Il ruolo delle donne nei movimenti anticoloniali indiani

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Oltre agli aspetti politico-economici, il colonialismo britannico in India, terminato solo nel 1947, aveva avuto anche fortissime implicazioni di carattere socioculturale. L’introduzione di modelli culturali europei imposti dalla colonizzazione aveva portato, tra le altre cose, all’isolamento delle voci indigene, in particolare quelle femminili, soppresse e marginalizzate all’interno di una società – quella inglese – dominata dagli uomini. Queste voci non trovavano orecchie disposte ad ascoltarle nemmeno all’interno dei movimenti anticoloniali e indipendentisti. La loro assenza e sottomissione, d’altro canto, era necessaria e funzionale tanto per il mantenimento dell’egemonia dell’Impero coloniale, prima, quanto per la costruzione della Nazione, dopo. 

Questo ordine delle cose ha condotto, dunque, gli stessi movimenti anticoloniali a mostrare rapporti ambigui e mutevoli con il problema dei diritti delle donne, in quanto fondati su una contraddizione di base: da un lato il principio dell’uguaglianza universale da cui sono nati sembrerebbe richiedere qualche concessione ai diritti delle donne, dall’altro lo stesso movimento di non-collaborazionismo di Gandhi ha censurato la militanza delle donne ed ha aderito a concezioni interamente patriarcali della famiglia e della società. 

Da un lato è innegabile l’apertura alla partecipazione delle donne al movimento del Mahatma, estesa anche a quelle del ceto popolare e contadino, e la sua diretta presa di posizione contro tradizioni misogine come la compravendita dei matrimoni, il fenomeno delle spose bambine e la condizione delle vedove. Dall’altra parte, le posizioni di Gandhi sul tema del diritto alla proprietà e all’indipendenza economica della donna sono elusive o assenti. All’interno della logica nazionalista il sistema patriarcale ad esso funzionale non è in alcun modo intaccato: per Gandhi e per l’intero movimento il primo dovere delle donne resta la famiglia e qualsiasi loro impegno sociale è considerato un’estensione del loro ruolo all’interno del nucleo famigliare. La silente sopportazione delle ingiurie e della sottomissione, capace di arrivare al sacrificio di sé stesse, rimane la caratteristica centrale delle donne all’interno della società indiana, utile alla stessa filosofia di Gandhi. La non-violenza e la resistenza passiva sono individuate strumentalmente come caratteristiche femminili intrinseche alla tradizionale capacità di sofferenza e sacrificio.

Se durante il movimento di non-cooperazione, pur con tutte le ambiguità e contraddizioni del caso, le donne prendevano parte alla dimensione politica del subcontinente, dopo l’ottenimento dell’indipendenza la presenza delle donne sulla scena politica si fa ancora più latitante. È solo negli anni Settanta del Novecento che finalmente nascono i movimenti di liberazione delle donne in grado di intrecciare la questione della classe e della razza all’interno della lotta al patriarcato e di impegnarsi a far procedere le varie lotte simultaneamente in quanto intrinsecamente connesse. Ne è un esempio lo United Women’s Anti-Price Rice Front, nato durante la siccità e la carestia nel Maharashtra, per chiedere al governo misure contro la speculazione sul prezzo dei generi alimentari. L’appoggio delle contadine del luogo fu massiccio e si susseguirono diverse manifestazioni, a cui presero parte per la prima volta le donne hindu di casta. Le molte donne che non potevano uscire di casa, a causa delle regole di interdizione, si affacciarono alle finestre battendo spazzole e mestoli sui thali, grandi piatti di metallo.

Una protesta sotto al Parlamento indiano nel marzo 2013 per chiedere giustizia nei confronti di cinque uomini che nel dicembre precedente avevano stuprato e ucciso una studentessa su un autobus.

Verso la fine degli anni Settanta la partecipazione attiva delle donne aumentò e fu centrale nelle manifestazioni contro l’autoritarismo del governo. Fondamentale fu la prima campagna femminista della storia dell’India nel 1978 contro la dote e le morti per dote. Il 1° giugno dell’anno successivo ci fu una clamorosa protesta cittadina per la morte di Tarvinder Kaur, una giovane sposa di Delhi bruciata viva. Negli anni Ottanta, poi, i movimenti femministi si occuparono della lotta alle molestie e agli stupri, rendendo sempre più evidente il tentativo, da parte di organizzazioni femminili molto diverse fra loro, di articolare i problemi della violenza sessuale e domestica accanto a quelli della secolarizzazione o di una paga uguale a parità di lavoro svolto.

Un gruppo di donne manifesta contro il Citizenship Amendment Act del 2016 che minacciava i diritti civili dei gruppi di minoranza quali donne povere, musulmani e membri della comunità LGBTQ.

Sono stati i movimenti di rivendicazione dei diritti delle donne nell’India post-coloniale ad aver avuto la forza e la capacità di sottolineare come la lotta contro la repressione e la violenza attuata dallo Stato fosse legata a quella contro il razzismo e il patriarcato, così come la rivendicazione di migliori condizioni di lavoro dovesse procedere simultaneamente a quella che garantisce la libertà di espressione della propria sessualità.

Autore

Vivo a Roma ma vengo dalle montagne. Preferisco il mare. Sono una boomer della tecnologia e perdo il cellulare una volta ogni tre mesi. Ho una bicicletta arancione che si chiama Zagara. Amo la letteratura e sogno la rivoluzione.

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