Finalmente sta arrivando l’estate e, con questa, anche la stagione dei Festival. Solo in Italia se ne possono contare a decine sparsi tra centro, nord e sud. Si tratta di hub importanti non solo per ascoltare musica live, ma anche – e soprattutto – per vivere esperienze immersive a stretto contatto con semi-sconosciuti con cui si condividono sensazioni uniche. Tutto molto intrigante, tutto molto fresco. Ma anche quest’anno, c’è qualcosa che stona – e non sto parlando della melodia.
Da una rassegna dei festival musicali più attenzionati del 2025, è emerso che la componente femminile è fortemente sottorappresentata – anche se questo non ci stupisce.
Ma quindi, cosa abbiamo imparato da Sanremo? Cosa ci resta delle belle parole spese per assicurare che la classifica del “Festival della Musica Italiana” per antonomasia era solo contingente, un abbaglio dettato dalle circostanze o il risultato del fatto che le canzoni delle artiste in gara erano eccezionalmente più deboli? Cosa ce ne facciamo di chi ci dice che l’industria musicale italiana non è più sessista?
L’unica via per superare il negazionismo e fare luce sulle dinamiche patriarcali e misogine di cui è intrisa anche l’industria musicale è analizzare i dati oggettivi.
Iniziamo dalla fine: la rappresentanza femminile ai festival.
Da un’analisi delle line up, emerge un quadro sintomatico della situazione dei festival della musica in italia che, ovviamente, è solo la punta dell’iceberg di un sistema incancrenito, capitalista e discriminatorio.
Facciamo qualche esempio. Il Rock in Roma avrà una corona di grandi nomi interamente maschile – si salvano solo un paio di serate a tema ma poco altro. Salendo a Milano la situazione non sembra migliorare: la lineup degli iDays ha solo due donne su 6 headliners, cioè Dua Lipa e Olivia Rodrigo. La stessa cosa accade anche al Firenze Rocks, con l’aggiunta di due band miste. Lo stesso ragionamento può essere applicato a tutti gli altri festival estivi italiani, più o meno grandi, più o meno indipendenti, con il risultato che complessivamente, meno del 25% degli artisti sono persone socializzate donne.
Quello che emerge è una generale sfiducia nell’investire sulle artiste, dettata da un’attitudine cautelare e poco incline al rischio, in un clima di precarietà e incertezza. Immaginare una line up tutta femminile resta impensabile non per mancanza di talento, ma per la persistenza di preconcetti, bias e resistenze culturali.
Colpa o responsabilità? Magari entrambe.
Ammesso che riusciamo a riconoscere il problema della sotto-rappresentazione delle artiste ai Festival (che appare chiara in questa indagine), quello che viene da chiedersi è: di chi è la colpa – o meglio, la responsabilità? Ovviamente di tuttə, e quindi anche di nessunə in particolare.
La risposta richiede un’analisi complessa e una presa di consapevolezza del proprio ruolo attivo in questo meccanismo. Il che vorrebbe dire che ognuno e ognuna di noi ha, anzitutto, un grande potere in quanto ascoltatorə di musica e fruitorə di concerti. A questo primo layer di complessità si vanno ad aggiungere altri strati, come l’orientamento dell’etichetta dell’artista e la visione del team che gestisce i concerti.
Ciò che si può affermare è che, di sicuro, l’industria della musica è fatta di persone che vivono – nessuna esclusa – all’interno di una società già dominata da dinamiche patriarcali e misogine di cui anche questo ambiente è intriso. Se riconoscere questo è un primo step, però, non bisogna cedere a una sofferente sebbene comoda arrendevolezza, anzi. Una volta individuati questi meccanismi discriminatori e riconosciuta la loro rigenerazione più o meno inconsapevole in ogni ambito (anche musicale), come possiamo scardinarli insieme?Mentre lo capiamo e ci lavoriamo, sul sito lacantautrice.com si può consultare il manifesto femminista intersezionale redatto da un gruppo di artiste e addette ai lavori del mondo della musica. Il documento non solo contiene informazioni pratiche per chi si approccia alla musica e vuole lavorare in questo settore, ma anche un insieme di linee guida per chi ha spazi e promuove attività musicali, affinché siano esperienze virtuose e accessibili a tuttə.
Autore
Mi chiamo Alice e c’ho un’anima un po’ scissa. Tra le altre cose, sono una neuroscenziata della Scuola Normale. Nel tempo libero oscillo tra attivismo, femminismo intersezionale e misantropia disillusa. Odio gli indifferenti e credo che dovremmo proprio smetterla di imporre inutili confini al nostro animo in continua espansione.