La Greta Indiana. Così viene chiamata Disha Ravi, la 22enne co-fondatrice di Fridays For Future India fermata dalla polizia il 14 febbraio a Bangalore – la città dove vive – e trasferita poi nella capitale indiana Delhi. L’accusa, per lei, è di sedizione. Alla base del suo arresto, infatti, ci sarebbe «il ruolo chiave nella scrittura di un toolkit», poi rilanciato in rete dall’attivista svedese Greta Thunberg, con il quale si davano istruzioni per affiancare i contadini indiani nella loro protesta contro tre leggi agricole varate da poco dal governo nazionalista. Il documento, secondo le ricostruzioni della polizia, sarebbe stato redatto in collaborazione con Poetic Justice Foundation, un’associazione ritenuta pro-Khalistan (un movimento separatista creato sulla scia della caduta dell’Impero britannico in India che vorrebbe dare una patria per sikh originari del Punjab indiano e pakistano creando uno Stato sovrano. Lo stato proposto sarebbe formato da terre che ad oggi fanno parte del Punjab, dell’India settentrionale e del Pakistan). Disha, una volta trasferita a Delhi, ha dichiarato agli ufficiali di aver collaborato a editare solo un paio di righe dell’intero toolkit. Nonostante questo, la polizia ha ottenuto per il momento di tenerla in custodia cautelare per cinque giorni. Secondo vari esponenti di associazioni che lottano per i diritti umani, la giovane attivista sarebbe stata interrogata senza che le sia stato concesso il diritto di avere al suo fianco un avvocato difensore.
Questa storia del toolkit
Bisogna allora per prima cosa capire cosa contenga questa cassetta per le istruzioni di tanto importante da aver indotto la polizia indiana ad arrestare Disha. Il documento, caricato per la prima volta lo scorso 3 febbraio e diffuso via Twitter da Greta Thunberg (i media indiani parlano di un suo accordo preventivo con la stessa Disha), nella sua prima versione conteneva, in prima battuta, un elenco di “interventi urgenti” da adottare.
A partire da un “TweetStorm” mondiale programmato per il 4 e il 5 febbraio, alle cui linee guida si rimandava tramite due link, c’era, poi, un invito a tutti a contattare il governo per chiedere di prendere le distanze «da oligopolisti e monopolisti», facendo in merito i nomi di Gautam Adani e Mukesh Ambani, due miliardari indiani non direttamente collegati al mondo dell’agricoltura. Infine, si incoraggiavano i lettori a organizzare durante il 13 e il 14 febbraio manifestazioni locali davanti ad ambasciate indiane, uffici del governo, media houses e sedi delle multinazionali possedute da Adani e Ambani. Esaurita la lista delle priorità, il documento faceva un passo indietro, tornando alle proteste dei contadini svoltesi invece alla fine dello scorso mese (e divenute violente a Delhi il 26 gennaio) e dando indicazioni su come supportarle attraverso tutta una serie di link utili a reperire materiale al fine organizzare manifestazioni vere e proprie e proteste via social mediante foto, video, tag e hashtag.
Proprio prendendo in considerazione soprattutto questa parte, dopo l’arresto di Disha la polizia ha affermato che il toolkit avrebbe contenuto un piano di cospirazione ai danni del governo indiano da mettere in atto proprio durante la manifestazione del 26 gennaio. «L’appello era a intraprendere una guerra economica, sociale, culturale e territoriale contro l’India», ha spiegato il commissario speciale della polizia di Delhi, Praveer Ranjan. Il documento continuava invitando i lettori a sostenere la campagna #AskIndiaWhy, affermando che «l’India ha una lunga storia di violazione dei diritti umani, violenze e crudeli indifferenze verso i cittadini più vulnerabili» e che «il Paese sta subendo una involuzione: da democrazia si sta trasformando velocemente in un regime fascista». Nell’ultimo punto si chiedeva, infine, di firmare tre petizioni: una per abolire le tre leggi agricole causa della protesta, una per segnalare all’Onu che la libertà di manifestare è uno dei punti fondanti di una democrazia e l’ultima per chiedere ai parlamentari inglesi di supportare i contadini indiani. Il documento nella sua veste originaria è stato rimosso poco dopo e sostituito da un toolkit aggiornato dalla stessa Greta, forse accortasi – o informata – che toni e contenuti della prima versione avrebbero potuto compromettere gli autori con le autorità indiane. E, infatti, da quel momento il governo ha avviato un braccio di ferro con Twitter, imponendogli di oscurare tutti gli account che lo avevano condiviso (più di mille) e ha dato il via alle indagini per rintracciare i responsabili, definiti «criminali che mirano alla sedizione e a creare disordine». La prima finita nel mirino delle autorità è stata, appunto, la studentessa 22enne Disha Ravi.
L’arresto di Disha è legale?
Subito dopo la notizia dell’arresto di Disha, il caso è montato sui social. Dagli articoli dei media nazionali ai commenti su facebook e ai tweet dei cittadini indiani: l’opinione pubblica è divisa tra chi ritiene l’attivista una vera e propria terrorista e chi parla di attacco alla democrazia indiana. Molti avvocati di fama nazionale si sono pronunciati sui maggiori quotidiani indiani sottolineando che l’intervento della polizia della capitale avrebbe violato qualsiasi diritto legale e costituzionale di Disha: a partire da quello di essere ascoltata in tribunale subito a Bengalore – dove è stata fermata – fino a quello di avere un avvocato difensore durante l’interrogatorio di Delhi, dove è stata portata senza un mandato di trasferimento e dove la polizia ha ottenuto la custodia cautelare per cinque giorni. Dushyant, avvocato indiano e editorialista del Times of India, ha subito evidenziato che il codice penale indiano non parla mai di “toolkit”.
Asim Arode, che esercita la professione alla corte di giustizia di Mumbai, ha invece accusato il governo di portare avanti una serie di arresti senza seguire le procedure nelle regioni sotto l’amministrazione del Bjp, ovvero il maggior partito conservatore del paese, fautore di una politica nazionalista in linea con le ambizioni del governo. «Un arresto del genere non sarebbe stato possibile a Maharashtra, ad esempio, dove il Bjp non ha potere», ha sentenziato Asim Arode. Susan Abraham, che opera nell’area di Nuova Delhi, ha rilevato la gravità dell’arresto della giovane attivista, trattata «come se fosse una ricercata o una latitante» e ha lanciato un duro attacco al modus operandi del governo: «Prima sono venuti a prendere gli intellettuali radicali, poi gli studenti attivisti, poi quelli che hanno deciso di scegliere il “love marriage”( termine con il quale si descrivono i matrimoni guidati solo dalla volontà della coppia e, quindi, non combinati), poi gli stand-up comedian, infine gli attivisti per il clima. Presto non ci sarà più nessuno a protestare. Questo è quello che vuole il governo». Aditya Pratap, avvocato di Mumbai, ha voluto infine mettere l’accento sul fatto che le autorità di Delhi non hanno operato coordinandosi con la polizia locale, non hanno presentato nessuna notifica formale di reato all’accusata e non hanno registrato nel diario di detenzione l’arresto di Disha e l’identità della persona informata dell’arresto, che avrebbe dovuto essere un parente o un amico.
L’origine dell’arresto: perché i contadini indiani stanno protestando contro le nuove leggi agricole
Alla base della “vicenda Disha Ravi” ci sono le proteste dei contadini indiani contro tre leggi agricole di riforma decise dal governo e votate nell’ottobre del 2020 dal Parlamento. Gli agricoltori ritengono che tali riforme abbiano molte più criticità che punti positivi. Per decenni, il governo indiano ha stabilito prezzi fissi per determinate colture, fornendo agli agricoltori certezze tali da permettergli di programmare i cicli colturali successivi. Le nuove leggi, secondo il governo, togliendo di mezzo i prezzi fissi darebbero agli agricoltori la possibilità di vendere i loro prodotti a chiunque e a qualsiasi prezzo, permettendo loro di trattare direttamente con i clienti, anche stranieri. Gli agricoltori sostengono, invece, che le nuove regole renderebbero più facile per le aziende sfruttare i lavoratori e aiuterebbero le multinazionali a ridurre drasticamente prezzi grazie alla produzione in scala, mettendo in crisi il mercato nel momento in cui l’offerta fosse abbondante. Ecco perché dalla fine di novembre più di 100.000 persone hanno avviato una protesta: sit-in di giornate intere lungo ciascuno dei tre confini di Nuova Delhi, strade bloccate, accampamenti improvvisati. Per questo il governo ha tenuto undici round di colloqui con i leader di oltre trenta sindacati di agricoltori, senza riuscire però a convincere gli agricoltori.
Il 26 gennaio, in occasione della festa della repubblica indiana, le manifestazioni pacifiche sono diventate violente. A Nuova Delhi, in migliaia hanno preso d’assalto lo storico Forte Rosso, scontrandosi con la polizia e facendo breccia nelle barricate. I manifestanti hanno scalato le pareti dell’iconico monumento e vi hanno issato in cima una bandiera, proprio accanto a quella nazionale indiana.
In seguito, cioè all’inizio di febbraio, la Corte Suprema indiana ha emesso un’ordinanza che sospendeva le tre controverse leggi agricole e ha ordinato la formazione di un comitato di mediazione per aiutare le parti a negoziare. I leader degli agricoltori hanno, però, respinto qualsiasi comitato di mediazione nominato dal tribunale, portando fede a quanto dichiarato più e più volte: le proteste non si fermeranno finché le leggi non saranno ritirate.
Autore
23 anni, giornalista praticante. Umbro di nascita, romano d'adozione, bolognese per lavoro. Una passione smodata per lo streetwear: in redazione sono quello con le sneakers più belle. Se messo con le spalle al muro, preferisco Friends ad How I met your mother.