Licenziamenti e big tech: la crisi la pagano i dipendenti (e noi)

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Gli ultimi mesi sono stati un po’ folli per le aziende hi-tech statunitensi, soprattutto a livello di licenziamenti. Facciamo un rapido riassunto.

Elon Musk che porta un lavandino negli uffici di Twitter una volta ufficializzato l’acquisto della piattaforma – il giorno seguente, il 50% della forza lavoro del social network viene licenziata.

Mark Zuckerberg a novembre “Ho sbagliato, e me ne assumo tutte le responsabilità”. La responsabilità viene pagata con 11.000 posti di lavoro tagliati.

La banca delle startup che salta, e nella stessa settimana l’azienda irlandese dell’hi-tech Accenture taglia 20.000 posti di lavoro. Cos’hanno in comune tutte queste situazioni?

Che il costo di ristrutturazioni, crisi di crescita, scelte sbagliate viene scaricato sui lavoratori dell’azienda. E che questo provoca un rialzo praticamente immediato dei titoli delle imprese stesse, che fanno degli extra profitti notevoli nel giro di poche ore.

Il mondo è il mio garage

Per decenni ci è stato raccontato che il mondo delle startup, dell’ingegneria informatica, dei social network, fosse destinato a crescere all’infinito e fosse progressista ed etico per definizione.

Abbiamo passato anni a pensare che fosse un settore in grado di creare lavoro e occupazione in sé, che fosse fuori dalle logiche del capitalismo 1.0, dei licenziamenti di massa e dalle regole dell’economia. Un mondo che può salire e crescere per sua stessa natura, dotato di un’etica e di valori talmente saldi che mai e poi mai ci saremmo trovati di fronte a scelte dettate da logiche capitaliste.

Siamo stati convinti che i guru della tecnologia fossero ragazzi comuni, in grado di incrociare le loro attitudini con le opportunità a disposizione e che ora vogliono dare una lezione a quei farabutti dell’alta finanza che ci hanno portato alla crisi e alla disoccupazione post-2008.

Ci è servito il passaggio di consegne di Twitter per capire che ci sbagliavamo.

Licenziamenti: in principio era Elon…

Di Elon Musk si può dire praticamente tutto, ma una cosa è certa: ha spirito di iniziativa e ha fegato.

Ha creato Paypal praticamente da solo, l’ha venduta a Ebay per 1.4 mld di $ ed è diventato uno degli uomini più ricchi del mondo. Ha creato Tesla, SpaceX, OpenAI (l’azienda dietro ChatGPT). E’ l’uomo più ricco del mondo, ha un’influenza che diversi governi se la sognano (potrebbe spegnere internet all’Ucraina, se un giorno volesse).

Se però chiedessero qual è la più grande qualità di Musk, quella che gli ha permesso di diventare l’uomo più ricco del mondo senza colpo ferire, la risposta è molto semplice: ha fatto credere al mondo che uno squalo fosse un pesciolino rosso. Perché sarà anche il re dei troll e un generatore di meme come se ne sono visti pochi negli ultimi anni, ma nell’agire è estremamente freddo.

Lo abbiamo visto in tante occasioni, con i riflettori puntati soprattutto al momento dell’acquisto di Twitter: 50% della forza lavoro tagliata; entrato nell’edificio dell’uccellino blu con un lavandino: “Let’s it sink”, ossia “fatevene una ragione“.

Ancora prima, un gioco piuttosto cinico di sabotaggio di quella che sarebbe diventata la sua azienda: nel momento in cui l’ex management di Twitter gli aveva detto che la somma offerta non era sufficiente, ha iniziato a rilasciare dichiarazioni che hanno drasticamente diminuito il valore del titolo.

Musk ha subito detto che avrebbe fatto esprimere Twitter al massimo del suo potenziale. Per ora, questo si è tradotto in riammettere Donald J. Trump sul social, in un’ondata di licenziamenti che, oltre ad aver colpito il board di Twitter, ha tagliato il numero di fact checkers e di moderatori.

Ride bene chi licenzia per ultimo

Risultato? Secondo un sondaggio condotto da Amnesty international, dal momento in cui Musk ha preso in mano la compagnia, è aumentato in modo percepibile l’hate speech contro la comunità LGBTQAI+. Una notizia che non dovrebbe sorprendere, visto che il Global Human Rights Team è stato licenziato in tronco subito dopo l’acquisizione.

Così come, secondo la BBC, sono aumentati contenuti misogini e sessisti, mentre fonti interne di Twitter dicono letteralmente che “A nessuno frega più un cazzo” delle misure di sicurezza legate a disinformazione e sicurezza.

In tutto questo, va detto che le scelte di Musk non sono state apprezzate dagli investitori: il mese scorso era uscito fuori il “pizzino” con la scritta “Twitter vale la metà“. Così come la mossa di cambiare l’uccellino con il Dogecoin nella versione desktop di Twitter, pare sia legata al bisogno di valorizzare il suo stock di criptovalute per ripianare il debito per l’acquisto del social.

Come risponde Musk? Non risponde. Se si scrive all’ufficio stampa di Twitter (Anche quello licenziato in tronco) si riceve una mail generata automaticamente con un emoji dello sterco. Nel mentre, Twitter diventa ogni giorno di più un luogo tossico e le spunte blu per tutti a 20$ arriveranno ad aprile.  

Meta-Licenziamenti: i dolori del giovane Mark Zuckerberg

Mark Zuckerberg è un altro tipo di persona. Rispetto a Musk, non è così sopra le righe. E, almeno originariamente, lui era davvero un nerd californiano impacciato con le ragazze – rientrava quasi precisamente nello stereotipo che gli è stato costruito addosso. Ma, anche lui, ha i suoi scheletri nell’armadio.

Mentre Musk compra Twitter e va in giro con i lavandini, Mark Zuckerberg ha un grosso problema: il suo titolo è ai minimi da 5 anni a questa parte. In 24 ore passa da 129$ a 97 (26-27 Ott.). E’inutile dire cosa significa questo per un’azienda quotata in borsa.

Ma Zuckerberg è un uomo coraggioso, sa quando è il momento di prendersi le proprie responsabilità rispetto alla sua creatura. E manda questa mail ai dipendenti:

Oggi condivido alcuni dei cambiamenti più difficili che abbiamo fatto nella storia di Meta. Voglio assumermi la responsabilità di queste decisioni e di come siamo arrivati a questo punto. [Dopo il Covid] ho deciso di aumentare significativamente i nostri investimenti. Sfortunatamente, non è andata come mi aspettavo.

Mark Zuckerberg, Nov. 2022

Normalmente, questo è l’incipit di una lettera di dimissioni. Ma Zuckerberg è meno banale di così:

Ho deciso […] di licenziare più di 11.000 dei nostri talentuosi dipendenti. Stiamo inoltre adottando una serie di misure aggiuntive per diventare un’azienda più snella ed efficiente, tagliando le spese discrezionali ed estendendo il blocco delle assunzioni

Arrivano i licenziamenti. E’ un successone: Meta, il cui titolo era in caduta libera, sale del 5%. In 24 ore, aumenta di 15$, passando da 96$ a 111$ di quotazione. Un bel 13%, esattamente la quota di dipendenti Meta (la maggioranza dei quali legati a Facebook) segati con questo taglio.

Un trend positivo che permette al titolo di Meta di scendere su base annua del 7%, nel momento in cui sto scrivendo (se il prezzo fosse rimasto quello di novembre, si sarebbe registrato un calo del 60%).

Ma Zuckerberg, che evidentemente ci ha preso la mano, non si accontenta. Il 14 marzo dichiara:

Sarà dura e non ci sono altre maniere: nei prossimi mesi, i leaders dell’organizzazione annunceranno piani di ristrutturazione focalizzati sul semplificare l’organizzazione, cancellare i progetti a bassa priorità e ridurre le assunzioni. […] I nostri saranno più produttivi, il loro lavoro più rapido e divertente. Saremo un magnete per persone di talento. E’ un impegno per il nostro ‘Anno dell’efficienza’.

Prezzo di questa scelta: 10.000 nuovi licenziamenti. Le borse? Di nuovo entusiaste: il titolo è aumentato del 5,69%, guadagnando 14$ nel giro di 24 ore. Oggi il valore di Meta, dopo una cavalcata di 4 mesi, è risalito ai valori di marzo 2022, con una crescita del 134% in 4 mesi del suo valore in borsa, un fatturato totale che è salito del 40% nel 2020-22. Tutto bellissimo, se non fosse che se ne sono andate 21.000 persone, più o meno un quarto dell’azienda.

Ma se agli investitori piace…

Gli altri licenziamenti

Approfondiamo Accenture: il 23 marzo è stato annunciato un taglio di 19.000 posti di lavoro. Niente di paragonabile a Meta e Musk, qui si tratta solo del 2,5% della forza lavoro. Ma se, per assurdo, i licenziamenti si concentrassero solo nel nostro Paese, vorrebbe dire che se ne va a casa il 95% dei 20.000 dipendenti che ha Accenture. Il titolo, quel giorno, è salito di 18 dollari, +7%.

Alphabet, invece, ha licenziato 12.000 impiegati, in virtù di “Una variazione nella realtà economica”. In quel caso, la Borsa non ha premiato particolarmente la parent company di Google. Però, gli ultimi risultati di fatturato recitavano un +41% nel 2020 e un +10% nel 2021.

La storia più incredibile però è quella di Amazon, che fa 27.000 licenziamenti nel solo 2023. Tutto questo dopo aver registrato un fatturato per il 2021 di 469 mld. Considerando lo stipendio medio annuale di un manager, si potrebbero stipendiare 10,2 mln di persone per un anno.

Un fil rouge che unisce queste aziende con altri nomi del calibro di Salesforce, IBM, Microsoft… Un tempo si diceva che i dipendenti pagassero le scelte sbagliate delle aziende o la mancanza di liquidità, ma qui si va oltre: parliamo di licenziamenti preventivi, di lasciar andare a gambe per aria interi settori produttivi di aziende sane o addirittura sanissime. I licenziamenti più consistenti messi in campo fra la seconda metà del 2022 e aprile 2023.

Se si vince pagano i dipendenti, se si perde paghiamo noi

Sam Altman Licenziamenti e rischi sociali AI generativa
Sam Altman, il CEO di OpenAI, che parla di rischio di “Distruzione della società” con l’AI generativa

La beffa? Sam Altman, il CEO di ChatGPT, è intervenuto a febbraio con un post “La AGI potrebbe creare dei rischi di abuso, incidenti drastici, distruzione della società”. Elon Musk, invece, nella famosa lettera collettiva inviata alla stampa, non ha chiesto solo uno stop allo sviluppo dell’AI. Lì, dove viene chiesto lo stop per tutto, salvo ChatGPT4 (dove Musk ha un ruolo di advisor) si parla di:

“Lavoro collettivo con i legislatori per il policymaking, che porti a […] istituzioni ben finanziate per far fronte alle drammatiche conseguenze politiche ed economiche che l’AI causerà (soprattutto alle democrazie)”.

Elon Musk

Un bel problema per le democrazie. A seconda dello scenario adottato, i posti di lavoro perduti saranno fra i 400 e gli 800 milioni per il 2030, a sentire McKinsey e Co.

La tecnologia ci serve? Certo che sì. E non possiamo prescindere dalle aziende di hi-tech. Quello che però fa rischiare la società è lo sviluppo di un mondo nato come democratico, come un poderoso ascensore sociale, ma che rischia seriamente di rompere il patto che abbiamo messo in piedi dalla fine degli anni ‘70: libertà per le aziende, ma barattata con l’assenza di paracadute per i loro azzardi. Abbiamo derogato nel 2008, con la crisi economica.

Ma non sarebbe arrivato un momento di regolamentare e rimettere al centro le persone e i lavoratori? Anche perché gli scenari per il 2030 di McKinsley e Co. sono fra 20 e 40 volte più gravi per i licenziamenti di quelli del 2008-2009.

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Amo il data journalism, la politica internazionale e quella romana, la storia. Odio scrivere bio(s) e aspettare l'autobus. Collaboro saltuariamente con i giornali, ma mooolto saltuariamente

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