avevano addirittura riconosciuto il nuovo governo, ma quando Castro propose la riforma agraria, volta a tutelare le coltivazioni della canna da zucchero, gli Usa iniziarono ad essere ostili.

Nelle prime fasi della rivoluzione Castro non era dunque immediatamente riconoscibile come comunista, tanto che, inizialmente, i rapporti tra lui e il Partito comunista cubano erano piuttosto freddi. Furono determinati fattori esterni che li portarono a convergere.

La tensione anticomunista negli USA era fortissima nei primi anni ’50, incarnata dalla figura di Joseph McCarthy. Quindi, la lotta all’imperialismo che era sempre stata presente nelle idee dei rivoluzionari cubani, nell’ottica americana spingeva i ribelli automaticamente nella zona d’influenza rossa. Nel ’61 gli americani provarono a rovesciare il governo del nuovo nemico, attraverso l’invasione della Baia dei Porci che, però, si risolse in un fallimento. Più in generale, negli anni successivi, si stima che gli americani tentarono di uccidere Castro 638 volte.

Chi avrebbe potuto aiutare Castro, se non l’eterno nemico degli Usa? Rivolgersi all’Urss, dunque, fu la scelta più ragionevole per la sopravvivenza del suo governo. Questo triangolo tra Cuba, Urss e Usa raggiunse il picco di tensione con la Crisi missilistica del 1962. 

L’adesione di Castro all’Urss fu perciò un metodo (forse l’unico?) valido per aggirare l’embargo imposto dagli Usa, ma comportò la costruzione di un modello simile a quello sovietico: economia centralizzata, partito unico e protagonismo assoluto del segretario del partito. Tutto ciò condusse a un punto di non ritorno: l’adesione definitiva di Cuba al comunismo.

Autore

Francesco, laureato in Lettere, attualmente studio scienze dell'informazione, della comunicazione e dell'editoria. Approfitto di questo spazio per parlare di politica e di dinamiche sociali. Qual è la cosa più difficile da fare quando si collabora con un magazine? Scrivere la bio.

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