Trovato l’accordo tra Israele e Libano per una tregua

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Nella serata di ieri è stato trovato l’accordo per una tregua temporanea tra Israele e Libano: l’annuncio è stato dato al termine della due giorni del G7 Esteri tenuto a Fiuggi ed Anagni, durante la conferenza stampa indetta al Teatro Comunale di Fiuggi.
I primi accenni sono stati indicati nell’intervento di apertura del Ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani e – soprattutto – in quello del Segretario di Stato uscente statunitense Antony Blinken.
Nel prendere la parola con la stampa, il Segretario Blinken ha annunciato come le trattative per un cessate il fuoco tra Israele e le milizie del partito sciita libanese Hezbollah “fossero nelle fasi finali” per una soluzione capace “di salvare vite in Libano e in Israele, di creare le condizioni per il ritorno degli sfollati” sia nella zona nord di Israele che nel sud del Libano e – da ultimo – “che possa contribuire alla fine della guerra in Gaza”.

Foto di rito per il G7 Esteri di Fiuggi-Anagni del 26 Novembre 2024.
Da sinistra verso destra, il Ministro Andrii Sybiha (Ucraina), il Segretario di Stato Antony Blinken (Stati Uniti), il Ministro Jean-Noël Barrot (Francia), il Ministro Melanie Joly (Canada), il Ministro Antonio Tajani (Italia), il Ministro Takeshi Iwaya (Giappone), il Ministro Annalena Baerbock (Germania), il Direttore del Foreign Office Christian Turner (Regno Unito) e l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri Josep Borrell (Official State Department photo by Chuck Kennedy)
Fonte immagine: U.S. Department of State/Flickr (opera di dominio pubblico)

L’annuncio ha visto poi la conferma sia da parte dello stesso Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu (in basso a destra, NdA), che ha annunciato che avrebbe presentato la proposta di tregua durante l’incontro d’urgenza del proprio gabinetto militare e di sicurezza (un incontro che sarebbe durato diverse ore), che dall’omologo libanese Najib Mikati.


I punti della tregua israelo-libanese

Fonte immagine: Avi Ohayon / Government Press Office of Israel/ Wikimedia Commons (licenza d’uso CC BY-SA 3.0)

Infine, nella serata italiana, gli annunci televisivi congiunti del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden dalla Casa Bianca e dello stesso Netanyahu (ai quali hanno fatto seguito nelle ore successive le parole del presidente francese Emmanuel Macron), che hanno illustrato i punti essenziali dell’accordo, frutto dell’intervento degli Stati Uniti d’America che assieme alla Francia (interlocutore privilegiato per conto del Libano) ha mediato per mesi le trattative tra i governi di Gerusalemme e Beirut per interrompere le ostilità, ponendo Washington e Parigi come garanti dell’effettivo rispetto degli accordi.

Stando ai resoconti offerti dal presidente statunitense e da quello israeliano, la tregua ha una durata di sessanta giorni e prevede il ritiro del contingente militare israeliano dalle aree del sud del Libano (ma in modo graduale, entro e non oltre i sessanta giorni) e la piena applicazione della risoluzione n. 1701/2006 del Consiglio di Sicurezza ONU che imponeva il ritiro delle milizie di Hezbollah a nord del fiume Litani e il potenziamento del contingente UNIFIL nella c.d. “zona cuscinetto” a sud del Litani, lungo la c.d. “Linea Blu” demarcata nel 2000 dalle Nazioni Unite.

L’accordo è vincolato all’interruzione totale delle ostilità da parte di Hezbollah: per Biden e Netanyahu, infatti, qualsiasi eventuale intervento di natura militare o logistica da parte dei miliziani sciiti interromperà de facto la tregua e a tal riguardo Netanyahu ha usato parole ferme: “Se Hezbollah viola l’accordo e tenterà di armarsi, colpiremo. Se tenterà di ricostruire infrastrutture terroristiche vicino al confine, colpiremo. Se lancerà razzi, se scaverà tunnel, se porterà un camion con missili, colpiremo.”

La tregua è entrata in vigore a partire dalle quattro di mattina ora locale, nonostante si siano comunque verificati bombardamenti e scontri da entrambe le parti per tutta la giornata, fino all’ultimo minuto disponibile.


Le reazioni alla tregua

Il raggiungimento dell’accordo su un cessate il fuoco tra Israele e Libano è stato motivo di soddisfazione politica per la maggior parte della comunità internazionale.
Da Gerusalemme sono arrivati i ringraziamenti al presidente Biden per il ruolo assunto dagli Stati Uniti nella vicenda e per il sostegno mai mancato a Israele, mentre già nella giornata di ieri il Segretario Blinken aveva tenuto a ringraziare la Francia, Israele e il Libano per il lavoro svolto nei negoziati.

Anche l’Italia ha voluto rivendicare con orgoglio il proprio ruolo nel corso delle ultime quarantotto ore per mezzo del ministro Tajani (“Orgogliosi di aver dato un contributo determinante a questo importante risultato per la pace in Medio Oriente) e – da ultimo – della premier Giorgia Meloni, che in occasione della giornata conclusiva del decimo Rome MED Dialogues 2024 a Roma è intervenuta dichiarando come l’annuncio del cessate il fuoco sia“uno sviluppo molto importante e positivo” da leggere come “un punto di partenza e non di arrivo”.

Dall’altra parte, gli organi legati al partito Hezbollah precisano come l’accordo non rappresenti una resa ma “una pausa tattica necessaria” e“un compromesso strategico” raggiunto per evitare ulteriori sofferenze alla popolazione civile: stando agli ultimi bilanci di guerra si stima infatti che nell’ultimo anno, ovvero dall’inizio della nuova fase nello scontro tra Israele e Hezbollah e la successiva invasione militare del Libano meridionale del 1 ottobre scorso, ci siano stati all’incirca 3823 morti e quasi 16.000 feriti tra i libanesi – tra cui spiccano i nomi di Hassan Nasrallah e del suo successore Hashem Safieddine, uccisi a Danieh tra il 27 settembre e il 3 ottobre scorso in due distinti bombardamenti dell’Aeronautica israeliana – a fronte dei circa 126 morti (tra civili e militari) israeliani.
Numeri ai quali vanno aggiunti i circa centomila sfollati libanesi e siriani (altro territorio oggetto delle operazioni militari israeliane) dall’inizio della guerra, in un paese come il Libano che continua a trovarsi in pieno collasso socio-economico per via della crisi legata alla bancarotta del marzo 2020 e alla strage del porto di Beirut avvenuta cinque mesi dopo.

Quanto accaduto può però rappresentare un risultato soddisfacente anche per la stessa amministrazione Biden, in una sorta di “corsa contro il tempo” per togliere appigli ai quali il futuro presidente Donald Trump possa fare affidamento in contesti paradossalmente creati proprio durante gli anni del primo mandato del tycoon.
Quale “smacco” potrebbe rappresentare infatti l’effettiva normalizzazione dei rapporti di Israele con l’Arabia Saudita e altri paesi arabi di rilevanza nel contesto mediorientale, punto focale dei c.d. “Accordi d’Abramo” presentati nel 2020 da Trump (assieme al “deus ex machina” dell’intera proposta, ovvero il genero Jared Kushner) e dallo stesso Netanyahu?
Un interrogativo quest’ultimo ai quali scenari di “pace” tra il Libano e – eventualmente – la Palestina potrebbero offrire una teorica risposta. Ma a quale prezzo?

NdA: L’immagine di copertina è stata realizzata con l’utilizzo di software di creazione immagini IA di Dezgo su input testuale dell’autore del presente articolo.

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