Il Premio Nobel per la Pace 2022 Ales Bialiatski è stato condannato a 10 anni di carcere.

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Ales Bialiatski è un attivista bielorusso, fondatore e presidente della ONG “Viasna” (Primavera), che si occupa della difesa dei diritti umani, della libertà di parola e dell’indipendenza dei media. Bialiatski ha lavorato per molti anni come attivista per i diritti umani nel Paese, criticando pubblicamente il governo bielorusso per la sua politica repressiva e la violazione dei diritti umani. L’anno scorso, Bialiatski, è diventato la quarta persona a ricevere il Premio Nobel durante la permanenza in carcere.

Dai Nobel per la Pace 2022 ci si aspettava qualcosa di particolare. Premiare insieme, con lo stesso riconoscimento, cittadini e organizzazioni di paesi in guerra tra loro – che si scontrano col maggior numero di telecamere puntate addosso mai avute su un terreno di guerra – non è quella che considereremmo prassi. Le reazioni, i commenti, ci sono stati come era prevedibile che fosse, ma poi sono uscite altre notizie, si è abbassata l’attenzione e il tutto ha continuato a scorrere.

Annuncio dei Nobel per la Pace 2022

“I vincitori del Premio per la pace rappresentano la società civile nei loro paesi d’origine. Da molti anni promuovono il diritto di criticare il potere e tutelare i diritti fondamentali dei cittadini. Hanno compiuto uno sforzo eccezionale per documentare i crimini di guerra, le violazioni dei diritti umani e l’abuso di potere. Insieme dimostrano l’importanza della società civile per la pace e la democrazia.”

Questa è la motivazione che ha portato all’assegnazione del Nobel per la Pace 2022 alla ONG
Ucraina CCL (Centre for Civil Liberties), e a quella russa Memorial (a cui Mosca – tramite Fadeyev, capo del Consiglio Presidenziale sulla Società civile e i Diritti Umani del Cremlino – aveva suggerito di “rifiutare il premio per lasciare almeno un pezzetto di bei ricordi su sé stessa”) e ad Ales Bialiatski.
Bialiatski è stato condannato a 10 anni di carcere in Bielorussia il 3 marzo 2023. Non è la prima volta che finisce in carcere: ci è stato dal 2011 al 2014, e poi di nuovo dal 2020. Ora sa che dovrà restarci per un altro decennio. Nel 2011 l’accusa mossa contro Bialiatski era quella di “evasione fiscale”, che secondo gli attivisti per i diritti umani di Minsk rappresenterebbe più un pretesto dal sapore politico che reali tasse non pagate o frodi fiscali.
Il premio, consegnato ad ottobre 2022, è stato ritirato dalla moglie Natalia Pinchuk, che gli aveva comunicato la vittoria per posta. Pinchuk racconta che la loro corrispondenza è irregolare: alcune lettere sono recapitate, molte no o comunque con forti ritardi. Amnesty International ha riportato che la prima lettera consegnata alla moglie era numerata con il numero 3, portando in molti a credere dell’esistenza di altre due lettere, purtroppo mai state state consegnate. Il giorno della consegna Pinchuk ha tenuto un discorso, dedicando il premio ai “milioni di cittadini bielorussi che si sono alzati in piedi e hanno agito nelle strade e online per difendere i loro diritti civili”.

Pinchuk ha affermato che dal momento dell’incarcerazione lei e il marito si sono visti, con un vetro in mezzo, solo una volta. Della condanna del 3 marzo scrive ovviamente anche la sua ONG Viasna, che si occupa anche del monitoraggio della situazione dei prigionieri politici nel Paese. Sul loro sito si trova
anche una mappa in cui è possibile vedere dove e quanti di prigionieri sono detenuti nei “Pre-trial detention center”, centri destinati alla detenzione in custodia cautelare. Per l’organizzazione, al momento, ci sarebbero 1457 prigionieri politici detenuti in Bielorussia. Sempre sul sito di Viasna, datata 20 luglio 2021, è possibile trovare la dichiarazione rilasciata da ENEMO, che domanda la scarcerazione di Bialiatski, ma anche del difensore dei diritti umani Valiantsin Stefanovich, dell’avvocato di Viasna Uladzimir Labkovich e di sua moglie Nina Labkovich. Tutti incarcerati, secondo quanto dichiarato, a seguito di pesanti perquisizioni negli uffici compiute il 14 luglio di quell’anno.

Le reazioni del regime bielorusso erano arrivate dopo le proteste del 2020, quelle in cui si era distinta Sviatlana Tsikhanouskaya, attivista per i diritti umani e politica bielorussa, e che avevano reso la questione bielorussa materiale da prima pagina anche in Italia. Tsikhanouskaya è diventata una figura di spicco dell’opposizione bielorussa durante le elezioni presidenziali del 2020, dopo che suo marito, l’attivista politico e blogger Siarhei Tsikhanouski, è stato arrestato. Tsikhanouskaya ha deciso di candidarsi al suo posto, diventando la principale candidata dell’opposizione. In seguito, è stata costretta a fuggire in esilio in Lituania, diventando la leader dell’opposizione al di fuori dal Paese.

Mentre proseguivano le perquisizioni del luglio 2021, lei, negli Stati Uniti, incontrava il Segretario di Stato Blinken. All’incontro si era parlato delle repressioni di quei giorni, Tsikhanouskaya poi aveva alluso a “forti azioni” di risposta programmate dalla Casa Bianca in un’intervista con la CNN. Tra le persone che erano state trattenute in Bielorussia in quei giorni c’era Bialiatski, che da quel 14 luglio non è mai stato scarcerato. Tra quella data e l’inizio del processo è passato oltre un anno e dall’inizio del processo alla sentenza, circa due mesi. Tra la sentenza e i tweet di Tsikhanouskaya – in cui definisce il verdetto “vergognoso” – è invece questione di minuti.

La condanna è stata vista dagli osservatori come una punizione per l’attività svolta a partire dal periodo sovietico. Il regime di Lukashenko è uno dei principali alleati di Mosca, infatti, dal territorio bielorusso sono più volte partite le truppe russe, e negli ultimi tempi si è temuto l’arrivo di nuovi attacchi proprio dal Paese situato proprio a nord dell’Ucraina.
L’alleanza tra Russia e Bielorussia è stata ribadita ancora una volta pochi giorni fa, a Pechino, in un vertice tra Putin, Lukashenko e Xi. La Cina ha voluto accogliere i due capi di Stato con ventuno colpi sparati a salve in piazza Tienanmen – simbolo delle proteste di massa dell’89 – dove ancora una volta, anche se a salve, si è sentito l’eco dei colpi.

Autore

Nata tra i monti Lepini, non è che la montagna mi piaccia poi così tanto. Leggo, scrivo, arrivo sempre in ritardo ma cerco di compensare con l'impegno che metto nelle cose. Se potessi vivrei in viaggio, nel frattempo mi accontento di immaginarmi giornalista, una di quelli che raccontano mondi lontani. Che poi così lontani non sono.

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