L’ambiguità della destra italiana sull’antimafia. L’appropriazione della figura di Borsellino non può cancellare 30 anni di berlusconismo

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Prendi dimestichezza con il pensiero che per noi la morte non è nulla, perché tutto il bene e tutto il male risiedono nella sensazione, e la morte è privazione della sensazione. 

Intorno al 291 a.C. Epicuro è un filosofo di 50 anni che da 20 anni ha aperto la sua prima scuola di filosofia e in quel momento scrive una lettera sulla felicità al suo discepolo e amico Meneceo. È la lettera sulla felicità ed il tema della morte è centrale. Affrontare la morte in modo epicureo vuol dire non temere un qualcosa di ineluttabile, distinguendo però la morte dal suicidio per giusta causa o per necessità. 

Nel 19 Luglio del 1992 Paolo Borsellino muore a via D’Amelio.

Paolo Borsellino non ha cercato la morte, e non cercò neanche la fama. Il 12 gennaio 1987, in risposta al noto articolo di Leonardo Sciascia “Sui Professionisti dell’antimafia”, scrisse sul Giornale di Sicilia come «non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. Ci sono entrato per caso e poi ci sono rimasto per un problema morale. La gente mi moriva attorno». E dopo la morte del suo compagno e collega Giovanni Falcone sapeva di essere più solo. Come dichiarò a Giuseppe Ayala, pubblico ministero del primo Maxiprocesso di Palermo, pochi giorni prima della tragedia «Giuseppe, non posso lavorare meno. Mi resta poco tempo». La moglie Agnese Borsellino rivelò «Paolo cominciò a morire quando morì Giovanni, come due canarini che difficilmente sopravvivono a lungo l’uno alla morte dell’altro».

Come ogni martire la sua data è diventata simbolo di ricordo e di riflessione, che nel governo e nella politica di destra italiana è sempre più centrale. Giorgia Meloni, attuale Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, in un tweet proprio per il compleanno di Paolo Borsellino ha scritto come «È per lui che iniziai a fare politica ed è nel suo nome, e nel nome di tutti coloro che hanno sacrificato la vita per combattere la criminalità organizzata, che prosegue il nostro impegno nella lotta alla mafia, giorno dopo giorno».

La necessità di riferimenti culturali e la volontà di appropriarsi la tematica dell’antimafia, dovuta ad una sinistra spesso timida sul tema, da parte delle attuali forze di destra nel nostro non è priva di ambiguità. Sia nella destra passata, come il MSI e l’ala conservatrice della DC, che in quella attuale post Seconda Repubblica, come Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, vi è un doppio standard rispetto alla lotta alla criminalità organizzata: non nei modi ma nella sostanza rispetto ad alleanze, soggetti istituzionali e politici che passeranno alla storia come collusi con Cosa Nostra, Camorra e non solo.

Perché Borsellino era un uomo di destra, ma è stato un simbolo per chiunque si rivede in una lotta alla criminalità organizzata basata su un senso di legalità e di giustizia diverso rispetto alle trittico di partiti che oggi forma la maggioranza di parlamento.

Paolo Borsellino era una persona politica.

Ne deriva che il giusto pensiero che per noi la morte non è nulla fa sì che sia una cosa piacevole la mortalità della vita, non aggiungendo tempo infinito, ma togliendo il desiderio dell’immortalità. 

Contro un grande nemico come era, ed è, Cosa Nostra bisognava agire di squadra ed il Pool Antimafia questo era. Una squadra che aveva anime politiche diverse al suo interno, che arricchirono non solo l’operato di quel gruppo di magistrati e giudici, ma anche lasciato un’eredità su cui riflettere.

Giuseppe di Lello, uno dei giudici istruttori, era di matrice comunista e venne eletto dal Partito di Rifondazione Comunista come Europarlamentare prima e parlamentare poi nei primi anni 2000. Giovanni Falcone si espresse vicino al Comunismo di Berlinguer nel 1976 e poi alla visione socialista di Craxi e Martelli. Paolo Borsellino invece era un vero e proprio militante, fin da giovane, dei movimenti di destra della Prima Repubblica. Spesso Falcone scherzava con il suo compagno di carte giudiziarie chiamandolo “camerata”, e lui rispondeva di professarsi come un monarchico.

Un giovane Borsellino universitario, precisamente nel 1959, si iscrisse al FUAN. Il FUAN (Fronte Universitario d’Azione Nazionale) era la giovanile universitaria nel periodo dal 1950 al 1996 di riferimento del MSI. Sì, il Movimento Sociale Italiano. Borsellino in questa giovanile fa carriera politica, diventa rappresentante e rimarrà sempre legato al mondo della destra della prima repubblica anche nella sua eccellente carriera giudiziaria.

Nel 1990, due anni prima della sua morte, parteciperà alla festiva nazionale del Fronte della Gioventù e lancerà un appello che pur essendo rivolto a quelli che de facto erano giovani missini è un inno per tutti i giovani che fanno politica e credono in dei ideali: «Potrei anche morire da un momento all’altro, ma morirò sereno pensando che resteranno giovani come voi a difendere le idee in cui credono: ecco, in quel caso non sarò morto invano».

Da sinistra: Adolfo Urso, Paolo Borsellino, Giuseppe Tricoli, Gianni Alemanno, Fabio Granata, Angelo Sicali

Il 1992 è un anno caldo, e che diventerà caldissimo. Caldo per le elezioni del presidente della Repubblica, caldissimo per le morti di mafia. Ma tra loro la correlazione: Borsellino è stato insignito come possibile candidato alla carica più elevata dell’apparato statale italiano, ovvero la Presidenza della Repubblica. Da chi? Giancarlo Fini, deputato, segretario del MSI, fondatore e presidente della futura Alleanza Nazionale. Paolo Borsellino prenderà 47 voti in uno dei scrutini, ma a diventare presidente della repubblica al 16esimo scrutinio, dopo la strage di capaci, sarà Oscar Luigi Scalfaro. 

Paolo Borsellino era quindi un uomo conservatore, monarchico e fortemente impiantato nel sistema politico italiano e comprese che solo attraverso alleati democratici e uomini di stato c’era la possibilità di combattere la criminalità organizzata. Perché il potere, tanto quello mafioso, non si fa problemi sulla fede politica. La differenza è una: stai con lui o contro di lui. E Paolo pagò con la vita la sua nettezza rispetto a che parte della storia schierarsi.

Il peso di una forte eredità, anche per mancanza di egemonia culturale.

Non c’è, infatti, niente di temibile nel vivere per chi è profondamente convinto che non c’è niente di temibile nel non vivere, cosicché è sciocco chi dice di temere la morte non perché sia dolorosa quando c’è, ma perché addolora quando deve ancora venire; 

In un contesto politico dove la lotta alla criminalità organizzata non è più al centro della violenza dialettica e parlamentare, si va ad unire l’antimafia alle tematiche della sicurezza e dell’immigrazione.

Questa commistione tra tre grandi temi trova le radici sia nell’affermarsi sul suolo nazionale di gruppi criminali come i cults nigeriani, la mafia albanese e la salita soprattutto nella zona di Roma e del Lazio della criminalità legata alle comunità sinti-rom, dai Casamonica verso la famiglia di Silvio ed altre cosche che sono sempre più padroni del commercio di sostanze narcotiche, della tratta di esseri umani e della prostituzione. Da qui il connubio tra il tema della sicurezza, argomento identitario per la destra di governo, e la lotta alla criminalità organizzata. La stessa PM Giorgia Meloni, in varie conferenze stampa e attraverso l’uso dei suoi mezzi di comunicazioni social, ha posto come focus dell’attività di governo quello della caccia agli scafisti «su tutto il globo terracqueo». E se è vero che gli scafisti sono legati a gruppi paramilitari che con metodi mafiosi se ne approfittano di chi vuole venire in Europa attraversando il Mediterraneo, questo modo di concepire l’antimafia non solo è lontano da quello che voleva fare il Pool durante il Maxiprocesso, ma per i risultati che porta è inefficiente. 

Follow the Money, diceva Falcone. Seguire I soldi, e quindi comprendere come l’economia si fonda e si basa sul riciclaggio di denaro delle cosche criminali. Denaro che proviene dal narcotraffico e dalle varie attività illecite che sono note.

Un’eredità veramente pesante che Fratelli d’Italia ha cercato e tuttora prova a raccogliere, sia per mancanza di egemonia culturale in questo paese ma anche per appropriarsi di un tema, quello della lotta alla criminalità organizzata, che la sinistra in questi ultimi anni ha messo da parte.

L’ironia della storia vuole però che le nostre forze di destra al governo siano state formate, create e sviluppate da alcune personalità che con la criminalità organizzata non solo hanno auto rapporti ma che, carte processuali e non solo alla mano, hanno deciso spudoratamente di favorire a discapito della collettività. 

Trattativa Stato-Mafia, legami con i Casalesi ed altro ancora in casa Forza Italia.

In effetti ciò che, presente, non dà turbamento, non è ragionevole che provochi dolore quando lo si aspetta. Il più tremendo dei mali dunque, la morte, per noi non è nulla, dal momento che quando ci siamo noi la morte non c’è e quando c’è la morte non ci siamo noi. 

Marcello dell’Utri e Nicola Cosentino. Il primo è uno dei fondatori di Forza Italia con Silvio Berlusconi, deputato per la XIII legislatura e senatore per la XIV-XV-XVI legislatura, europarlamentare dal 1999 al 2004. Il secondo ex sottosegretario al Ministero dell’economia dal 2008 al 2010 e deputato ininterrottamente sempre in quota Berlusconi dal 1996 al 2013.

Due dei massimi esponenti di Forza Italia, partito egemone nell’area di destra (con fasi altalenanti) per tutta la seconda repubblica e già fortemente influenti nella prima, sono stati accusati e condannati proprio per avere collaborato con la criminalità organizzata, in modalità diverse e con gruppi diversi.

Nicola Cosentino è il caso meno noto tra i due, ma non per questo meno rilevante. E bisogna partire da una persona: Carmine Schiavone. Carmine Schiavone è stato una delle più importanti figure del Clan dei Casalesi, gruppo camorristico di primo rilievo sul territorio campano e non solo, e poi collaboratore di giustizia. Secondo dichiarazioni che per la giustizia sono state poi tacciate come “false”, Cosentino e Schiavone si conoscevano, hanno avuto rapporti e lo stesso Schiavone ha aiutato Cosentino nella sua elezione in parlamento. Frasi che avrebbero scosso un qualsiasi paese civile, ma non il nostro.

Il terremoto per Nicola Cosentino arriverà, ma solamente nel settembre del 2008. Sarà l’inizio delle accuse, dei svolgimenti giudiziari e della condanna arrivata solamente il 26 aprile del 2023 nei suoi confronti per 10 anni per concorso esterno in associazione camorristica. Il mandato di cattura descrive come 

Cosentino contribuiva con continuità e stabilità, sin dagli anni ’90, a rafforzare vertici e attività del gruppo camorrista che faceva capo alle famiglie Bidognetti e Schiavone, dal quale sodalizio riceveva puntuale sostegno elettorale creando e cogestendo monopoli d’impresa in attività controllate dalle famiglie mafiose, quali l’Eco4 S.P.A. , e nella quale Cosentino esercitava il reale potere direttivo e di gestione, consentendo lo stabile reimpiego dei proventi illeciti, sfruttando dette attività di impresa per scopi elettorali.

Per uno dei fondatori di Forza Italia, Marcello dell’Utri, la Corte d’assise di Palermo, il 19 luglio del 2018 nella prima fase di giudizio del processo rispetto trattativa Stato-Mafia ha scritto fiumi di pagine, per la precisione 5252. Provando a riassumere il contenuto, anche attraverso alla lente fornita dal magistrato Nino di Matteo:

  • il reato di minaccia corpo politico dello Stato (da parte di cosa nostra) si è consumato anche nei confronti del primo governo Berlusconi.cioè occasione della formazione del partito Forza Italia maturò in cosa nostra (tanto nell’ala facente capo agli alleati di Riina quanto all’ala contrapposta facente capo a Provenzano) la decisione di appoggiare il partito appena costituito nella precisa convinzione che, grazie al canale diretto con il suo fondatore Silvio Berlusconi, garantito dagli ampiamente sperimentati rapporti con Marcello dell’Utri, si sarebbero potuti ottenere benefici per i quali tutte le organizzazioni si era impegnato a scene del 1992;
  • il fatto che Berlusconi fosse stato sempre messo a conoscenza di tali rapporti e in contestata abilmente dimostrato dall’esborso da parte delle società facenti capo a Berlusconi di ingenti somme di denaro.

La corte d’Assise di Palermo condannerà dell’Utri ad una reclusione in carcere per 28 anni.
L’appello e il ricorso in Cassazione invece ribalteranno la sentenza, dichiarando come dell’Urti, e gli ufficiali del Ros che parteciparono alla Trattativa, non commisero reato e la confermata assoluzione. Nino di Matteo, insieme a Saverio Lodato nei libri Il Patto Sporco e il Colpo di Spugna, dimostra però una criticità sostanziale: come può uno Stato condannare sé stesso per avere collaborato con Cosa Nostra durante l’epoca stragista degli anni ’90 proprio per sovvertire lo Stato?

Nel 2013 Marcello Dell’Utri verrà condannato, per sette anni di reclusione, in un altro processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel testo della sentenza si legge: 

La pluralità dell’attività posta in essere da Dell’Utri, per la rilevanza causale espressa, ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa nostra, alla quale è stata, tra l’altro offerta l’opportunità, sempre con la mediazione di Dell’Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell’economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che politici….Vi è la prova che Dell’Utri aveva promesso alla mafia precisi vantaggi in campo politico e, di contro, vi è la prova che la mafia, in esecuzione di quella promessa, si era vieppiù orientata a votare per Forza Italia nella prima competizione elettorale utile e, ancora dopo, si era impegnata a sostenere elettoralmente l’imputato in occasione della sua candidatura al Parlamento europeo nelle file dello stesso partito, mentre aveva grossi problemi da risolvere con la giustizia perché era in corso il dibattimento di questo processo penale.

Vi sono delle verità che vanno oltre i processi e le carte, e lo stesso Borsellino era consapevole e in una nota intervista parla proprio dell’imprenditore di Milano Silvio Berlusconi il 21 maggio del 1992.  L’oggetto dell’intervista è il rapporto tra Berlusconi, Dell’Utri e Vittorio Mangano, mafioso e pluriomicidia per Cosa Nostra noto anche come “lo stalliere di Arcore”.

È normale il fatto che chi è titolare di grosse quantità di denaro cerchi gli strumenti per impiegare il denaro, sia dal punto di vista del riciclaggio e per far fruttare lo stesso. E non mi stupirebbe pensare che Cosa Nostra si sia trovata in contatto con questi ambienti (riferiti a Berlusconi e a Milano).

Latina e Littoria, tra fascisti e mafiosi, tra caporali e sfruttati.

Quindi non è nulla né per i vivi né per i morti, perché rispetto agli uni non c’è, rispetto agli altri sono questi a non esserci. I più invece o fuggono la morte come il più grande dei mali, o la cercano come cessazione dei mali della vita. Il saggio invece né rifiuta il vivere né teme il non vivere, perché né è contrario alla vita, né ritiene che ci sia qualcosa di male nella non-vita.

La recente morte di Satana Singh riguarda anche questa cultura di destra postfascista, legittimata dalle forze di governo, e che vede nell’agro Pontino un fenomeno di commistione tra economia e criminalità organizzata dalle tinte nere. Se non nerissime.

Come riporta l’inchiesta fatta da Sandro Ruotolo e da Marco Omizzolo per il Domani:

alcuni lavoratori stranieri vengono obbligati ad abbassare il capo o a fare il saluto romano dinanzi all’effige di Mussolini o ricattati con pistole e fucili. Il motivo? «Insegnare» loro che «in Italia comandano gli italiani» e che «il fascismo è la fede politica dei padroni». 

E ciò non avviene solamente alla luce del sole, ma in quello che è un feudo elettorale di Fratelli d’Italia e della Lega, rispettivamente nelle persone della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, candidata ed eletta deputata nel collegio pontino nel 2018, e di Claudio Durigon, attuale sottosegretario al Ministero del Lavoro e senatore leghista.

Claudio Durigon, nel 2021, propose di cambiare il nome di intitolazione di un parco pubblico a Latina, passando da Giovanni Falcone-Paolo Borsellino a Arnaldo Mussolini. Ovvero il fratello di Benito Mussolini.

Attraverso varie inchieste giornalistiche e giudiziarie, è stata dimostrata la vicinanza del senatore leghista al clan Di Silvio, in particolare rispetto alle elezioni del 2018. Incriminata è la foto che Durigon ha fatto con Natan Altomare, che finì sotto inchiesta rispetto a delle comunicazioni telefoniche accertate con un capo clan dei Di Silvio: Costantino di Silvio, detto Cha Cha, che nel Processo scaturito dell’operazione Scarface il 25 gennaio del 2023 verrà condannato a 14 anni e 8 mesi di reclusione e più di 10000 euro di multa.

Ma quindi l’antimafia è una roba da fasci o da comunisti?

È bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.

Paolo Borsellino

L’antimafia non ha, di per sé, colore politico. Sono i modi che rendono l’antimafia di destra o di sinistra. Il Pool di Palermo, nella sua esperienza poco meno che decennale, ha dimostrato un principio che nell’epoca della polarizzazione e dell’abbassamento della complessità è fondamentale per il contrasto a grandi fenomeni che possono mettere in crisi la collettività: ce la si fa insieme, e non da soli.

Composto da anime e sentori politici differente, in quello che era lo sguardo comune basato su una forte consapevolezza di democrazia e di legalità, quel gruppo di magistrati e giudici è riuscita a dare uno schiaffo giuridico e non solo a Cosa Nostra, un monolite e caposaldo della criminalità organizzata mondiale. 

Un’antimafia basata principalmente su una visione penalistica, restrittiva e giustizialista allora sarà definibile come conservatrice, mentre un metodo di contrasto all’illecito che si fonda sulla prevenzione, sull’apporto culturale e su un cambiamento del sistema economico sarà definibile come progressista ed egualitario. Ma l’antimafia non può essere rinchiusa in un unico partito, ed è bene che figure come Paolo Borsellino tornino ad essere di demanio di tutti, prima che vengano storpiate.

Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.

Giovanni Falcone

Autore

17 gennaio 2004 come data fatidica, e da quel momento sono immerso nei libri, nei paesaggi di Sezze e nelle canzoni di Kendrick Lamar. Napoletano di fede e di sangue, ricomincio pure io da tre cose: ascoltare, guardare e parlare, o su questa pagina, scrivere.

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